Chi la fa l'aspetta/Nota storica

Nota storica

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Atto III
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NOTA STORICA


Nell’aprile del 1763 il Goldoni a Parigi pensava di scrivere una commedia satirica di costumi, mettendo a confronto usi e caratteri francesi e italiani; e si doveva intitolare gaiamente il Carneval di Venezia (v. lettera al marchese Albergati, Lett.e di C. Goldoni, ed. Masi, Bologna, 1880, p. 207). Ma poi non ne fece più nulla. Tuttavia non gli usciva di mente il ricordo dei carnovali veneziani che avevano tante volte servito di sfondo ai suoi prediletti capolavori comici. Per il carnovale 1765 volle mandare al patrizio Vendramin un’altra commedia tutta veneziana; e immaginò di trasportare nel dialetto delle lagune, in casa di sior Gasparo senser, lo scherzo felice della Dupe vengée, che aveva servito allo svolgimento della Burla retrocessa (vedasi Nota storica precedente). Ma nel passare dal teatrino di Zola Predosa al teatro pubblico di S. Luca, la commedia non solo cambiò la veste italiana in quella dialettale, non solo si allungò quasi del doppio, trasformandosi i cinque brevissimi atti in tre molto lunghi, ma diventò veramente un’altra, diventò una vera e propria commedia di caratteri e costumi veneziani, come i Pettegolezzi, come le Donne gelose, come le Massere, come le Donne de casa soa, come le Morbinose, come Una delle ultime sere di carnovale; e s’intitolò nella recita i Chiassetti del carneval e nella stampa Chi la fa l’aspetta, ossia la burla Vendicata nel contraccambio fra i chiassetti del carneval. Non si tratta dunque di una semplice traduzione, come afferma più d’uno (v. per es. Gamba, Serie degli scritti impressi in dialetto veneziano, Venezia, Alviposoli, 1832, p. 153. — Come mai potè il Malamani sospettare che lo scenario del Rendez-vous nocturne fosse lo schema del Chi la fa l’aspetta?" v. Nuovi appunti e curiosità veneziane, Venezia, 1887, p. 110. - Nè ha da che fare la commedia goldoniana col 17° scenario, vol. I, dello Zibaldone comico della Biblioteca Nazionale di Napoli, intitolato appunto Chi la fa l’aspetti; o con la "tragicommedia intricatissima in prosa " del dott. Pietro Piperni da Benevento, Chi la fa l’aspetta ovv. li Quattro simili in due Finti, Napoli, 1719, v. Allacci, Drammaturgia).

Il 3 gennaio del 1765 Stefano Sciugliaga, amico del Goldoni e suo procuratore presso il teatro di S. Luca, avvisava S. E. Francesco Vendramin: "La sesta Commedia in lingua Veneziana è giunta da Parigi. Dessa è intitolata I Chiassetti del Carneval e subito che l’avrò fatta licenziare, la rassegnerò a V. E.". Aggiungeva più sotto che vi era "una parte" che si poteva "dare alla Figlia di Pantalone" cioè all’attrice Caterina Rosa, e una "per il Sr Arlecchino, se sarà buono da farla, o con Maschera o senza" (Mantovani, C. Goldoni e il teatro di S. Luca a Venezia, Milano, 1885, pp. 230-1). Della recita nulla sappiamo, anzi crediamo che fosse rimandata alla stagione successiva ("rappresentata per la prima volta in Venezia l’anno 1766" dice l’edizione Zatta), poichè nel Diario Veneto non è ricordata. Nè l’autore ne parla nelle sue Memorie: perfino nel Catalogo delle composizioni teatrali, posto in fine del terzo volume, manca il titolo di questa commedia e della Burla retrocessa, mentre vi si trova quello del canovaccio francese da cui l’una e l’altra ebbero origine. [p. 476 modifica]

