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292 così parlò zarathustra - parte quarta

non senza pericolo, è stata in equilibrio su una sola gamba! Giacchè, così mi pare, essa si dimenticò dell’altra gamba! Inutilmente io cercai l’altro ascoso giojello, l’altra gamba, nel suo gonnellino aggraziatissimo, elegantissimo, svolazzante e risplendente, simile a un ventaglio: vi debbo dire (lo credete, graziose amiche?) che essa l’ha perduta.

...Uh! Uh! Uh! Uh! Uh! Perduta, in eterno, l’altra gamba! O peccato! Era tanto graziosa! Dove — dove sarà, triste e abbandonata, quella gamba solitaria? Forse tremante dinanzi a un leone — mostro feroce, fulvo, dal pelo arricciato? O forse già rosicchiata e corrosa — ahimè, corrosa? Sela.

Oh, non piangete, teneri cuori! Non piangete, cuori di datteri! seni lattei! ventricoli del cuore fatti di liquirizia! Sii uomo, Suleika! Coraggio! Coraggio! Non pianger più, o pallida Duda! — O forse vorreste una parola di conforto; di conforto per il vostro piccolo cuore? Forse una massima balsamica? O qualche apostrofe solenne?

Ah! Su, coraggio! Soffia, soffia, un’altra volta, o mantice della virtù! Ah! poter ruggire, ruggire virtuosamente, come un leone morale, in cospetto alle figlie del deserto!

Poi che il ruggito della virtù, o graziosissime giovinette, è sopra ogni cosa il fervore dell’Europeo, la voracità dell’Europeo! Ed eccomi qui dinanzi a voi, Europeo genuino; non posso fare altra cosa: Dio m’aiuti! Amen!

Il deserto cresce; guai a colui che in sè cela deserti!».




Il risveglio.


1.

Poi che la canzone del viandante-ombra ebbe, termine, la caverna subitamente si riempì di strepito e di riso; e come tutti gli ospiti ivi raccolti parlavano nello stesso tempo, e l’asino stesso incoraggiato da quel chiasso non potè contenersi più a