Le scarpe

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Padrona e servi Al servizio del Re
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LE SCARPE.

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Anche quando non aveva udienze, e questo oramai gli succedeva spesso perchè essendo i tempi difficili la gente esitava prima di mettersi a litigare e sempre per la stessa ragione anche gli avvocati di grido, gli ex‐professori e gl’impiegati in ritiro facevano i procuratori, Elia Carài andava egualmente alla Conciliazione, si metteva a sedere nella sala d’aspetto e appoggiando il taccuino al ginocchio o al muro scriveva versi in dialetto per sua moglie. Intorno era un mugolio di tempesta; la folla andava e veniva, le donnicciuole convenute là per cause di pochi soldi si ingiuriavano, tragiche e solenni quasi avessero a spartirsi il mondo, gl’imbroglioni pronti a giurare che non dovevano nulla al proprio creditore passavano a testa alta, sporgendo il petto; i procuratori più affamati dei loro clienti andavano dall’uno all’altro meditando il modo di appropriarsi qualche foglio di carta bollata: Elia non si meravigliava di nulla.

Su mundu lu connosco e donzi cosa
Chi succedit succedere deviat

scriveva nei suoi versi arcaici dedicati a sua moglie. [p. 130 modifica]

«Il mondo lo conosco, ed ogni cosa che succede doveva succedere. Io sono poeta e filosofo e nulla mi sorprende. La vita è una altalena: oggi in alto, domani in basso, posdomani di nuovo in alto. Non disperarti, giglio d’oro. Può darsi che mio zio Agostino, che ha cacciato via di casa e diseredato sua moglie, si ricordi di noi. Allora ce ne andremo in riva al mare, guarderemo le barche lontane e ci stringeremo la mano come sposi. Del resto anche adesso siamo felici: la pace e l’amore regnano nella nostra dimora, e tu, cedro del Libano, Venus hermosa, sei la mia ricchezza e la mia regina....»

Una mattina d’inverno un carrettiere battè sulla spalla d’Elia la mano che sembrava di pietra:

— Corri, uomo! Sono stato a Terranova con un carico di scorza ed ho veduto tuo zio Agostino, lo spedizioniere, gravemente malato....

Elia s’alzò, composto, passandosi in segno di dolore la mano sui capelli già grigi.

— Vado a partecipare la triste notizia a mia moglie.

La moglie non parve commuoversi troppo, anzi non si alzò neppure dallo scalino della porta ove sedeva cercando di scaldarsi al sole. Era vestita da borghese, era calzata, pettinata alla moda; ma appunto il vestito leggero, sfrangiato, le scarpe rotte, i capelli radi che incorniciavano come d’un’aureola nera il suo viso bianchissimo di anemica, rivelavano meglio la sua miseria. Gli occhioni [p. 131 modifica] una volta neri eran divenuti d’un color nocciuola dorato, fissi e indifferenti come quelli della lepre.

Dall’interno della casa ove i due avevano in subaffitto una stanzetta terrena che dava sul cortile, usciva un chiasso come quello della Conciliazione; i padroni di casa litigavano e nella bettola di loro proprietà gli uomini giocavano alla morra e ridevano.

La moglie di Elia, come suo marito nella Conciliazione, rimaneva inerte, indifferente alle voci del prossimo. Così egli la voleva e l’amava.

— Sai cosa faccio? — le disse carezzandole i capelli e guardando il cielo. — Vado.

— Dove?

— Dove? Ma di che si parla? Dallo zio Agostino. Il tempo è bello, — aggiunse senza rivelare tutto il suo pensiero; ma la moglie dovette indovinarlo perchè guardò le scarpe leggere e consunte di lui e domandò: — e i denari del viaggio?

— Ce li ho. Non preoccuparti, non pensare a nulla. Tutto va bene, nel mondo, a saper prendere le cose con calma e filosofia; tutto sta a volersi bene, a trattarsi con gentilezza. Queste cose appunto dicevo qui.... stamattina.... Vuoi leggere?...

Staccò i foglietti dal taccuino e timidamente, arrossendo, glieli lasciò cadere in grembo. E furono la sola provvigione che le lasciò per quei giorni. [p. 132 modifica]

Egli s’incamminò a piedi. Non aveva che tre lire e conosceva troppo bene il mondo per perder tempo a cercar di farsi prestare i denari del viaggio.

D’altronde egli era abituato così: non aspettava aiuto che dalla sua calma filosofica e dall’eredità di suo zio Agostino. Era inoltre un forte camminatore e si preoccupava più delle sue scarpe che dei suoi piedi: se le cose andavano bene, a tutto si sarebbe rimediato.

