Con la scorta possente
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II
IN LODE DEL SIGNOR
GIO. VINCENZO IMPERIALE
Per lo stato rustico ec.
Con la scorta possente
Delle Muse immortali
Alti alberghi reali
Io trascorsi sovente:
5Ivi d’oro lucente
Vidi coperte fiammeggiar le mura,
E con vaghi colori
Ingannar gli occhi altrui nobil pittura.
Vidi eccelsi lavori
10In marmi peregrini,
E con arte infinita
Dar sembianza di vita
A dari sassi alpini.
Ivi pur gli occhi miei
15Ben sovente ammiraro
Allor che rimiraro
Altissimi Imenei.
Cetre di novi Orfei
Alle vestigia altrui volgeano il freno;
20E femminil beltate
Altrui spargea di care fiamme il seno;
Bionde chiome gemmate,
E di vivo ostro aspersi
Bei sorrisi cortesi
25Foco di guardi accesi,
Miracolo a vedersi.
O lucid’acque e vive
Del real Mincio ombroso,
O d’Arno glorïoso
30Incliti Numi e Dive,
Qual sulle vostre rive
Già vidi ornarsi e passeggiar destrieri?
E ’n simulati assalti
Quaggiù governa i regni.
35Pur sazio il guardo mio
Quai vidi aste vibrar veri guerrieri?
Vidi fra gemme e smalti
Così splendere un giorno
Ampi teatri egregi,
40Che d’ogni antico i fregi
Volano meno intorno.
Ivi non pur sul mare
Mosse finto Aquilone,
Ma dell’alma Giunone
45Le nubi or fosche, or chiare:
Ivi siccome appare
Del Gange uscendo a seminar rugiade
Sorse bugiarda Aurora
E del cielo illustrò l’alme contrade;
50Così forte avvalora
I peregrini ingegni
Nel corpo infermo e frale,
Se destra liberale
Quaggiù governa i regni.
55Pur sazio il guardo mio
Di pompa e d’alterezza,
Or solamente apprezza
Non superbo disío:
Corso di puro rio,
60Che serpeggiando lava erma campagna,
Par, ch’oggi a sè mi chiami,
E rosignuol, che sul mattin si lagna
Entro selvaggi rami.
Deh chi mi scorge dove
65Io goda ombre romite?
E piagge colorite?
E fresche erbette e nove?
Ove d’Arcadia i monti,
Desiderate sedi
70Dalle città, miei piedi
A colà gir son pronti:
Tu, che gli Aonii fonti
Governi Euterpe, d’Aganippe l’onde,
Additami il sentiero;
75Sì dico, ed a’ miei detti ella risponde:
Dolce e gentil pensiero,
Fedel, t’infiamma il petto;
Alla virtude odiata
Piaggia disabitata
80È ben grato ricetto.
Da che ferro ed acciaro
Divenne infra la gente
Quel primo oro lucente
A rimembrar sì caro,
85Intra i boschi volaro
Pace ed Amore, e ratto seco insieme
Tranquillità sen venne;
Indi conforto, e non frodata speme
Seco spiegò le penne,
90Sì tra foreste oscure
Stansi le Dee giojose
Per l’anime orgogliose
Mal note, e ben sicure.
Or s’al vulgo nemico
95Le pompe a dietro lassi,
Governerà tuoi passi
Spirto di Febo amico,
Chiaro per sangue antico,
Fulgida stella alla Liguria splende;
100E su leggiadre piume
Contro le nubi inverso il cielo ascende,
E suo gentil costume
Di dolci preghi al suono
Pronta porger la mano,
105Ed io nel corso umano
Giammai non l’abbandono.