Ma dopo che lo Zatta la stampò nel tomo quinto della sua edizione, l'anno 1789, la presente commedia attirò lo sguardo dei lettori e di qualche capocomico; e risalì presto sul teatro. Qualche recita notiamo nei primi decenni del secolo decimonono: così al S. Cassiano, a Venezia, il 4 agosto 1800, per opera d’una compagnia "volante" (impresaria Teresa Consoli: v. Giornale dei Teatri di Venezia); al S. Samuele il primo dicembre 1829, compagnia Raftopulo (Gazzetta Privilegiata di Venezia); a Zara nel 1831, comp. Bomartini (Il Dalmata, 27 febbraio 1907). Ma più a lungo l’ebbe nel suo repertorio la compagnia veneziana di Antonio Morelli; e la recitò a Zara nel 1822 (Dalmata cit.) col titolo la Burla vendicata, e a Venezia più volte dal 1823 al ’28 (29 e 30 agosto 1823, 2 gennaio "24 a S. Luca; 25 febbraio ’25, 6 febbraio ’28 a S. Benedetto: v. Gazzetta Privilegiata). Se poi la compagnia Romagnoli-Bon, detta allora del Duca di Modena, recitasse Chi la fa l’aspetta nel 1827, al teatro Re di Milano, o proprio la Burla retrocessa, come è stampato nei Teatri ("Giornale drammatico" t. I, parte 2a, p. 586), non sappiamo precisamente. Certo nel 1812 la ristampò il Bettoni a Padova nel volume VII delle Scelte commedie di C. Goldoni; e fin dal 1802 il Pignatorre nel suo Elogio a C. Goldoni la ricordò "fra le migliori" commedie del Veneziano (p. 15).

Poi a torto fu dimenticata dagli attori e dai biografi stessi fino a questi ultimi anni. Se ne ricordò Ignazio Ciampi, solo per dire che "lo sciocco Zanetto sa proprio di quelli che dalle commedie del cinquecento vennero sino alle farse del Giraud" (La vita artistica di C. G., Roma, 1860, p. 55). È vero che l’azione non ci diletta più, è vero che vi manca la nota appassionata dell’addio d’Anzoletto che rende più cara Una delle ultime sere di carnovale, è vero che tutta la commedia offre scarsa novità a chi conosca l’opera precedente di Carlo Goldoni: tuttavia ci sono nuove sfumature di antichi caratteri notevolissime, e scene di antica vita veneziana ancora giovani e ridenti, e personaggi che ancora si agitano e sussurrano nella immortale famiglia creata dal nostro poeta, e un meraviglioso dialogo che da solo è arte e allegrezza. Quel primo atto, così lento e prolisso, è per tale rispetto fra i più belli del teatro goldoniano. Ben se ne accorse Renato Simoni e disse: "Si legga a questo proposito nella commedia Chi la fa l'aspetta la celebre ordinazione del pranzo e si vedrà che meraviglia di espressione e di colore" (Il Marzocco, 25 febbraio 1907). E Attilio Momigliano, sempre acuto, chiamò questo "un capolavoro mancato dove la prima burla è fra le più notevoli creazioni comiche del Goldoni per la sapienza con cui insiste sui particolari col fine di trar dalla burla ogni possibile effetto comico, per l’agilissima rappresentazione di tutte le sue complicazioni e di tutti i suoi lati e di tutte le sue conseguenze, per gli svariati aspetti che la burla assume facendo attendere ora un effetto ora invece un altro più comico, e sopratutto per l’abilità colla quale il Goldoni fa sì che il burlato rischi di trovare nella stessa burla sopportata un motivo d’accusa contro di lui: peccato che la burla di contraccambio sia mal condotta" (La comicità e l’ilarità del Goldoni, in Giorn. Stor. della lett. Ital., 1° semestre 1913, pp. 225-6. - A pag. 213 gli sembra "profonda" la psicologia del Goldoni nella terza scena dell’atto III, là dove "osserva con un sorriso di comicità e di simpatia la tenerezza che l’amante prodiga all’amante [p. 477 modifica] quando scopre che il suo sospetto era infondato, e la gioia che lo invade"). Siora Tonina non fa brutta figura presso tante altre mogli goldoniane puntigliose e sospettose, e sior Gasparo senser è a modo suo un altro tipo di cortesan, come quel capo ameno di sior Lissandro; e quella Riosa e quella Lucietta possono stringersi a braccio con le altre messere goldoniane; e quel Zanetto può fare l’inchino a sior Tonin Bella grazia: ma anche il mercante sior Raimondo, della patria di Balanzon, pretende di essere ricordato benchè somigli piuttosto a un Pantalone bolognese; e più buffo e più originale di tutti si fa innanzi col berretto in mano l’oste indimenticabile della Tartaruga.

