Così parlò Zarathustra/Parte seconda/Dei dotti
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Dei dotti.
«Mentre io giaceva addormentato, una pecora brucò le foglie della ghirlanda d’edera che adornava il mio capo: ne mangiò, e disse: «Zarathustra non è più un dotto».
Disse; e se n’andò grave e superba. Lo seppi poi da un bambino.
Io amo giacere nei luoghi dove giocano i bambini, vicino al muro diroccato, sotto i cardi, fra i rossi fiori del papavero.
Per i bambini io sono ancora un dotto, e così per i cardi e per i fiori del papavero. Essi sono innocenti, anche nella loro malizia.
Ma per le pecore io più non risplendo: così vuole la mia sorte: — sia benedetta!
Giacché questa è la verità: ho abbandonata la casa dei dotti e ne ho chiusa la porta dietro di me.
Troppo a lungo la mia anima sedette affamata alla loro mensa; non avvezzo come essi a romper le noci.
Io amo la libertà e la brezza che soffia su la terra fresca; amo meglio dormire su le pelli che sui loro onori e su ciò ch’essi tengono in pregio.
Io sono fatto troppo ardente dai miei pensieri: sì che talvolta mi par che mi manchi il respiro. E allora sento bisogno dell’aria libera, e fuggo dalle stanze che hanno odor di rinchiuso.
Essi siedono freschi all’ombra fresca: d’ogni cosa non vogliono essere che spettatori: si guardan bene dal seder sui gradini fatti roventi dal sole.
Simili a coloro che se ne stanno su la via e guardano oziosi la gente che passa, tali si soffermano anch’essi in attesa d’idee pensate da altri.
Se una mano appena li tocchi, essi mandan polvere intorno a sè come i sacchi di farina: ma chi potrebbe pensare che questa lor polvere venga dal grano e dalla delizia dorata dei campi estivi?
Se si atteggiano a sapienti, mi sento come agghiacciato dalle loro sentenze e dalle lor verità; la loro sapienza esala un odore come di palude; e già vi udii gracidare le rane!
Destri sono essi, e hanno le dita accorte: che cosa è la mia semplicità in confronto alla loro moltiplicità? Le loro dita sono esperte nell’annodare e nel tessere: in tal modo essi fanno la calza dello spirito!
Sono utili congegni d’orologio: soltanto, bisogna saperli caricar bene. Allora essi segnano esatta l’ora, con un modesto romore.
Lavorano essi come macine e cilindri da molino, purchè si getti in loro il frutto da macinare! — Sanno l’arte di triturare il grano e di ridurlo in polvere.
Anche sanno vigilarsi l’un l’altro nella lor mutua diffidenza.
Astuti, stanno in attesa di coloro la cui scienza cammina con piede zoppo: e nella loro attesa somigliano ai ragni.
Io li vidi preparare con diligenza il veleno: a tal uopo essi difendono le lor dita con guanti di vetro.
Anche amano giocare con dadi falsi; e li sorpresi a giocare con tanto ardore che n’eran tutti ansimanti.
Io mi sento ad essi straniero; e le lor virtù sono anche più contrarie al mio gusto che le lor menzogne e i lor dadi falsi.
E quando dimorai con loro, dimorai sopra di loro. Per ciò mi tennero il broncio.
Non possono tollerare che alcuno cammini più in alto; per ciò essi posero legno e terra e immondizie tra me e loro.
In tal modo ammorzarono il romore dei miei passi; sicchè da nessuno fui inteso così male come dai più dotti.
Tutti gli errori e tutte le debolezze umane essi posero tra me e loro: — «soffitto falso» chiamano ciò nelle loro case.
Non di meno coi miei pensieri io cammino ben alto; e se pur volessi camminare sui miei proprii errori, sarei sempre più alto di loro.
Poi che gli uomini non sono uguali: così parla la giustizia. E ciò che io voglio, essi non lo potrebbero volere».
Così parlò Zarathustra.