Codice cavalleresco italiano/Libro III/Capitolo II
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II.
Accomodamento pacifico della vertenza1
Qualunque sia l’indole della querela, i rappresentanti non risparmieranno nessun tentativo per il pacifico componimento della vertenza.
Nota. — Così opina Châteauvillard, IV, 3°. I rappresentanti non devono dimenticare l’art. 241 del Codice penale italiano e devono coscienziosamente ottemperarvi non solo nell’interesse loro, ma anche in quello del proprio rappresentato, la vita e l’onore del quale sono nelle mani loro. Le vertenze più difficili potrebbero risolversi pacificamente, se i rappresentanti non si immedesimeranno della parte che rappresentano.
Potendo addivenire ad una sistemazione amichevole, i rappresentanti si condurranno di maniera che, senza offendere la giustizia e l’equità, il loro rappresentato abbia a scapitarvi il meno possibile, rimanendo sempre tra di loro cavallereschi e scevri di parzialità.
Nota. — Si ricordi che i rappresentanti non devono immedesimarsi nel risentimento o nella responsabilità dei loro primi; e tanto meno esigere dall’offensore dichiarazioni, scuse ecc., umilianti. Pretendendo ciò, non raggiungeranno lo scopo della soluzione pacifica, e tanto meno faranno l’interesse del loro primo, perchè le ritrattazioni, le scuse, ecc., se umiliano chi le fa, raramente giovano e fanno onore a chi le impone e le accetta.
Se l'offensore nega l’esistenza dell’ingiuria, della quale gli si chiede una riparazione per le vie cavalleresche, i rappresentanti non andranno più oltre, e redatto apposito verbale, lo consegneranno all’offeso.
Nota. — Negare l’offesa equivale, come fu già detto (art. 4, 35, 36), alla più ampia ritrattazione, semprechè l’offesa vi fu. Di fronte alla negativa spetta allora, se n’è il caso, a chi rese edotto l’amico della patita ingiuria, se questa non fu diretta, di pretendere una spiegazione per la mentita fattagli subire. Ma in ciò i rappresentanti del supposto offeso non devono immischiarsi, essendo una vertenza del tutto nuova, indipendente ed estranea a quella, per la quale era stato richiesto il loro intervento.
Trovandosi i rappresentanti d’unanime accordo, che «l’ingiuria non esige l’uso delle armi», distenderanno apposito verbale da sottoporsi all’approvazione dei rispettivi mandanti, se (per errore o dimenticanza) il mandato affidato non fu ampio.
Nota. — Il mandato è illimitato quando nella domanda di soddisfazione non si leggono parole e frasi che possono far nascere il dubbio di una limitazione della discussione della vertenza o della specie di soddisfazione richiesta. Così, p. es., se si dicesse: «Vi do il più ampio mandato per ottenere una soddisfazione anche con le armi...» il mandato non è più illimitato, ma imperativo; non si tratta più di una richiesta di soddisfazione, ma di riparazione vera e propria, che esclude la soluzione pacifica della vertenza. E codesto mandato non si accetta; ma se si accetta allora si escluderà la soluzione diversa da quella dell’uso delle armi (C. d’O. Livorno, 25 agosto 1921).
Di questo verbale, nel quale dichiareranno esplicitamente che la vertenza fu esaurita, consegneranno copia ai due primi.
Se la soluzione pacifica della vertenza venisse respinta da uno dei primi, i mandatari, valendosi del diritto che loro assicura il mandato illimitato, redigeranno apposito verbale, da rendersi di pubblica ragione, squalificante il ribelle.
Una copia di questo verbale verrà rimessa alla parte interessata ed altra ad un giurì d’onore, il quale deciderà sulla condotta dei rappresentanti.
Nota. — Si tenga però presente, che la squalifica è bene che venga pronunziata da un giurì o da una Corte per evitare contrasti tra rappresentato e rappresentanti. Ed è poi necessario che si esamini accuratamente se il mandato era o no illimitato, perchè se non lo era, la squalifica potrebbe ricadere sui rappresentanti (C. d’O. Livorno, 25-8-1921).
Presentata copia del verbale al giurì bilaterale o unilaterale, se il mandante si rifiutasse di adire al giurì bilaterale, i rappresentanti si ritireranno ed eviteranno qualsiasi discussione o polemica col rappresentato, o con chi per lui.
Il mandante che ritenesse l’onor suo, o i propri diritti lesi da un verbale dei suoi rappresentanti, ai quali affidò ampio mandato, o da un verbale di questi e di quelli della controparte insieme, ha la facoltà di chiedere il giudizio di un giurì d’onore per la tutela della reputazione sua. Se i firmatari rifiutassero di partecipare al giurì, il mandante deve appellarsi ad un giurì unilaterale, costituito su domanda sua da persone del luogo, investite di pubblici uffici elettivi, o dal magistrato più elevato in grado, residente ove fu consumata l'offesa (C, d’O. Livorno, 25 agosto 1921).
Nota. — Parrebbe impossibile, ma purtroppo è accaduto che i quattro rappresentanti, concordi, o quelli di una parte, dimentichi di ogni onestà, hanno volontariamente, di proposito, e non per ignoranza, compromesso la posizione cavalleresca del loro rappresentato. Contro codeste turpi azioni deve esservi un mezzo di difesa, e codesto mezzo è appunto il diritto riconosciuto di appellarsi a un giurì, o a una Corte d’onore, non potendosi ammettere che due o quattro disonesti possano di comune accordo per malvagità o interesse rovinare nella reputazione un galantuomo.
La protesta contro un verbale che lede l’onore, la reputazione, o i diritti di un rappresentato, deve essere immediata e presentata entro le 24 ore dalla consegna di detto verbale.
Se le vertenze sono originate da cause futili, da puntigli, o da questioni meschine, devono assolutamente essere composte all’amichevole. Se, invece, sono sorte in seguito ad insulto, al giuoco o in altro modo, sieno ben circospetti i testimoni per non indurre facilmente a duello un inesperto, provocato a bella posta da uno spadaccino di professione per farne una vittima designata.
I rappresentanti devono pure sindacare se l’offensore agì in proprio, o per conto di terzi, perchè sovente è accaduto che un pazzo, un esaltato o un poco di buono, per danaro o per astio personale, fanno propria l’offesa da altri compiuta, od offendono e provocano per conto indiretto di terzi.
Nota. — Codesti Sparafacile devono essere messi alla gogna pubblicamente, e deferiti all’Autorità giudiziaria, se gli elementi raccolti sono sufficienti per una denunzia (vedi art. 218); altrimenti si porteranno davanti al giudizio di un Giurì o di una Corte d’onore.
Ma le vertenze che danno seriamente a riflettere, sono quelle originate dalle passioni umane. Queste vertenze, le più difficili a condursi, finiscono quasi sempre con uno scontro. Ora, che abbiamo un mezzo (Corte) efficace per la tutela dell’onore, codeste vertenze devono scomparire per la tranquillità delle famiglie e delle persone oneste.
Raccomandiamo infine, ai rappresentanti di non esaurirsi in chiacchiere inutili, che è quanto dire, siano sobrii a parole e si mantengano sempre strettamente ed esclusivamente ai fatti.
Note
- ↑ Veggasi Gelli, Manuale del duellante, pag. 41.