Così parlò Zarathustra/Parte quarta/Il più brutto degli uomini
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Il più brutto degli uomini.
E Zarathustra corse un’altra volta i boschi ed i monti; e i suoi occhi cercavano e cercavano, ma da nessuna parte potevan scoprire colui che cercavano — l’uomo che chiedeva aiuto. Pure, lungo tutto il cammino egli gioiva nel suo cuore, pieno di riconoscenza. «Quante buone cose m’ha donate questo giorno», diceva, «per compensarmi di averlo io male incominciato! Quali strani interlocutori io trovai!».
«Voglio tritare le lor parole a lungo come se fossero dolci grani; il mio dente li ridurrà in polvere, che scenderà come latte nella mia anima!».
Ma allo sbocco d’un sentiero, che s’avvolgeva intorno a uno scoglio, il paesaggio si mutò d’un tratto, e Zarathustra si trovò nel regno della morte. Punte acuminate di roccie nere e rosse s’ergevano in alto; nuda era la terra d’erbe e d’alberi; e non vi risuonava canto di uccelli poi che quella era una valle abbandonata da tutti gli animali, persin dalle fiere; soltanto una specie di serpenti orridi, gonfi, verdi, quando eran presi da vecchiezza traevano là in cerca di morte. Perciò i pastori chiamavano quella valle la tomba dei serpenti.
Zarathustra fu assalito da tetri ricordi; gli parve d’essersi già ritrovato un’altra volta in quella valle. E molte tristi cose gli tornarono in pensiero: sicchè egli prese a camminare lentamente, sempre più lentamente; poi si soffermò. Ma improvvisamente, aprendo gli occhi, scorse sulla via una cosa che aveva e non aveva aspetto umano: una forma inesprimibile. E Zarathustra si sentì colto da vegogna, per aver guardato coi proprii occhi una cosa si fatta; e, arrossendo sino alla radice dei suoi bianchi capelli, ritorse lo sguardo e si mosse per allontanarsi da quell’orribile luogo. Ma allora il silenzio di morte si squarciò, e dalla terra si innalzò un suono simile da prima all’acqua che di notte gorgoglia e singhiozza nei tubi chiusi; ed era una voce umana e un umano discorso: — che dicevan così:
«Zarathustra! Zarathustra! Sciogli l’enigma! Parla, parla! Che cosa è la vendetta contro il testimonio?
Io attiro dove è liscio il ghiaccio! Bada, bada che il tuo orgoglio qui non si spezzi le gambe!
Tu presumi d’esser saggio, orgoglioso Zarathustra! Ebbene, sciogli l’enigma, o spezzatore di dure noci — l’enigma, che io sono! Parla dunque, chi sono io?».
— Ma quando ebbe udite queste parole — Zarathustra fu colto dalla pietà; e d’un tratto cadde a terra, come una quercia che, dopo aver resistito ai colpi di molti legnaiuoli, cade pesantemente, d’un tratto, con terrore di quegli stessi che si adoperavano ad abbatterla. Ma in breve risorse, e il suo volto si fece duro.
«Ti ravviso bene», disse con voce di bronzo; «tu sei l' assassino di Dio! Lasciami andare.
Tu non sopportasti colui che vedeva te — che ti vedeva sempre ed oltre, o il più brutto tra gli uomini! E tu ti vendicasti di quel testimonio!».
Così parlò Zarathustra, e fece atto d’andarsene; ma quella forma inesprimibile afferrò un lembo della sua veste e ricominciò a ciangottare e a cercar le parole. «Resta» — disse finalmente.
— Resta! Non passar oltre! Io indovinai quale scure t’ha atterrato! Salve, o Zarathustra, che sei risorto in piedi!
Tu hai compreso, lo so bene, in quale condizione di spirito si trovi colui che l’ha ucciso: l’assassino di Dio. Resta! Siedi qui, vicino a me: non sarà in vano.
A chi dovrei desiderar d’andare se non a te? Resta; siedi!
Ma non guardarmi! Rispetta la mia bruttezza!
Essi mi perseguitano: ora tu sei l’ultimo mio conforto. Non già col loro odio mi perseguitano, nè coi loro aguzzini; — oh io mi riderei d’una persecuzione sì fatta: ne sarei anzi lieto e superbo!
La fortuna non arrise forse sin qui a tutti coloro che furono molto perseguitati? E chi bene perseguita, impara a seguire facilmente! — si tratta sempre d’andar dietro ad un altro! Ma con la loro compassione essi mi perseguitarono — e dalla lor compassione io fuggo; e riparo a te. O Zarathustra, proteggimi, o tu mio ultimo rifugio, tu, il solo che m’abbia compreso.
— Tu hai indovinato in quale condizione d’animo si trovi quegli che ha ucciso lui. Resta! E se vuoi proprio andartene, tu, impaziente, non prender la via per la quale io qui venni. Quella via è cattiva.
Sei in collera con me, perchè troppo a lungo ti parlo a questo modo? Perchè mi permetto di darti consigli? Ma sappi che io sono il più brutto degli uomini; — colui che anche ha i piedi più grandi e più pesanti. Dove io son passato, la strada è cattiva. Io sconcio e guasto tutte le strade.
Ma tu mi passasti dinanzi silenzioso; tu arrossisti: me ne sono accorto. — Da ciò riconobbi che tu sei Zarathustra.
