Dalle dita al calcolatore/I/2
Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | I - 1 | I - 3 | ► |
2. Popoli “primitivi”
L’etnologo Lévi-Strauss vive un breve periodo, prima del 1940, presso i Nambikwara, una popolazione primitiva insediata nell’altopiano fra il Mato Grosso e la Bolivia.
“Gli indigeni, che vivono completamente nudi, dormono sulla nuda terra e ignorano l’uso delle coperte, siano esse di pelliccia o di tessuto” 1. Durante la stagione delle piogge, che dura da ottobre a marzo, la temperatura può salire oltre i 40 gradi di giorno, per calare notevolmente la notte. Ma nella stagione secca, la temperatura notturna scende a 8-10 gradi. Durante le piogge spuntano fiori e crescono erbe alte, poi tutto si dissecca: la terra riarsa e la sabbia riprendono il sopravvento.
Durante la stagione delle piogge, i Nambikwara si stabiliscono sulle alture nei pressi di un fiume e vi costruiscono capanne grossolane; poi dissodano piccoli spiazzi giù in basso, nella foresta-galleria, e li utilizzano come orti per coltivare manioca, tabacco, fagioli, cotone, arachidi e zucche; i prodotti vengono in parte serbati.
Durante la stagione secca il gruppo si disintegra e migra a gruppetti, formati da un numero ridotto e variabile di individui (da 4 a 40). “Errano attraverso la savana, alla ricerca di selvaggina, di animaletti come larve, ragni, cavallette, roditori, serpenti, lucertole... frutti, semi, radici” 2. I ripari provvisori “sono costituiti da palme o da rami fissati in semicerchio nella sabbia e legati in cima. È l’epoca in cui la ricerca alimentare assorbe tutte le attività” 3.
La descrizione della vita di questa popolazione può far comprendere meglio almeno una parte delle difficoltà incontrate dai nostri antenati. E si deve anche tener presente che questo non è il “livello zero” dell’umanità. È fuori dubbio, però, che una popolazione perennemente afflitta dalla fame, perseguitata dal clima, decimata periodicamente dalle epidemie e dalle incursioni nemiche, non ha ampi spazi per elaborazioni culturali; anzi, a causa delle decimazioni, rischia di veder vanificati in poche ore i progressi realizzati nel corso di varie generazioni.
Lévi-Strauss accerta che questa popolazione, nei suoi vari dialetti, possiede con sicurezza nomi per i numeri 1 e 2, e un termine per indicare “molti”. Componendo i suddetti termini, o in altri modi, essi riescono a formare nomi di numeri fino a otto.
Le ricerche etnologiche condotte presso altre popolazioni primitive, verso la fine del secolo scorso, confermano tali limiti nel possesso dei numeri: termini chiari per indicare 1 e 2; possibilità di enunciare il 3 secondo la forma “due e uno”, e il 4 con “due e due”; esistenza di un termine dal significato generico di “molti”. Questo si riscontra in Africa, in Oceania e in America.
I Nambikwara, servendosi delle mani, rappresentano il numero 1 tenendo il pollice destro sollevato, mentre con la sinistra tengono abbassate tutte le altre dita. Per il 2 sollevano solo l’indice ed il medio; il 3 è rappresentato dal solo anulare disteso. Possiedono anche un termine per indicare il paio (ba). Ovviamente non possiedono la scrittura e nemmeno una forma grafica per esprimere i numeri.
Nella vita pratica, per le indicazioni numeriche ricorrono anche alla ripetizione della parola indicante la cosa o l’evento. A un tizio che ha la malaugurata idea di sottrarre la moglie ad un altro, si consiglia di sparire dalla circolazione per un bel po’ di tempo in questi termini: “Quando finirà questa luna, e quella, e quella, e quella, e quella, e quella, e quella, e quella, e quella, allora, quella potrai tornare” 4. L’autore non precisa se le enumerazioni sono accompagnate da indicazioni concrete sulle dita o in altro modo.
Se per i Nambikwara la situazione è quella appena descritta, altri viaggiatori e missionari rilevano situazioni altrettanto desolate in altri angoli della terra.
“Presso i Namaqua, se si tratta di calcolare, è estremamente difficile far comprendere qualcosa ai bambini, mentre si mostrano maestri per tutto ciò che si può imparare meccanicamente e che non esige né pensiero né riflessione” 5.
“Conoscete il labirinto dell’aritmetica inglese, col suo sistema antiquato... di pesi e misure? I nostri ragazzi zambesiani ci provano gusto. Parlate loro di libbre... e i loro occhi brillano, i volti si illuminano e in quattro e quattr’otto l’operazione è fatta, se si tratta soltanto di un’operazione... Ma date loro un problema tra i più semplici, che richieda un po’ di ragionamento, ed eccoli davanti a un muro” 6. Secondo il missionario W.H. Bentley “l’africano, negro o bantù, non pensa, non riflette, se può farne a meno” 7.
“Questi stessi primitivi ai quali il minimo pensiero astratto pare uno sforzo insopportabile e che non sembrano preoccuparsi di ragionare mai, si mostrano invece penetranti, giudiziosi, abili, persino sottili, quando un oggetto li interessa, e soprattutto appena si tratta di raggiungere uno scopo che essi desiderano ardentemente” 8.
È più che ovvio: l’interesse e la necessità spingono gli uomini, allora come ora, a cercare delle soluzioni per le esigenze che via via si presentano. I neri d’America, scrollatasi di dosso la schiavitù e superati i pesanti retaggi, si sono dimostrati capaci quanto i bianchi di raggiungere le massime cariche nella politica, nell’amministrazione, ecc.
Note
- ↑ [p. 307 modifica]1. Claude Lévi-Strauss, La vita familiare e sociale degli Indiani Nambikwara, Einaudi 1982
1a, pag. 14
- ↑ [p. 307 modifica]1. Claude Lévi-Strauss, La vita familiare e sociale degli Indiani Nambikwara, Einaudi 1982
1b, pag. 25
- ↑ [p. 307 modifica]1. Claude Lévi-Strauss, La vita familiare e sociale degli Indiani Nambikwara, Einaudi 1982
1c, pag. 25
- ↑ [p. 307 modifica]1. Claude Lévi-Strauss, La vita familiare e sociale degli Indiani Nambikwara, Einaudi 1982
1d, pag. 156 - ↑ [p. 307 modifica]2. Lucien Lévy-Bruhl, La mentalità primitiva, Einaudi 1981
2a, pag. 13
- ↑ [p. 307 modifica]2. Lucien Lévy-Bruhl, La mentalità primitiva, Einaudi 1981
2b, pagg. 12-13
- ↑ [p. 307 modifica]2. Lucien Lévy-Bruhl, La mentalità primitiva, Einaudi 1981
2c, pag. 13
- ↑ [p. 307 modifica]2. Lucien Lévy-Bruhl, La mentalità primitiva, Einaudi 1981
2d, pag. 16