Clelia/LXVIII
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CAPITOLO LXVIII.
PREDICAZIONE DEL SOLITARIO.
— Addio Venezia! non ultima gloria d’Italia! Il tuo popolo — come il resto dei popoli della penisola, passato sotto le verghe dello straniero — ha perduto la gloriosa impronta di grandezza — che lo distingueva ai tempi di Venier e di Dandolo. — Come i suoi fratelli — si è intisichito d’anima e di corpo — e come a loro non gli resta che la millanteria dei tempi passati. —
Pare impossibile! a qual punto le nazioni sono corrose dal despotismo e dal prete. — Guardate il fiero Yankee1 bello, franco, eretto — che nulla trova di arduo nel mondo e grida sempre — Avanti! nelle imprese più arrischiate.
Tale è l’inglese e tale è anche lo svizzero.
Paragonate quei liberi popoli coi discendenti di Leonida e di Bruto — e questi troverete curvi sotto l’abitudini del servilismo — e del continuo timore — che fan pesare sovr’essi i due papi di Stamboul2 e di Roma.
Io ho veduto greci in Costantinopoli inchiodati per un orecchio alla porta della loro bottega — e lo straniero passando sogghignare con disprezzo — chiamandoli truffatori e ladri — ed eran veramente ladri e truffatori — condannati al chiodo per falsificazioni e furti.
Il romano mendico sotto i colonnati dei suoi templi — ha forse qualche cosa di men disgustante del Romeoì3 di Stamboul — men depresso — ma è altrettanto vizioso e degenerato. —
E Venezia! — come Roma — come le altre sorelle italiche è degenerata! La mia comparsa in quella città predicando i principii santi di libertà e del vero — riuscì di poco frutto. — Grida sfrenate vi si udirono al mio passaggio — ma i fatti poco o nulla corrisposero alle grida. — Invece di deputati — che io raccomandai buoni — furono inviati quasi tutti servili. — I preti che io dipinsi quali erano, colle loro turpi malvagità — passeggiano insolenti — e riveriti come prima.
A Padova ebbi il caro spettacolo degli studenti — di quella celebre università — e l’animo mio fu ringiovanito dal loro fervido amore di patria e dell’umanità. —
Vicenza — Treviso — Udine — Belluno — Feltre — Conegliano — mi accolsero calorosamente — e serberò tutta la vita grata memoria di quelle care popolazioni. —