pure, che io ti ubbidirò; se no lascia, beato uomo, di ricantarmi che bisogna che io mi parta di qua, a dispetto degli Ateniesi: perchè, se l’ho a fare, vo’ farlo con il tuo consentimento, non con la tua riprovazione1. Guarda se a pigliare di qua le mosse per questa disamina sta bene; e come credi meglio, procura di rispondere alle mie domande.

Critone. Procurerò bene2.



  1. Socrate riconduce Critone - che ha scantonato invocando la pretesa distanza fra teoria e pratica - a quel che ha già ammesso dianzi: che bisogna seguir la ragione, e che perciò bisogna fuggire solo se un nuovo ragionamento abbia la forza di sovvertire l’antico, che comandava l’obbedienza incondizionata alle leggi patrie, anche a costo della vita. Ma poichè Critone, dimenticando quel che aveva già ammesso, ha avuto bisogno che Socrate gliene rinfrescasse la memoria, Socrate l’avvolge, per un attimo, nella sua ironia: «Se ho da fuggire, voglio farlo con la tua approvazione».
  2. Critone ha già riconosciuto che il solo vero danno dell’anima è commettere ingiustizia. Questo principio va inteso assolutamente, o bisogna credere che ci siano ingiustizie che non si devono commettere, ed altre che si possono commettere? Anche Critone deve riconoscere che il principio va inteso assolutamente: nessuna ingiustizia mai, in nessun caso, si deve commettere. Da ciò segue che, se proprio nessuna ingiustizia è ammissibile, non è ammissibile nemmeno l’ingiustizia che uno compia per ritorsione contro un’altra ingiustizia subita. Vale a dire: Socrate non ha il diritto di compier l’ingiustizia di sottrarsi all’imperio delle leggi, nemmeno se le leggi gli comandino ingiustamente di morire.