Codice cavalleresco italiano/Libro III/Capitolo XII
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XII.
Responsabilità dei giornalisti.
Premesso che la più completa riparazione per le offese fatte per mezzo della stampa è quella che può derivare dal verdetto di un giurì o dalla sentenza di una Corte d’onore, si ricorda che le offese fatte per mezzo della stampa sono soggette alle regole cavalleresche seguenti:
Se un gentiluomo si ritiene offeso da un articolo pubblicato da un giornale, la responsabilità dell’articolo ricade su chi lo ha scritto e firmato col proprio nome, o con un pseudonimo noto o con un monogramma noto, o con un contrassegno qualsiasi, purchè noto (Angelini, X, 19°)
Nota. — L’offesa fatta per mezzo della stampa appartiene al quarto grado (v. art. 15).
Se l’articolo non porta alcuna firma o segno noto che ne indichi l’autore, la responsabilità spetta al direttore del periodico, che lo ha pubblicato; a meno che l’autore si faccia palese e offra garanzia di non essere un prestanome.
Il Gerente responsabile, che risponde per la direzione di fronte ai Tribunali civili e penali, scompare dinanzi al Codice cavalleresco; non può quindi, sostituire il direttore del periodico, quando si tratti di rispondere con le armi di offese pubblicate per la stampa; giacché si ritiene che nulla viene inserito nel giornale, se prima non è stato letto ed approvato dal direttore.
Nota. — Si ricorda che generalmente il gerente è un povero diavolo qualunque, un uomo di paglia, un semplice manovale del magazzino o della tipografia, il quale si acconcia a correre il rischio di andare in gattabuia per tutto ciò che può essere stampato nel giornale di cui egli per modesto compenso è gerente. Spesso non legge il giornale, nemmeno per passatempo, ch’egli firmò come responsabile verso la legge.
Il proprietario di un giornale non può essere chiamato a rispondere cavallerescamente di quanto si pubblica sul suo giornale, a meno che risulti evidentemente provato il suo intervento in causa.
Nota. — In tesi generale non si può neppure discutere a chi spetti la responsabilità esclusiva di quanto è pubblicato in un giornale; il proprietario non c’entra per nulla; può essere una Società Anonima, può essere un vecchio acciaccato da’ malanni; può essere una donna; e, soltanto il direttore del giornale (o tutt’al più insieme a lui l’autore di un articolo firmato) ha il debito di dar conto degli articoli, delle notizie, dei commenti che si stampano.
Ma, ogni regola soffre eccezioni; e vi possono essere casi — per verità molto rari — nei quali il proprietario, per ragioni speciali, determina colla sua volontà l’indirizzo del giornale in una data questione e la sua volontà si sostituisce, per così dire, a quella del direttore e dei redattori.
Quando ciò avvenga, e per atti pubblici indiscussi, tacitamente ammessi, sia notorio, allora si comprende che il proprietario possa essere ritenuto responsabile cavallerescamente delle pubblicazioni, che da questo suo palese intervento ebbero origine.
Il pubblico deve far capo al direttore del giornale; ma sarebbe strano il pretendere che quando esistono prove che di una pubblicazione è autore o mente ispiratrice il proprietario, chi se ne sente offeso debba fermarsi alla finzione giuridica che gli oppone la persona del direttore. Tanto varrebbe allora chiedere ragione di tutto e sempre al gerente responsabile!
In questo senso, infatti, si pronunciò la Corte d’onore dell’Associazione della Stampa di Roma (1891).
La responsabilità di un articolo anche sottoscritto, ricade sul direttore del giornale che lo ha pubblicato; l’autore o il firmatario, appartengono alla classe degli indegni, o di coloro ai quali, per una ragione qualunque, è negato l’onore di trattare vertenze cavalleresche; o quando l’autore, declinandone la responsabilità, ricusi di ritrattarsi, o di dare le dovute soddisfazioni.
La stessa responsabilità spetta al direttore del periodico, tutte le volte che si potranno raccogliere indizi sufficienti per ritenere che il firmatario dell’articolo pubblicato è un semplice prestanome. In caso dubbioso i padrini della parte lesa, potranno rivolgersi per la decisione ad una giurìa d’onore, composta di pubblicisti di specchiata onoratezza e d’intelligenza provata.
Nota. — Nè ci vorranno accusare, perciò, di troppa severità. Si consideri che, come in tutte le classi sociali, anche in quella dei pubblicisti e dei direttori di giornali, possono esistere elementi malvagi, i quali sotto l’egida di una lancia spezzata, o di uno spadaccino di mestiere, assoldato perchè presti col nome il suo braccio, potrebbero attaccare impunemente il più onesto dei cittadini.
La responsabilità di un articolo offensivo, scritto o firmato da chi ha sorpassato i cinquantacinque anni, cadrà sul direttore del giornale che lo ha pubblicato, se l’autore o firmatario non si trovi in condizioni fisiche tali da poter accettare una domanda di soddisfazione.
In caso contrario, cioè in quello nel quale l’autore o firmatario dell’articolo sia ancora sufficientemente capace di maneggiare le armi, dovrà personalmente rispondere alle ingiurie pubblicate a bella posta, in mala fede e senza provocazione; privandolo una tale azione del privilegio d’immunità, che l’età avanzata gli concedeva.
Nota. — Le offese commesse per mezzo della stampa sono di natura più gravi di quelle provenienti verbalmente da una persona.
Non si terrà responsabile, e rifiuterà qualsiasi soddisfazione, quel direttore di giornale o pubblicista che stampa articoli, nei quali, senza fare alcuna offesa od allusione personale, esprima i propri apprezzamenti su fatti compiuti, o li riporti come semplice cronaca (Giurì d’onore, marzo 1885, Napoli).
Fatta astrazione da ogni esame sulla forma del mandato di una sfida collettiva, un pubblicista non deve rispondere con le armi di un articolo, sia di apprezzamenti, sia di semplice cronaca, nel quale non si contenga nessuna offesa personale.
Nota. — Qualunque sia la posizione del responsabile di offese fatte col mezzo della stampa, gli offesi faranno bene di nominare i propri rappresentanti, e riunitisi con quelli della controparte, invece di intavolare discussioni sulla responsabilità delle offese e sulla capacità cavalleresca dell’offensore o del responsabile, proporranno di rimettere alla Corte d’onore, o a un giurì, la definizione della vertenza, qualora riesca loro impossibile sistemarla decorosamente in via pacifica e civile.