Le cose andarono bene fino ad Orosei: la strada era sempre in discesa, molle, piana, accompagnata, preceduta e seguita da paesaggi fantastici che solo a guardarli facevan dimenticare gli affanni terreni. Pareva di attraversare un paese incantato, e il sole di diamante dava il suo freddo e puro splendore a tutte le cose intorno: l’erba e le roccie scintillavano; poi a misura che scendeva, Elia sentiva il sole farsi più caldo e più dorato, e finalmente vide, sullo sfondo marmoreo delle colline verso il mare i mandorli coperti di fiori rosei come a primavera.

Ma il sole a un tratto sparve; dopo un breve crepuscolo cadde la notte gelata ed Elia sentì i piedi umidi. Le sue scarpe s’erano crepate. Era una cosa che doveva succedere anche questa, ma egli non l’accettò con la [p. 133 modifica] solita filosofia. Accomodarle non poteva, e neppure farsene prestare un paio. D’altronde camminare con le scarpe rotte era difficile, e indecoroso presentarsi in casa dello zio come un mendicante. Per tutelare il suo avvenire e provvedere alla salute e al benessere di sua moglie, bisognava a tutti i costi procurarsi un paio di scarpe. Ma come? Elia non sapeva come rispondere. Intanto arrivò al paese.

Le strade erano buie, battute dal vento del mare; non si vedeva anima viva e solo da una locanduccia sulla piazza usciva un chiarore ospitale. Egli entrò e domandò alloggio per la notte, pagando anticipato gli fu assegnato un letto in una stanzaccia ove dormivano altri due viandanti, uno dei quali russava come l’orco. Elia si coricò vestito ma non potè chiuder occhio; vedeva innumerevoli file di scarpe, lungo le vie del mondo, entro le case, nei campi: dovunque c’era un uomo c’era un paio di scarpe. Molte stavano nascoste entro i cassetti, nei comodini, negli angoli più equivoci; altre pareva vegliassero, ai piedi del letto, il sonno dei loro padroni; altre aspettavano sulla soglia degli usci, e altre infine, come le sue, partecipavano all’ansia ed alla miseria di chi le calzava....

Il rombare del vento al di fuori e il russare del viandante accompagnavano la sua ossessione. Le ore passavano; una stella salì, azzurrognola come bagnata d’acqua marina, e si fermò dietro i vetri tremuli della finestruola. Elia pensò a sua moglie, ai versi che le [p. 134 modifica] alla vita comoda che li aspettava se lo zio Agostino gli lasciava i suoi beni....

S’alzò e curvo, tastoni, prese le scarpe dell’uomo che russava. Pesavano, ed egli sentì sulle sue dita calde il freddo dei loro chiodi consumati. Le lasciò e palpando il pavimento cercò le scarpe dell’altro ma non le trovò.

Ed ecco un lieve rumore nel corridoio, come d’un passo scalzo. Egli stette immobile, curvo, con le mani sul pavimento, palpitando come una bestia paurosa. Aveva tutta la coscienza della sua degradazione, e una tristezza appunto istintiva come quella dell’animale in pericolo lo opprimeva; ma cessato il rumore uscì sull’uscio per accertarsi che non c’era nessuno, e al chiarore d’un lumino posto in fondo al corridoio vide un gatto che passava sfiorando il muro con la coda ritta, e un paio di scarpe elastiche sull’uscio accanto che gettavano la loro ombra con due enormi uncini sul pavimento.

Egli le prese, le nascose sotto il pastrano e andò giù: un uomo dormiva nell’atrio, su una stuoia, badando ai cavalli dei viandanti; il portone era chiuso appena col saliscendi. Elia se ne andò quindi tranquillamente, si trovò nella strada litoranea, lungo il mare grigio sotto le stelle tremolanti che pareva volessero staccarsi dal cielo e scender più giù anch’esse.

— È curioso come tutto nella natura e nell’uomo tende al basso,— pensava Elia, [p. 135 modifica] camminando rapido col vento attraverso la landa nera chiusa dai monti neri e dal mare grigio.

Dopo una mezz’ora di viaggio credette giunto il momento di mettersi le scarpe rubate; sedette sul paracarri, e dopo averle infilate le palpò bene, contento che fossero morbide e larghe: ma così curvo sentì di nuovo, all’improvviso, un senso di degradazione che lo avvilì.

— E se mi inseguono? Bella figura! Che dirà mia moglie? Mettiti almeno a rubare qualche milione, non un paio di scarpe usate, Elias Carài!

— Il milione! A trovarlo! Lo prendo subito, — aggiunse beffandosi di sè, allungando i piedi e muovendo le dita dentro le scarpe. Ma, cosa strana, i piedi palpitavano, ardevano, pareva stessero malvolentieri là dentro.

