Così parlò Zarathustra/Parte quarta/Tra le figlie del deserto
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Tra le figlie del deserto.
«Non andartene!», disse allora il viandante, che soleva chiamarsi l’ombra di Zarathustra, «resta con noi, — altrimenti l’antica e tetra malinconia potrebbe ancora assalirci.
Già quel vecchio mago ci ha dato un saggio della sua peggior scienza, e il vecchio papa (nol vedi?) ha le lagrime agli occhi e già veleggia sul mare della malinconia.
Questi re sapranno ancora darsi un contegno alla nostra presenza; giacchè tali arti esse le conoscono meglio di tutti noi! Ma se qui fossero soli, metto pegno che ricomincerebbero il vecchio gioco; il vecchio gioco delle nubi erranti, dell’umida malinconia, dei cieli coperti, dei soli offuscati, dei venti autunnali; il falso gioco del nostro urlare e del nostro gridare al soccorso. Resta con noi, Zarathustra! Qui è molta miseria nascosta che anela di manifestarsi; qui molta nebbia incombe e molta aria pesante.
Tu ci nutristi di gagliardo cibo virile e di concettose sentenze: non permettere che alle frutta ci assalgano un’altra volta i molli spiriti feminili!
Tu solo sai rendere vivida e chiara l’aria intorno a te! Dove ho trovato sulla terra un’aria così buona come questa che si respira qui nella tua caverna?
Molti paesi ho visitato, e il mio naso apprese a fiutare e ad apprezzare molte qualità d’aria: ma non mai come vicino a te le mie narici hanno sentita una così viva gioja!
Se non forse... Se non forse... (Oh perdonami una vecchia ricordanza! Perdonami un vecchio canto pel levar delle mense, che un dì composi in mezzo alle figlie del deserto. Spirava anche là una buona e chiara aria orientale; ed era lontana — assai lontana — la nebulosa umida melanconica Europa! Io amavo le belle figlie dell’Oriente, e le altre imagini celesti ad esse somiglianti, su le quali non gravavano nè nubi nè tristi pensieri. Voi non prestereste fede al mio discorso s’io vi dicessi con quanta grazia esse stavan sedute, quando posavano dalle danze, profonde, ma senza pensieri, simili a piccoli segreti, a misteriosi enigmi ornati di nastri, a noci di cui si allieti, presso al termine, il convito; variopinte bensì e bizzarre, ma serene; arcane, ma pronte a svelarsi.... Ora in onor di queste fanciulle io composi un canto pel levar delle mense)». .
Così parlò il viandante che soleva chiamarsi l’ombra di Zarathustra; e prima che alcuno gli rispondesse ei die’ di piglio all’arpa del vecchio mago, incrociò le gambe e volse lo sguardo calmo e saggio intorno a sè: — ma le sue narici aspiravano lentamente e dilettosamente l’aria, come chi in un paese nuovo aspira, curioso e cupido, un’aria nuova.
Poi si mise a cantare con una specie di ruggito:
«Il deserto cresce; guai a chi in sè cela deserti.
«Ah! Solenne! degno esordio! africanamente solenne! Degno d’un leone o d’uno scimiotto morale; ma non adatto a voi, o mie graziosissime amiche; ai cui piedi, a me, europeo, è concesso sedere, all’ombra delle palme. Sela. Meraviglioso invero! Qui siedo; e il deserto m’ è da presso, ma pur discosto; in nulla ancora turbato, ingoiato da questa piccola oasi: poi che a punto essa sbadigliando apriva la sua vezzosa e piccola bocca, la più olezzante di tutte le bocche, — ed io ci caddi dentro, in fondo, — in mezzo a voi, o graziosissime amiche! Sela.
Sia lode, lode a quella balena, se essa trattò ugualmente bene il suo ospite! — voi comprendete, spero, la mia dotta allusione?...
Sia lodato il suo ventre, se era un’oasi simile a questa: sebbene ne ho dubbio: ma non giungo io forse dall’Europa che è più incredula d’una giovane donna? Che Dio la cangi in meglio! Amen!
Qui io siedo, nella più piccola delle oasi: simile a un dattero bruno, penetrato di dolcezza, stillante un aureo succo, bramoso e avido di rotonde labbra verginali, ma più ancora di verginali denti che sanno mordere, freddi come il ghiaccio, bianchi come la neve, taglienti: di ciò è sopra tutto avido il cuore dell’ardente dattero. Sela.
Simile, troppo simile a tali frutti, io mi giaccio qui; e mi saltellano e folleggiano intorno piccoli insetti alati, e ancor più piccoli e folli e maliziosi desideri e pensieri — circondato da voi, o mute, presaghe vergini — graziose gatte — Duda e Suleika — sfingiche per chiudere in una parola nuova (Dio mi perdoni questo peccato contro la lingua!...) molti pensieri: io siedo qui aspirando la più pura delle arie, un’aria da vero paradisiaca, un’aria chiara, leggera, a striscie dorate, la migliore che sia caduta dalla luna, per caso o per capriccio, come narrano gli antichi poeti.
Ma io scettico metto ciò in dubbio; non venni io qui dall’ Europa, più scettica di una donna da marito? Che Dio la cangi in meglio! Amen!
Respirando quest’aria purissima, con le narici gonfie come calici, senza presentimenti e senza ricordi, io qui siedo, o graziosissime amiche, e ammiro la palma; che, simile a una danzatrice, si curva e si piega e fa dondolare le sue anche — e induce in chi troppo a lungo la guardi desiderio d’imitarla; simile a una danzatrice, che, a quanto pare, troppo a lungo, e non senza pericolo, è stata in equilibrio su una sola gamba! Giacchè, così mi pare, essa si dimenticò dell’altra gamba! Inutilmente io cercai l’altro ascoso giojello, l’altra gamba, nel suo gonnellino aggraziatissimo, elegantissimo, svolazzante e risplendente, simile a un ventaglio: vi debbo dire (lo credete, graziose amiche?) che essa l’ha perduta.
...Uh! Uh! Uh! Uh! Uh! Perduta, in eterno, l’altra gamba! O peccato! Era tanto graziosa! Dove — dove sarà, triste e abbandonata, quella gamba solitaria? Forse tremante dinanzi a un leone — mostro feroce, fulvo, dal pelo arricciato? O forse già rosicchiata e corrosa — ahimè, corrosa? Sela.
Oh, non piangete, teneri cuori! Non piangete, cuori di datteri! seni lattei! ventricoli del cuore fatti di liquirizia! Sii uomo, Suleika! Coraggio! Coraggio! Non pianger più, o pallida Duda! — O forse vorreste una parola di conforto; di conforto per il vostro piccolo cuore? Forse una massima balsamica? O qualche apostrofe solenne?
Ah! Su, coraggio! Soffia, soffia, un’altra volta, o mantice della virtù! Ah! poter ruggire, ruggire virtuosamente, come un leone morale, in cospetto alle figlie del deserto!
Poi che il ruggito della virtù, o graziosissime giovinette, è sopra ogni cosa il fervore dell’Europeo, la voracità dell’Europeo! Ed eccomi qui dinanzi a voi, Europeo genuino; non posso fare altra cosa: Dio m’aiuti! Amen!
Il deserto cresce; guai a colui che in sè cela deserti!».