Dal profondo/La voce del mare
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LA VOCE DEL MARE.
Io ti farò morire di dolcezza,
se tu m’ascolterai quando la luna
gonfia il mio cuore come un cuore umano.
Sarà rossa la luna ad orïente,
e poi, salendo, diverrà di perla.
Tu immobile starai tra flutto e spiaggia,
piccola — oh, un punto!... — in mezzo all’infinito.
Io ti dirò l’ore perdute della
tua dolce infanzia, l’ore che tu credi
dimenticate; e i sogni in cui vedevi
fiori simili a bocche aperte al bacio
fiorir per te lungo rupestri lande
ove il giorno non era e non la notte
era, ma Vita somigliava a Morte.
Io ti dirò ciò che hai sofferto. — Ma
mitemente, così, come di cose
lontane, e che non possono colpire
più, tanto nel pensier le trasfigura
la poesia della possente vita.
Io ti dirò le cose che tu speri,
e per incanto le vedrai compiute:
e la pienezza de’ tuoi sensi tale
sarà, che ti parrà d’essere eterna,
fulgida innumerevole leggera
quale schiuma di queste onde d’argento
che si gonfian d’amor sotto la luna.
Io ti farò morire di tristezza
se tu m’ascolterai quando di piombo
grava il cielo su gravi acque di piombo.
Starà sospesa dentro la calura,
nel silenzio, un’attesa di tempesta:
l’onde verranno a lacerarsi sulla
spiaggia, con rauche grida appassionate.
Allora, allora, o piccola, che hai
così tenere mani e così grandi
occhi, io ti canterò la veemente
poesia della vita che vivesti
prima d’esser la piccola che sei.
Una zingara fosti. — I tuoi capelli
battenti il dorso eran color del rame,
tutti a riccioli, vivi uno per uno:
e verdastri e mutevoli i tuoi occhi
di sole e d’onda; e tutto di serpente
l’agile corpo, in mille avvolgimenti
esperto, ed arso dall’impuro sangue
dei nomadi. Tu fosti una regina.
Passò il tuo carro lungo le mie rive,
il tuo riso il tuo canto a fior de l’acque.
I tuoi compagni avean denti ferini,
rapaci mani, acuti occhi di falco,
e tu li amavi; ma più d’essi amavi
la libertà. — Tenevi al petto un fiore,
sotto il fiore nascosto un pugnaletto
lucentissimo. E fiera sulle piazze
danzavi le tue danze, le tue danze
di gitana, ricordi?... — Non ricordi
dunque tu nulla?... — Dalla casa errante
le pallide vedesti albe fiorire,
e nei tramonti l’acque invermigliarsi,
e nei meriggi tutto esser di fiamma,
anche il tuo corpo, anche la vagabonda
anima tua come l’arena innumere,
multicolore come l’onda, libera
come il vento del largo. E delle folle
ti piacque il gran clamore, e del deserto
il gran silenzio, e delle vie notturne
i fanali rossastri, i torvi agguati,
il pericolo corso ad ogni istante.
Di desiderio io ti farò morire,
se vorrai ch’io ti dica il nome tuo
d’una volta. — Ricòrdati. — Superbo
era, ma dolce e pieno d’assonanze
strane. — Non giungi a ricordarti?... China
sul mare, ascolta il pianto inconsolabile
dell’acque che s’inseguono s’infrangono
e muojono e rinascono e non sanno
perchè. — Non ti diran forse quel nome;
ma in esse sentirai la sua potenza
dominatrice, o piccola, che hai
così teneri polsi per catene
di perle, e così grandi occhi pel sogno.