E quando egli riprese la strada tenendo sotto il braccio le sue scarpe per rimettersele e buttar via le altre in caso d’inseguimento, non gli riuscì più di camminar rapido come prima: le gambe gli tremavano, ogni tanto si fermava sembrandogli di sentir passi dietro di lui.

L’alba che saliva dal mare pallida dietro un velo di nebbia lo spaventò come un fantasma. Adesso potevano vederlo anche i viandanti che avrebbe incontrato lungo la strada diretti ad Orosei; e là giunti, sentito il fatto delle scarpe rubate, potevano dire: «sì, abbiamo incontrato un uomo che andava sospettoso con un involto sotto il pastrano....» [p. 136 modifica]

Incontrò infatti un paesano che se ne andava tranquillo, nero nell’alba, con la sua tasca e il suo bastone, e gli parve che si voltasse a guardarlo e sogghignasse.

La giornata veniva su triste e grigia; le nuvole correvano come enormi matasse nere arruffate, dai monti al mare, dal mare ai monti, attaccandosi alle roccie e agli scogli che le districavano un po’: i corvi passavano gracchiando sopra la brughiera contorta dal vento.

I sereni paesaggi del giorno prima erano lontani; adesso tutto aveva un aspetto torbido, demoniaco, ed Elia credeva di sentir voci lontane, urla di gente che lo inseguiva e lo sbeffeggiava.

Finì col rimettersi le sue scarpacce e abbandonò le altre sulla strada; ma neppure così trovò pace. Drammi fantastici si svolgevano nella sua immaginazione: uno dei due poveri viandanti coi quali aveva dormito seguiva la stessa strada e si prendeva le scarpe; inseguito, scoperto, passava lui per colpevole e chissà a quanti guai si esponeva.... Oppure quelli da cui gli sembrava di essere sempre inseguito, trovavano la refurtiva e continuavano a perseguitarlo sino a fargli scontare vergognosamente la sua colpa. Che direbbe sua moglie? Nella sua mente infantile, eccitata dalla stanchezza, dal freddo e dalla fame, la cosa s’ingrandiva e s’arruffava come le nuvole su quell’agitato cielo invernale. Si pentiva di essersi messo in viaggio, di aver abbandonato la sua calma abituale per correre dietro a [p. 137 modifica] una vana chimera. Chissà quante inquietudini l’eredità dello zio gli riserbava: intanto s’era degradato!

E tornò indietro: trovò le scarpe dove le aveva lasciate, e stette a lungo guardandole istupidito. Che fare? Anche a nasconderle, a seppellirle, il fatto non si cancellava. Egli aveva rubato e il ricordo dell’attimo in cui carponi sul pavimento aveva palpitato come una bestia paurosa non avrebbe mai più cessato di gettare un’ombra sulla sua vita.

Riprese la refurtiva sotto il pastrano e ritornò al paese, attardandosi in modo da arrivare verso sera. Da ventiquattr’ore non mangiava, e si sentiva così debole che il vento lo piegava come un filo d’erba. Arrivò come in sogno alla locanduccia, pronto a confessare la sua colpa; ma là tutto era tranquillo, nessuno parlava del fatto, nessuno badò a lui e al suo pastrano. Mangiò e chiese un letto: gli assegnarono quello della notte avanti ed egli dopo aver rimesso le scarpe al posto donde le aveva prese si addormentò. Un sonno che pareva di morte: dovettero svegliarlo e gli dissero ch’era mezzogiorno. Egli comprò un pane, coi due soldi che gli avanzavano, e riprese il viaggio.

Di nuovo il tempo era bello e la brughiera chiusa fra i monti neri e il mare azzurro aveva un incanto melanconico di paesaggio primordiale: tutto era verde e forte, ma come in certe esistenze umane pareva che mai nessun fiore dovesse spuntare là intorno. [p. 138 modifica]

Elia camminava bene anche con le scarpe rotte; anzi aveva il vantaggio d’essere ospitato negli stazzi come un mendicante girovago e di ricevere pane e latte.

Quando arrivò, lo zio era spirato da poche ore. La serva guardò Elia con diffidenza e gli disse:

— Ma sei proprio suo nipote? perchè non sei venuto prima?

Elia non rispose.

— Il mio beato padrone ti aspettava. Tre giorni fa ti ha fatto spedire un telegramma. Egli diceva che tu eri il suo solo parente, ma che tu lo avevi dimenticato. Così stamattina, non vedendoti arrivare, ha fatto testamento in favore degli orfani dei marinai....

Ritornato a casa, Elia trovò ancora sua moglie al sole, pallida, indifferente.

— Ma perchè, santa donna, quando hai ricevuto il telegramma non hai risposto che ero già partito?

— E non dovevi arrivare lo stesso? Perchè hai tardato?

Elia non rispose.