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Domenico si diede di preferenza alla numismatica, alla quale sin da giovanetto erasi affezionato. Quegli abbracciò inoltre l’epigrafia, e colle iscrizioni con somma dottrinadilucidate, potè dissotterrare da suoi ruderi e ricomporre l’antica Torino. Questi diede opera intensa alla sfragistica, poco nota in Piemonte. Quegli alla bibliografia degl’ingegneri italiani, questi alla biografia militare specialmente. E così, mentre con siffatti studi gran parte dell’antica coltura disvelavano, non cessavano di pensare ai coetanei, uno insegnando nell’Università, e poi nella Scuola d’applicazione degl’ingegneri al Valentino; l’altro sostenendo il pondo delle gravi incumbenze dal Re affidategli. Se non che notate di grazia, o Signori, vicende delle sorti umane. La vigilia del giorno (21 maggio 1873), che moriva il Manzoni a Milano, si seppelliva Carlo Promis in Torino, il giorno, che a questo si rendevano gli onori di solenni esequie in S. Francesco da Paola, si conduceva in Alessandria la salma di Urbano Rattazzi; l’immensa popolarità del primo, la rinomanza politica del secondo distolsero le menti, e impedirono, che si sentisse il danno, che all’intera Nazione incoglieva per la iattura irreparabile di Carlo Promis. E per poco non passava illagrimato, se gli amici non avessero, levando alta la voce, iniziato una pubblica socrizione per erigergli un monumento1. Ma quale onoranza si prepara al fratello Domenico? Ed eccovi la ragione per la quale io sorgo in questo Consesso a pagare un tributo di lode alla sua memoria. Non già per invitarvi ad aggiungere un novello monumento ai tanti già innalzati. Il monumento più bello, secondo me, sta nella biografia, che diffondendosi dentro e fuori della Nazione, vale a far conoscere l’uomo meglio di ogni più splendido monumento in bronzo o in marmo. Io sarò lieto se potrò colle mie parole eccitare a sfuggire il rimprovero, che sin dai suoi tempi Cornelio Tacito moveva la-
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mentando il vizio comune alle grandi ed alle piccole città, d’ignorare il bene ed invidiare, che altri lo operi.
Rendo perciò grazie all’egregio Direttore, che invitandomi a dar una lettura in questo Istituto, da lui con tanto senno governato, mi abbia porto l’occasione di venire commemorando i meriti di Domenico Promis, e ad un tempo mi tengo assai obbligato a questo onorando Consesso, che con si eletta frequenza accresce splendidezza ed importanza all’omaggio, che cerco di rendere all’ingegno ed alla virtù.
I.
Domenico Casimiro Promis nacque in Torino il 4 marzo 1804 da Felicita Burquier, savoiarda, e da Matteo, uomo d’antica probità, e tesoriere della zecca. Poichè ebbe compiuti ancor giovanissimo gli studi delle lettere latine ed italiane nel liceo imperiale, coll’esame del magistero erasi aperto l’adito all’Università. Stette alquanto in forse se dovesse, seguendo l’andazzo d’allora, appigliarsi ad alcuna delle scienze ivi professate. Ma fortunatamente prevalse il pensiero, che anche seguendo la professione paterna, si può salire ad alto grado di sapere e di rinomanza, senza andare a sedere sugli scanni dell’Ateneo. Raccoltosi nella monetaria officina, dove il padre godeva meritata fiducia, colà si sviluppò nel giovinetto svegliatissima l’attitudine, che sortì da natura, per quella scienza nella quale doveva poi segnare orme profonde e luminose. La fanciullezza di lui parmi, che per qualche tratto somigli a quella del celebratissimo Borghesi, uno de’ fanciulli più illustri, uno degli archeologi, che più abbiano onorata l’Italia. Scartabellando i libri dello studio paterno, che per la massima parte riguardavano la scienza numismatica, mi venne fatto, egli dice, di scarabocchiare alcune pagine. E sapete quali pagine furono? Nullameno, che la dissertazione intorno la medaglia ravignana in bronzo dell’imperatore Eraclio, la quale, pubblicata in Cesena dal Borghesi in |