Ciuffettino/Capitolo III

Dove Burchiello, figlio dell’oste Veleno, compiange di vero cuore Ciuffettino e gli propone di andar con lui a vedere i fochi dal nipote del barbiere Tosacani

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Dove Burchiello, figlio dell’oste Veleno, compiange di vero cuore Ciuffettino e gli propone di andar con lui a vedere i fochi dal nipote del barbiere Tosacani
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III.

Dove Burchiello, figlio dell’oste Veleno, compiange di vero cuore Ciuffettino e gli propone di andar con lui a vedere i fochi dal nipote del barbiere Tosacani.


Ed ecco Ciuffettino a tirare il mantice nella bottega del sor Teodoro, detto volgarmente Trippetta. Il mantice soffiava, ma il ragazzo soffiava più del mantice. Per i primi quattro giorni, le cose andarono benino: Ciuffettino si divertiva a veder battere il ferro rovente, a vederlo foggiare, limare, lustrare: e il divertimento gli faceva dimenticar la noia e la fatica del mantice. Ma dopo quei pochi giorni... si tornò alle solite. Ciuffettino doveva andare a bottega alle sei: finì con l’andarci alle due dopo mezzogiorno. Doveva aiutare il padrone nel suo lavoro: e invece stava su l’uscio di bottega a fare il chiasso con i compagni. E il sor Teodoro se ne lagnò subito con compare Attanasio.

— Lo vedi? - gridava questi, rivolto alla madre del bambino. - Lo vedi? Tu che lo proteggi sempre? È [p. 20 modifica]inutile: quel ragazzo non sarà mai buono ad altro che a far dei malanni. E invece di formare la consolazione dei nostri ultimi giorni, ci manderà più presto al camposanto.

La sora Aspasia, che a proposito del figliolo era incorreggibile, rispondeva, corrucciata:

— Ma che camposanto!... Certe cose, proprio, non si sa come t’escano di bocca... È un po’ vivo, povero bimbo... ma il cuore è buono...

Una volta, il sor Teodoro disse a Ciuffettino:

— Senti... stasera mi toccherà a far tardi perchè ci ho un lavoro da terminare... E tu mi aiuterai: così ti regalerò due bei soldi nuovi di zecca. Ora vado ad avvisare i tuoi che non ti aspettino a cena: e poi passo dal farmacista per sentire del letto da allargare... Torno subito: hai capito? Non far malanni...

— Ma io, veramente, stasera preferivo di andare a dormire! - esclamò Ciuffettino con un muso lungo un miglio.

— Caro mio, quando uno deve guadagnarsi il pane con le proprie braccia, bisogna che lasci da parte le poltronerie. Rammentalo: perchè tu, disgraziatamente, non sei il figliolo di un signore: e ti toccherà a lavorare come un ciuco per campar la vita...

— Come un ciuco lavorerete voi! - disse il ragazzo, tutto impermalito. - Io, per vostra regola, quando sarò grande, farò il milionario!...

Il sor Teodoro non gli rispose neanche - perchè con quel monello c’era da compromettersi, proprio. Si infilò la giacca e uscì.

Imbruniva. Nella piazzetta del villaggio i buoni paesani si radunavano in crocchi intorno alla fontana, a frescheggiare. I ragazzi correvano, saltavano, ridendo [p. 21 modifica] e schiamazzando, tra i gruppi dei grandi, e Ciuffettino, che se stava mogio mogio su la porta della bottega, li guardava, sospirando melanconicamente.

Ad un tratto il suo occhio ebbe un lampo di gioia. Nella penombra della sera aveva intraveduto le linee piuttosto goffe del suo buon amico Gigino, soprannominato, chi sa perchè, Burchiello, da tutta la ragazzaglia di Cocciapelata.

Burchiello era figlio di un oste del paese che si era reso celebre nei dintorni per il Marsala fatto con la camomilla e l’estratto di sorbe fermentate. Il figliuolo di tanto padre era una birba peggio di Ciuffettino: e però Ciuffettino gli portava un amore sviscerato.

— Buonasera, Ciuffettino - fece Burchiello avvicinandosi.

— Buonasera, Burchiello.

— O che fai?

— Mi diverto a contar le lucciole.

— Buon pro ti faccia! Addio...

— Dove vai?

— Giusto! Perchè non vieni anche tu? C’è il nipote del Barbiere Tosacani che ha comprato quattro soldi di mortaretti, e li vuole sparare tutti stasera...

— Ma bisogna andare a Cocciapelata alta...

— Eh! già!

— E io non posso, perchè ci ho da aspettare padron Teodoro, che torna per lavorare sino a tardi...

— E tu devi star lì ad aiutarlo?

— Già... a far soffiare il mantice!

— Ti compatisco... poveraccio! Proprio, ti compatisco. [p. 22 modifica]

Ciuffettino tacque, e alzò gli occhi al cielo.

In quella, eccoti la sora Menica, la moglie del sor Teodoro, con un grosso involto sotto il braccio, e due piatti coperti in mano.

— Guarda, Ciuffettino - disse la buona donna appoggiando la roba su di un banco - questo è la cena del mi’ marito... Digli che non faccia tanto tardi, che non si affatichi troppo, poveromo... Intanto, per aspettarlo gli cucirò du’ camicie... Buonasera, figliuolo... abbi giudizio, sai, non ti allontanare di bottega...

— Ma che! - fece il ragazzo che un gesto da grand’uomo annoiato.

— Sei proprio una vittima! - seguitava Burchiello, sedendosi sul limitare della bottega, e voltando il capo di tratto in tratto verso il banco dove era stata depositata la cena del sor Teodoro. - Quando passo di qui, e ti vedo a tirare il mantice... proprio... mi vien da piangere!

Ciuffettino si sedette accanto all’amico e lo baciò delicatamente su di un occhio.

— Ma il tuo babbo - disse poi, asciugandosi una lacrima - non ti dice mai di lavorare?

— Chè!... mai! Mio padre ha altro pel capo!... C’è la mamma: ma alla mamma non si dà retta. Sarebbe ora di finirla, con questa storia! Perchè, dico io, un povero bambino ha da star delle ore a rovinarsi la salute su i libri, o pure ad affaticarsi in una bottega di falegname o di fabbro? Via... non c’è carità, siamo giusti. I ragazzi non debbono far mai [p. 23 modifica]nulla: altrimenti, a che servirebbe di essere ragazzi?

Burchiello parlava e arricciava il naso.

— Ma che hai? - gli domandò Ciuffettino.

— Sento un certo odore che...

— È odore di stufatino coi fagioli - disse, ridendo, il figlio di compar Attanasio.

— Povero grullo! questo gli è cavolo strascinato...

— Me che cavolo d’Egitto! È stufatino!

— È cavolo!

— È stufatinooo!

— Vogliamo vedere?

— Vediamo!

E i due bricconcelli si avvicinarono al banco e alzarono uno dei piatti portati dalla Menica.

— Hai visto, grullo? Patate lesse e condite!

— Ma guardiamo quell’altro piatto...

— Guardiamo pure!...

Era stracotto con lenti: ma uno stracotto così bello e profumato, che sembrava dicesse: mangiami, mangiami!