Clelia/LXXII
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CAPITOLO LXXII.
I MONTIGIANI.
Mentre si pugnava disperatamente in Trastevere, i Montigiani, guidati da Cucchi, Guerzoni, Bossi, Adamoli ed altri generosi — non se ne stavano colle mani alla cintola. —
Lo scoppio della mina nella caserma degli zuavi era convenuto dovesse essere come il segnale del loro moto. — E la mina scoppiò — e quei prodi mossero con eroica risoluzione alla testa di tutta la gioventù romana che si potè radunare. —
Quanti birri, impauriti dallo scoppio della mina si trovarono sul passaggio del popolo, furono disarmati — od uccisi quelli che vollero resistere.
Però la mina avea fatto molto fracasso e poco danno — vuoi perchè fosse la polvere insufficiente o pure mal collocata. — I giornali clericali — e i governativi italiani (che vuol poi dire lo stesso) — assicurano: che solo la musica dei zuavi, composta d’Italiani — era volata per aria — e che gli stranieri — specialmente raccomandati alle efficaci preghiere di Sua Santità — erano stati miracolosamente salvi. — Forse perchè gli Italiani, hanno la fortuna di non essere più l’oggetto delle preci della negromanzia! —
Il fatto sta, che pochi furono i mercenarj morti — e gli altri, usciti dalle caserme ed ordinatisi — incominciarono un fuoco d’inferno contro il popolo inerme.
Sulla caserma si dirigeva Cucchi — coi suoi luogotenenti Bossi ed Adamoli — ed alla loro voce — e col loro esempio — la gioventù romana — si precipitava furibonda contro i mercenarj stranieri. — Era una lotta a corpo a corpo — di gente per la maggior parte inerme, — che s’avvinghiava ai soldati di mestiere e cercava di strappar loro le armi. — Ma i mercenarj erano molti. — L’oro e i sussidi del Bonaparte erano stati potenti — un gran numero di soldati francesi, sotto l’assisa degli zuavi pontifici — da molto tempo per Civitavecchia aveva presa la via di Roma.
I mezzi che i paolotti — gesuiti — reazionarii, avevano inviato al papa da tutte le parti del mondo — erano immensi. — Si aggiunga a tutto ciò — gran numero di fanatici — preti e monaci — che coll’abito di mercenari1 frammischiati ai soldati papalini, li eccitavano all’eroismo delle carneficine — promettendo loro in ricompensa la gloria del paradiso — oltre alle ricompense di molto oro — e quant’altro potevano desiderare.
— Povero popolo di Roma!
E chi dobbiam contar noi sotto quella denominazione — quando si sia detratto tutto quanto v’era di popolo pretino! — Togliete Papa, cardinali, monsignori; preti, frati — accumulati lì. dell’intiero globo — con donne, con servitori — con cuochi — con cocchieri e con parenti di cuochi — di servi — di serve delle loro donne — e con una massa di popolazione operaja — vivente alle spese di questa ricchissima ciurmaglia — ciò che resta meritevole del nome di popolo. — che non appartiene al negromantismo — sono alcune famiglie oneste del medio ceto — pochi barcaioli e pochi mendichi.
Xella campagna — ove l’ignoranza mantenuta dal pretismo ha gettato ancor più forti radici — la gente parteggiava per il chiericume in tutta l’Italia — massime nella campagna di Roma — ove tutti i padroni son preti — od amici potenti dei preti.
Mentre Cucchi co’ suoi prodi compagni — sosteneva alla testa del popolo — un’eroica ma disuguale pugna nei dintorni della caserma degli zuavi — Guerzoni e Castellazzi — guidando un drappello di giovani aveano assaltato porta san Paolo — disarmato alcune guardie — ed incamminavansi fuori — ove dovevasi trovare un deposito d’armi. — Le armi vi erano veramente — ma padroni di quelle armi — si trovavano già forti nerbi di truppe e birri pontifici — con cui i nostri valorosi amici dovettero pure sostenere un disugualissimo combattimento — e finalmente disperdersi — perseguiti dall’accanita sbirraglia. —
- ↑ Di costoro se n’eran trovati in Monterotondo coi zuavi prigionieri.