Commemorazione del commendatore Domenico Promis/Commemorazione
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COMMEMORAZIONE1
- Signori,
Da famiglia antica e cospicua in Mondovì, trasferitasi in Torino sul cadere del secolo scorso, nacquero ne’ primi anni del corrente, Domenico e Carlo Promis, due eletti ingegni, due dotti e poderosi scrittori, due cittadini degni di sopravvivere nella memoria dei posteri. Non solo dal fraterno affetto erano gli animi loro avvincolati, ma ancora dall’affinità degli studi, dalla consonanza delle opinioni, dalla mèta comune a cui anelavano di potere colle loro fatiche giovare alla Patria.
Molteplici e svariate elucubrazioni lasciarono, più apprezzate ed ambite dai dotti delle straniere nazioni, di quello che siano conosciute al maggior numero degl’Italiani. E ciò forse per la natura della scienza a cui s’applicarono; scienza vasta, ardua, difficilissima, per non dire inacessa alle menti volgari. L’archeologia, cioè, che, come il vocabolo suona, significa ragionamento intorno alle antichità. Così denominata la scienza, ha per oggettolo studio dei monumenti, ha per iscopo di dedurre dai monumenti investigati e chiariti, ragioni e prove per accertare la civiltà più meno progredita dei popoli antichi.
A questa austera dominatrice del passato fanno il niffolo gli amatori della letteratura facile e della scienza a buon mercato. Da questa si tengon lontani coloro, che intesi unicamente al presente, non pensano, che dal passato derivano le istituzioni, le credenze, gli errori del mondo moderno.
I fratelli Promis misurarono d’un guardo l’immenso campo dell’antichità, e veggendo, che non poteva esser da un solo percorso, se ne divisero gli spazi, e, assumendosi ciascuno la parte più confacevole a’ suoi studi, a quella si gittarono coraggiosi e risoluti di andare a fondo della scienza tolta a lumeggiare.
Carlo, come architetto, scelse l’archeologia architettonica, e del suo vasto sapere lasciò monumenti immortali nella dissertazione sopra l’antichità di Alba fucense negli Equi; nell’opera ammiranda delle antichità d’Aosta da lui misurate, disegnate, illustrate.Domenico si diede di preferenza alla numismatica, alla quale sin da giovanetto erasi affezionato.
Quegli abbracciò inoltre l’epigrafia, e colle iscrizioni con somma dottrina dilucidate, potè dissotterrare da suoi ruderi e ricomporre l’antica Torino. Questi diede opera intensa alla sfragistica, poco nota in Piemonte. Quegli alla bibliografia degl’ingegneri italiani, questi alla biografia militare specialmente.
E così, mentre con siffatti studi gran parte dell’antica coltura disvelavano, non cessavano di pensare ai coetanei, uno insegnando nell’Università, e poi nella Scuola d’applicazione degl’ingegneri al Valentino; l’altro sostenendo il pondo delle gravi incumbenze dal Re affidategli.
Se non che notate di grazia, o Signori, vicende delle sorti umane. La vigilia del giorno (21 maggio 1873), che moriva il Manzoni a Milano, si seppelliva Carlo Promis in Torino, il giorno, che a questo si rendevano gli onori di solenni esequie in S. Francesco da Paola, si conduceva in Alessandria la salma di Urbano Rattazzi; l’immensa popolarità del primo, la rinomanza politica del secondo distolsero le menti, e impedirono, che si sentisse il danno, che all’intera Nazione incoglieva per la iattura irreparabile di Carlo Promis. E per poco non passava illagrimato, se gli amici non avessero, levando alta la voce, iniziato una pubblica soscrizione per erigergli un monumento2.
Ma quale onoranza si prepara al fratello Domenico?
Ed eccovi la ragione per la quale io sorgo in questo Consesso a pagare un tributo di lode alla sua memoria.
Non già per invitarvi ad aggiungere un novello monumento ai tanti già innalzati. Il monumento più bello, secondo me, sta nella biografia, che diffondendosi dentro e fuori della Nazione, vale a far conoscere l’uomo meglio di ogni più splendido monumento in bronzo o in marmo. Io sarò lieto se potrò colle mie parole eccitare a sfuggire il rimprovero, che sin dai suoi tempi Cornelio Tacito moveva lamentando il vizio comune alle grandi ed alle piccole città, d’ignorare il bene ed invidiare, che altri lo operi.
Rendo perciò grazie all’egregio Direttore, che invitandomi a dar una lettura in questo Istituto, da lui con tanto senno governato, mi abbia porto l’occasione di venire commemorando i meriti di Domenico Promis, e ad un tempo mi tengo assai obbligato a questo onorando Consesso, che con si eletta frequenza accresce splendidezza ed importanza all’omaggio, che cerco di rendere all’ingegno ed alla virtù.