Anche a questa commedia veneziana, che vive soltanto del suo dialetto, toccò la fortuna non desiderata di una versione o riduzione in lingua italiana; e in tale veste novella comparve goffamente per le stampe nel Florilegio drammatico (num. 676), l’anno 1881 ("Chi la fa l’aspetta, commedia in tre atti di C. G., tradotta dal Veneziano dall’Istruttore dell’Accademia de’ Filodrammatici di Milano, Prof. Giacomo Landozzi - Milano, Libreria Editrice"). Sono sempre gli stessi atti e le medesime scene, ma i personaggi non si riconoscono più; e perfino al sgnor Raimondo ha dovuto bandire il linguaggio bolognese. Si capisce come la traduzione non sia letterale, e come il professor Landozzi abbia corretto liberamente il testo, tagliando o aggiungendo a voler suo.

Ferruccio Benini tentò di riporre sulle scene questa commedia, non so bene con quanti e quali ritagli; e le recite si seguirono per molte sere nel gennaio del 1909 a Roma, sul teatro Quirino (e di nuovo nel marzo 1911). Domenico Oliva nel Giornale d’Italia (21 gennaio 1909) rallegravasi del lieto successo: "Il pubblico rise continuamente, applaudì fragorosamente, si divertì immensamente: fin dalle prime scene di Chi la fa l’aspetta il buon umore penetrò nella sala del Quirino e man mano che si seguivano le profezie della fresca e gaia commedia, a ogni nuovo incidente, si può dire a ogni battuta, l’ilarità si faceva più clamorosa e più generale ". Poi, commentando, abbandonavasi alle seguenti considerazioni sull’arte e sulla commedia goldoniana: "Definite come vi piace Chi la fa l’aspetta, un proverbio in tre atti, una farsa, un vaudeville, certo è ch’è un pezzo di vita: di vita semplice e bonaria, senza dubbio; non è detto che la verità debba essere sempre triste e truce, e se pur troppo è tale qualche volta, anzi più spesso di quanto non sarebbe necessario, v’è pure la verità allegra, la verità che non fa il muso, la verità della brava gente senza fastidi, o almeno che se li prende con filosofia, e cerca dimenticarli ridendo e scherzando. La farsa non è solamente nel mondo della finzione, è anche, stavo per dire sopra tutto, nella realtà: di qui la traeva Carlo Goldoni, dilettandosi a osservare piccoli uomini e piccole donne, ad ascoltare i loro discorsi, le loro querimonie, i loro pettegolezzi, riproducendoli, così come li vedeva e li ascoltava, sulla scena. Che vi aggiungeva? Aggiungeva la festosità e la ricchezza del dialogo, che nelle commedie veneziane ha tutto lo spirito e tutto il colore di quel dialetto incomparabile: aggiungeva la sua arte di commediografo, così armoniosa, fertile e pronta. Un nonnulla gli basta, un qualunque lieve motivo iniziale: la commedia si svolge naturalmente e senza sforzi, senza artifizi, senza trucchi, corre al suo fine lesta e felice. - Burle di carnevale, piccole dispute domestiche, ecco tutto Chi la fa l’aspetta: non vi [p. 478 modifica] son dentro grandi caratteri, tipi profondi: eppure i personaggi vivono: l’intrigo è poca cosa: eppure vi tiene desti e sollevati per due ore, che passano come due minuti: la forma è deliziosa: sopra tutto il secondo atto è un prodigio di equilibrio, di nitidezza, di precisione, di sincerità ".

