Coi Bersaglieri dell'Undicesimo Reggimento in guerra/Ritorna Mussolini
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Ritorna Mussolini.
Quando Mussolini terminò la sua licenza, girovagò qualche giorno in cerca del Reggimento, e finalmente ci raggiunse, accolto festosamente.
La sua presenza sul Carso era un simbolo, era l’espressione più viva della gioventù italiana che «surse cantando a chiedere la guerra».
Benito Mussolini volle subito rendersi conto personalmente della posizione.
Lo vidi girare per la trincea, talvolta allo scoperto, a rischio di essere freddato da qualche cecchino, lo vidi lavorare attorno al suo baracchino, e lo sentii più volte discutere con impazienza, sulla prossima avanzata.
Le piogge la ritardarono, e la stasi rese inquieti e nervosi i Bersaglieri, che desideravano di avanzare verso Duino che si protendeva nel mare.
La notte, a quota 16, dov’era il posto di medicazione diretto dal capitano Velia, arrivavano i viveri, e si doveva poi aspettare la notte successiva per essere riforniti.
Il turno di guardia era «intervallato» da lavori di difesa, di approfondimento e rafforzamento della trincea.
Tra un turno e l’altro si doveva ingozzare (è la parola!) il rancio freddo, che nelle gavette prendeva l’aspetto.... di uno sformato con colla.
Eppure il buon fante d’Italia tutto compreso del suo dovere, tutto proteso verso la vittoria mandava brevi e rari rammarici! Sarebbe stato bene che tanti parolai e tanti negozianti di dimostrazioni si fossero trovati in quel momento in trincea, ed avessero veduto qual era il sentimento che animava i soldati, e avessero potuto fare il confronto fra il patriottismo delle retrovie e il patriottismo della trincea!
Ricordo di aver fatto in quel tempo una gita nelle retrovie.
Quale diversità tra la vita del fante e quella che si conduceva alle sue spalle!
Il primo turno di trincea iniziato il 19 novembre, terminò il 31 dicembre! Il colera cominciava a serpeggiare. Le piogge continue che ostacolavano l’avanzata, ruinavano i lavori e le difese accessorie e fiaccavano il fisico degli uomini.
In quei giorni cominciarono a circolare le voci della pace tedesca, e furono accolte con indignazione! Ebbi in quel tempo l’ordine di attendere all’approvvigionamento dell’acqua per la quota.
Servizio delicatissimo, pericoloso, e pieno di responsabilità.
Dovevamo riempire i recipienti e le ghirbe ai pozzi di Ronchi, e di nottetempo, con una colonna di muli e di asinelli ed un’autobotte, trasportare l’acqua alla quota 144. A malincuore mi separai dai compagni, e ogni notte quando mi recavo alla quota, alla sfuggita potevo vedere qualcuno e salutarlo. Poche volte ebbi in quel tempo occasione di vedere Benito Mussolini. Ci trovammo poi, nel periodo di riposo, a Palazzato e ad Aquileja.
Palazzato era un posto contumaciale isolato, brullo, privo di acqua potabile non era certo un posto di riposo e di ricreazione! Si stette quivi fino al giorno 10 in cui fu ordinato il trasferimento ad Aquileja.
Frequenti erano le incursioni degli aeroplani specie durante il plenilunio.
In questo periodo di tempo il colonnello Beruto fu promosso Generale, ed in sua vece fu nominato comandante del Reggimento il colonnello Graziani cavalier Gino.
Dopo un breve riposo l’11° Bersaglieri passò di rincalzo sulla sinistra dell’Isonzo a Pieris, ed il 33° Battaglione fu accantonato a Ronchi come riserva.
La mia Compagnia, la 5a, insieme al Reparto Zappatori comandato dal tenente Danesi, fu inviata in posizione nelle trincee del Cosich. Mussolini colla sua squadra ebbe l’ordine di procedere ai lavori di rafforzamento delle prime linee, ed il lavoro notturno, pericoloso, sfibrante, era reso ancor più duro dalla neve e dalla bora che nel gennaio 1917 soffiava fortissima sul ciglione del Carso.
Durante le ispezioni trovai Mussolini come sempre alacre, ma.... serio e più abbottonato del solito.
In un primo momento credetti che il suo temperamento battagliero soffrisse per il ritardo nell’azione e mal si adattasse ai rudi servizi della trincea. Ma poi compresi come Mussolini soffrisse moralmente nel dover constatare l’inerzia del Governo e dei Comandi, e come nella sua mente, geniale e previggente, nettamente
I resti della Chiesa di Doberdò.