Un altro mi avrebbe gettato un’elemosina: la sua compassione di sguardi o di parole. Ma per questo io non sono abbastanza mendico: tu l’hai compreso.
Per questo io sono troppo ricco: ricco di grandezza, di terribilità, di bruttezza, d’inesprimibilità. Il tuo pudore, o Zarathustra, m’ha onorato!
A stento riuscii a trarrai fuor dalla ressa dei compassionevoli, — per ritrovare il solo che oggi insegna che la compassione è importuna: — te, o Zarathustra!
Sia quella d’un Dio o quella degli uomini: la pietà procede contro il pudore. E il non voler soccorrere può esser cosa più nobile che non la virtù pronta sempre all’aiuto.
Ma questa è oggi chiamata dalla piccola gente la virtù per eccellenza: — non si ha più nemmen riverenza per le grandi sventure e per la grande bruttezza.
Io guardo oltre a tutti costoro, come un cane guarda oltre il dorso delle pecore belanti. Son gente piccina e grigia, di buona lana e di buona volontà.
Come l’airone guarda disdegnoso, col capo eretto, oltre la palude: così io guardo oltre il brulichio delle piccole e grigie onde delle volontà e delle anime.
Troppo a lungo han dato ragione a quella gente piccina: in tal modo essa trionfa ora ed insegna: «È bene soltanto ciò che è caro alla gente piccina».
E «verità» chiamasi oggi ciò che disse il predicatore, sorto in mezzo a loro: quello strano santo ed avvocato della minuta gente che proclamò di sè stesso: «Io sono la verità».
Quell’immodesto ha fatto gonfiar da troppo tempo la cresta alla gente piccina, — egli, che proclamando «io sono la verità», insegnava un grosso errore.
Fu mai risposto con maggior cortesia ad un immodesto? — Ma tu, o Zarathustra, passasti oltre a lui e dicesti: «No! no! tre volte no!».
Tu ci mettesti in guardia contro il suo errore: tu, primo, insegnasti la diffidenza verso la pietà, non a tutti, nè ad alcuni soltanto — si a te stesso e a chi è della tua specie.
Tu hai vergogna dell’onta di chi soffre: e in vero, quando tu annunci: «La compassione giunge verso di noi come una triste nube, o uomini!»; quando tu insegni: «Tutti coloro che creano sono duri: ogni grande amore è più alto della lor compassione», o Zarathustra, come mi sembra che tu conosca bene i segni del tempo!
Ma tu stesso ti devi guardare dalla tua pietà! Poi che molti sono in cammino a te diretti: molti che soffrono, dubitano, disperano, molti che, prossimi ad annegarsi, han le mani intirizzite.
Guardati anche da me: tu hai sciolto il migliore e il peggiore de’ miei enigmi, me stesso e l’azione che ho commessa. Io conosco la scure che t’abbatte.
Ma Egli doveva morire: Egli vedeva con occhi onniveggenti, vedeva nelle profondità e nei segreti moti dell’uomo, vedeva in lui tutta la vergogna e la bruttezza nascosta.
La sua compassione non conosceva il pudore: egli s’insinuò negli angoli più sudici.
Quel curioso, quell’importuno, quel pietoso per eccellenza doveva morire.
Egli vedeva sempre me: e io volli o vendicarmi d’un tale testimonio — o non viver più.
Quel Dio che vedeva tutto, anche l’uomo: quel Dio doveva morire! L’uomo non può tollerare che un tal testimonio viva».
Così parlò il più brutto degli uomini. Ma Zarathustra si alzò per partire poichè si sentiva gelare sin nelle viscere.
«Tu inesprimibile», disse, «tu m’hai messo in guardia contro la tua strada. Per ringraziartene io ti cedo la mia. Vedi, lassù è la caverna di Zarathustra.
La mia caverna è vasta e profonda, e serba molti ripostigli: là anche colui che pur è chiuso in sè stesso può trovare un luogo dove nascondersi.
E vicino alla caverna si aprono a centinaia le fessure e i crepacci, rifugio a tutti gli animali che strisciano, volano e saltano.
Tu volontario reietto, non vuoi dimorare tra gli uomini, e in mezzo alla loro compassione?
Ebbene, fa come ho fatto io! Così apprenderai qualche cosa anche da me. Soltanto chi fa impara.
E anzi tutto parla coi miei animali! Il più superbo ed il più accorto degli animali — non sono essi in verità i nostri migliori consiglieri?».
Così parlò Zarathustra, e riprese il suo cammino più lento e pensoso di prima: poi che domandava a sè stesso molte cose alle quali non trovava facilmente una risposta.
«Eppure, quant’è povero l’uomo!», pensava nel suo cuore, «com’è brutto, rantolante, pieno di vergogna nascosta!
Dicono che l’uomo ami sè stesso; ah quanto dev’esser mai grande un tale amor di sè stessi! Giacchè contro quanto disprezzo esso deve combattere!
Anche costui tanto ha amato sè stesso quanto si è disprezzato: molto, di certo.
Non avevo ancora trovato alcuno, che più profondamente sentisse il disprezzo di sè; anche questa è un’altezza. Ohimè! era forse costui l’uomo superiore del quale avevo udito il grido?
Io amo i grandi sprezzatori. Ma l’uomo è tal cosa che deve essere superata».