Capitolo IX

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Platone - Critone (IV secolo a.C.)
Traduzione dal greco di Francesco Acri (1925)
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[p. 46 modifica]Socrate. Dunque, essendo noi di accordo in questo, rimane a considerare se è giusto ch’io tenti di uscire di qua, non dandomene gli Ateniesi la licenza; ovvero se non è giusto. E caso che ci paia giusto, tentiamo; se no, lasciamo stare1. Perchè quell’altre considerazioni, la spesa, il vociare della gente, i figliuoli che non c’è modo di camparli, son buone, bada, per cotesto volgo leggero, che ti uccide senza una ragione al mondo, e ucciso t’ha, senza una ragione al mondo, potendo, ti revocherebbe a vita2. Ma [p. 47 modifica]noi3, guarda se piuttosto non ci convenga esaminare, dacchè così richiede la ragione, se noi operiamo giustamente pagando con danari e con ringraziamento coloro che mi traggon di qua; se operiamo giustamente quelli ed io, quelli che mi traggono e io che mi lascio trarre; ovvero se iniquamente; e caso ci paia che iniquamente, guarda se convenga, alla morte, o a che altro di peggio ci possa cogliere, restando qui con tranquillo animo, piuttosto non pensarci, che fare cosa ingiusta4.

Critone. Dire, dirai bene; ma, Socrate, bada a che fai5.

Socrate. Badiamoci insieme, o buono uomo: e se tu hai modo di ribatter le mie ragioni, ribattimele [p. 48 modifica]pure, che io ti ubbidirò; se no lascia, beato uomo, di ricantarmi che bisogna che io mi parta di qua, a dispetto degli Ateniesi: perchè, se l’ho a fare, vo’ farlo con il tuo consentimento, non con la tua riprovazione6. Guarda se a pigliare di qua le mosse per questa disamina sta bene; e come credi meglio, procura di rispondere alle mie domande.

Critone. Procurerò bene7.


Note

  1. Dimostrato che sopra tutto bisogna non commettere ingiustizia, la proposta di Critone va appunto esaminata a questa stregua: fuggire di proprio arbitrio, è giusto o no? Socrate agirà secondo la conclusione di tale indagine: chè, avvezzo a seguire in tutto la ragione, le obbedirà più che mai in questa occasione suprema.
  2. Inconsapevole, frutto di puro impulso, la condanna; inconsapevole la postuma pietà, e il biasimo a chi, potendo, non l’ha salvato. Nell’Apologia Platone fa che Socrate preveda la volubilità del popolo ai suoi riguardi: «Che se presso voi fosse una legge, com’è presso altre genti, che non si possa giudicar della morte in un solo dì, ma sebbene in molti, sareste persuasi, credo» (cap. XXVII). Appena uccisolo, il popolo si pentirà d’averlo ucciso.
  3. Noi, i savi, gl’intenditori di giustizia. - La contrapposizione è netta e precisa, tra savi e stolti; anzi, come giungeranno a dire gli stoici, tra savi e folli.
  4. È il programma di quel che resta ancòra da indagare: se - dato che il commettere ingiustizia è il solo vero male dell’anima - la fuga, che Critone propone a Socrate, sia cosa equa od iniqua, e quindi da attuare o da respingere.
  5. Così risponde, da che mondo è mondo, il volgo: «Bei ragionamenti, bei discorsi; ma ti rovini: pensaci». E non c’è modo di fargli intendere che se quei ragionamenti non sono soltanto belli, ma anche giusti, quel che ne consegue non può esser rovina. La gente non si rassegna a questa applicazione diretta, immediata, perentoria, della teoria, come suol dirsi, alla pratica: e cerca sempre di tener disgiunto quel che è vero in teoria da quel che è giusto in pratica; per crearsi il comodo diritto d’agire come meglio le piace, col pretesto, comodissimo, che la pratica è tutt’altro che la teoria.
  6. Socrate riconduce Critone - che ha scantonato invocando la pretesa distanza fra teoria e pratica - a quel che ha già ammesso dianzi: che bisogna seguir la ragione, e che perciò bisogna fuggire solo se un nuovo ragionamento abbia la forza di sovvertire l’antico, che comandava l’obbedienza incondizionata alle leggi patrie, anche a costo della vita. Ma poichè Critone, dimenticando quel che aveva già ammesso, ha avuto bisogno che Socrate gliene rinfrescasse la memoria, Socrate l’avvolge, per un attimo, nella sua ironia: «Se ho da fuggire, voglio farlo con la tua approvazione».
  7. Critone ha già riconosciuto che il solo vero danno dell’anima è commettere ingiustizia. Questo principio va inteso assolutamente, o bisogna credere che ci siano ingiustizie che non si devono commettere, ed altre che si possono commettere? Anche Critone deve riconoscere che il principio va inteso assolutamente: nessuna ingiustizia mai, in nessun caso, si deve commettere. Da ciò segue che, se proprio nessuna ingiustizia è ammissibile, non è ammissibile nemmeno l’ingiustizia che uno compia per ritorsione contro un’altra ingiustizia subita. Vale a dire: Socrate non ha il diritto di compier l’ingiustizia di sottrarsi all’imperio delle leggi, nemmeno se le leggi gli comandino ingiustamente di morire.