Nella trincea di quota 144.
Il Comandante la Sezione Bettica.
vedeva il danno enorme che recava nei soldati la propaganda pacifista che attivamente si stava svolgendo in Italia, e veniva inoculata alle truppe in linea dai reduci della licenza, che spargevano nelle file notizie demoralizzanti.
La conferma delle mie presupposizioni l’ebbi pochi giorni dopo, e intuii quale sorda collera ruggiva nell’animo di Mussolini desideroso di combattere, di lottare, di rompere l’inerzia e il marasma che minacciava la compagine e il valore dell’Esercito.
Si era tornati intanto agli avamposti di quota 144.
Il 1° febbraio si costituì una seconda sezione di lancia-spezzoni, e il caporal maggiore Mussolini ne accettava volontariamente il comando. Il 10 febbraio era di nuovo agli avamposti, mentre se avesse seguito le sorti del suo plotone, che andava a far parte del 64° Battaglione, avrebbe potuto trascorrere un non breve periodo di riposo nelle retrovie.
L’atto di Mussolini fu molto commentato ed apprezzato dai Bersaglieri, che ogni giorno erano testimoni del suo ardire, della sua incrollabile fede nella vittoria, e subivano il fascino del suo spirito dinamico e della sua parola incisiva, fervente, animatrice!
Trovasi ancor oggi a Firenze, quale operaio delle Ferrovie dello Stato, Serci Luigi, nominato caporal maggiore insieme a Benito Mussolini.
Il Serci può testimoniare la verità di quanto vengo narrando 1. S’incontrarono il Serci e il Mussolini in un camminamento della Valle di Jamiano e meravigliandosi il Serci che Mussolini fosse ancora in trincea mentre era stato trasferito col Battaglione gli disse: «Come? Sei ancora qui? A quest’ora potevi essere a Padova!».
E n’ebbe questa semplice e fiera risposta:
«Preferisco la trincea alla Caserma!».
In questa frase si può riconoscere l’animo fiero e combattivo del Duce!
Mussolini lavorò accanitamente per la postazione del cannoncino lancia-bombe, ed eseguì dei tiri aggiustati.
E fu, nel pomeriggio del 23 febbraio 1917, mentre eseguiva a quota 144 i consueti tiri di aggiustamento, che rimase gravemente ferito. Non ero presente al momento della disgrazia, e ne fui informato dal mio attendente.
Benito Mussolini cadde colpito da numerose schegge e lanciato a distanza.
Fu trasportato all’ospedale 46 di Ronchi, posto nel locale delle scuole. Quando mi presentai per visitarlo, i medici non me lo permisero per la gravità del suo stato, che destava la più grande ansia.
Durante la sua degenza, il nemico bombardò l’ospedaletto che era in una posizione scoperta, e che recava ben visibili i segnali della Croce Rossa.
Il giorno di poi tutti i feriti furono trasportati altrove, ad eccezione di Mussolini, che era intrasportabile per le gravi ferite.
Fu allora che S. M. il Re si recò a visitarlo.
Intanto ebbi la licenza invernale, e mi recai a trascorrerla a Firenze, dove ebbi la notizia che Benito Mussolini era stato trasportato, nel frattempo, all’Ospedale territoriale di Milano.
Non lo rividi più fino al 1919, quando venne a Firenze per il Primo Congresso dei Fasci, che si tenne al Teatro Olimpia.
Lo incontrai sulla porta dell’Hôtel Baglioni e ci abbracciammo. Quanti ricordi! Erano presenti due camerati, di cui non rammento il nome, ed uno di essi presentandosi mi disse: «Sono lieto di conoscerti perchè vedo che Mussolini ti vuol bene!». Poscia, insieme al collega Aiazzi, accompagnai Mussolini alla Redazione del Nuovo Giornale; quindi al Gambrinus, mentre la folla bolscevica che si era radunata ci urlava, ed attentava particolarmente alla sua vita 2.
E oggi, che Duce d’Italia, ancor combattente con la stessa energia e con la stessa fede, guida l’Italia ai più grandi destini, getto giù queste brevi note tolte dal mio Diario di guerra, con vivo sentimento d’orgoglio per aver combattuto al suo fianco, e averlo avuto commilitone ed esempio di dovere e di disciplina altissimo quanto semplice e silenzioso.