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son dentro grandi caratteri, tipi profondi: eppure i personaggi vivono: l’intrigo è poca cosa: eppure vi tiene desti e sollevati per due ore, che passano come due minuti: la forma è deliziosa: sopra tutto il secondo atto è un prodigio di equilibrio, di nitidezza, di precisione, di sincerità ".
Nel suo facile entusiasmo l’Oliva distribuì lodi a tutti gli interpreti: "Ferruccio Benini era Sior Gasparo senser: il grande artista, il principe dei nostri comici, fu, naturalmente, perfetto: la Dondini-Benini, nella parte di siora Tonina, ebbe applausi unanimi e continui e numerose chiamate a scena aperta; se la parola non fosse abusata, direi che quello di ieri sera fu un trionfo, e un trionfo della sua rara bravura e della sua bella intelligenza... La Zanon Paladini nella parte della serva Lucietta fu divertentissima, e non meno divertente lo Scarani che figurando sior Raimondo parlava il più puro dialetto bolognese. Piacquero anche la valente Maestri (Siora Cecilia), la graziosa Seglin (Siora Catina), il Mezzetti (Lissandro) un bel tipo di cortesan, il Conforti, il Sambo: piacquero tutti. Una sola osservazione: il testo dice che all’ultimo atto debbono essere musiche e danze. Perchè mancarono?"
Nel novembre di quello stesso anno il Benini ripresentò la vecchia commedia al pubblico veneziano, sul teatro Goldoni, ma il critico teatrale della Gazzetta di Venezia si mostrò più severo (6 novembre 1909): "Un pubblico bellissimo accorse iersera ad udire la commedia di Carlo Goldoni che da parecchio tempo non si dava più. Chi la fa l’aspetta. La commedia ha scene di grande comicità e di svelta fattura, ma tra quelle dell’insigne poeta veneziano non tiene certo uno dei primi posti. Essa piacque molto, ad ogni modo, e suscitò a tratti risa ed ammirazione anche per la maniera garbata con cui è condotto dall’autore l'intreccio. Quanto alla recitazione non fu, diciamolo francamente, quale era da attendersi da una compagnia come quella di Benini: ci parve stentata, slegata e, spesso, fuori di tono. Nè gli attori sapevano troppo bene la parte. Ciò non ostante Ferruccio Benini, ch’ebbe momenti molto felici, e gli altri interpreti furono salutati al proscenio dopo ogni atto".
E ora, morto Benini, non sappiamo quando tornerà sulle scene l’ultima commedia veneziana di papà Goldoni, che fu quasi direi una continuazione di Una delle ultime sere di carnevale, un ricordo del teatro più propriamente suo, una visione, fra le Tuileries e il Palais Royal, della sua città lontana che più non avrebbe veduto con gli occhi suoi, un’eco di quelle voci, di quelle feste, di quel mondo che non era più suo, una piccola Venezia sulla Senna, come cantava in certe ottave dell’anno 1765. Poi, un poco per volta, anche il dialetto delle lagune si spegneva sulle labbra del grande commediografo, che ruminava le Bourru bienfaisant.
G. O.
Facciamo precedere la stampa di questa commedia a quella degli Amanti timidi, per non scompagnarla dalla Burla retrocessa. - Chi la fa l’aspetta uscì la prima volta nel tomo V dell’edizione Zatta di Venezia, nel 1789, e fu subito riprodotta a Lucca (Bonsignori, I. XIV, 1789), a Bologna (a S. Tomaso d’Aquino, 1791), a Livorno (Masi, I. XXXI. 1793), a Venezia ancora (Garbo, t. V. 1794), e poi nelle varie edizioni dell’Ottocento. - Abbiamo seguito fedelmente il testo dell’ed. Zatta, esemplato sul manoscritto dell’autore ma pur troppo molto scorretto, da cui tutte le altre ristampe procedono. Le note a piè di pagina segnate con lettera alfabetica appartengono al Goldoni stesso, quelle con cifra al compilatore della presente raccolta.