Nel suo facile entusiasmo l’Oliva distribuì lodi a tutti gli interpreti: "Ferruccio Benini era Sior Gasparo senser: il grande artista, il principe dei nostri comici, fu, naturalmente, perfetto: la Dondini-Benini, nella parte di siora Tonina, ebbe applausi unanimi e continui e numerose chiamate a scena aperta; se la parola non fosse abusata, direi che quello di ieri sera fu un trionfo, e un trionfo della sua rara bravura e della sua bella intelligenza... La Zanon Paladini nella parte della serva Lucietta fu divertentissima, e non meno divertente lo Scarani che figurando sior Raimondo parlava il più puro dialetto bolognese. Piacquero anche la valente Maestri (Siora Cecilia), la graziosa Seglin (Siora Catina), il Mezzetti (Lissandro) un bel tipo di cortesan, il Conforti, il Sambo: piacquero tutti. Una sola osservazione: il testo dice che all’ultimo atto debbono essere musiche e danze. Perchè mancarono?"

Nel novembre di quello stesso anno il Benini ripresentò la vecchia commedia al pubblico veneziano, sul teatro Goldoni, ma il critico teatrale della Gazzetta di Venezia si mostrò più severo (6 novembre 1909): "Un pubblico bellissimo accorse iersera ad udire la commedia di Carlo Goldoni che da parecchio tempo non si dava più. Chi la fa l’aspetta. La commedia ha scene di grande comicità e di svelta fattura, ma tra quelle dell’insigne poeta veneziano non tiene certo uno dei primi posti. Essa piacque molto, ad ogni modo, e suscitò a tratti risa ed ammirazione anche per la maniera garbata con cui è condotto dall’autore l'intreccio. Quanto alla recitazione non fu, diciamolo francamente, quale era da attendersi da una compagnia come quella di Benini: ci parve stentata, slegata e, spesso, fuori di tono. Nè gli attori sapevano troppo bene la parte. Ciò non ostante Ferruccio Benini, ch’ebbe momenti molto felici, e gli altri interpreti furono salutati al proscenio dopo ogni atto".

E ora, morto Benini, non sappiamo quando tornerà sulle scene l’ultima commedia veneziana di papà Goldoni, che fu quasi direi una continuazione di Una delle ultime sere di carnevale, un ricordo del teatro più propriamente suo, una visione, fra le Tuileries e il Palais Royal, della sua città lontana che più non avrebbe veduto con gli occhi suoi, un’eco di quelle voci, di quelle feste, di quel mondo che non era più suo, una piccola Venezia sulla Senna, come cantava in certe ottave dell’anno 1765. Poi, un poco per volta, anche il dialetto delle lagune si spegneva sulle labbra del grande commediografo, che ruminava le Bourru bienfaisant.

G. O.


Facciamo precedere la stampa di questa commedia a quella degli Amanti timidi, per non scompagnarla dalla Burla retrocessa. - Chi la fa l’aspetta uscì la prima volta nel tomo V dell’edizione Zatta di Venezia, nel 1789, e fu subito riprodotta a Lucca (Bonsignori, I. XIV, 1789), a Bologna (a S. Tomaso d’Aquino, 1791), a Livorno (Masi, I. XXXI. 1793), a Venezia ancora (Garbo, t. V. 1794), e poi nelle varie edizioni dell’Ottocento. - Abbiamo seguito fedelmente il testo dell’ed. Zatta, esemplato sul manoscritto dell’autore ma pur troppo molto scorretto, da cui tutte le altre ristampe procedono. Le note a piè di pagina segnate con lettera alfabetica appartengono al Goldoni stesso, quelle con cifra al compilatore della presente raccolta.