Cenni statistico-storici della Valle Vigezzo/Parte 2/Capo II.

Parte 2 - Capo II.

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CAPO II.

Dal mille al mille trento ottant'uno.


SOMMARIO

Antichi Governanti di Vigezzo — Imperatori di Germania — Regime ecclesiastico spettante agli Arcivescovi di Milano — Passaggio di dominazione ai Vescovi di Novara sì nello spirituale che nel temporale — Regime dell’Ossola, e della Valle Vigezzo — Dominazione dei Conti di Biandrate — Chi fossero questi Conti — Vendite fatte dal medesimi in Vigezzo — Tregua di Dio — Ordini municipali — Terribile diluvio d’acqua — Dominio del Comune di Novara — Cause della decadenza del dominio vescovile — Fazioni dette dei Ferrari e degli Spilorci, e disunione di Vigezzo e quattro Terre colla restante Curia di Matarella - Cause della dedizione ai Signori di Milano.


Dalle cose dette nel capo precedente apparisce, che questi luoghi furono soggetti al popolo Romano. Anzi se ammettiamo, come sembra indubitato, che l’Ocelo menzionalo da Cesare nel libro primo de’suoi commentari fosse l’Ossola, dovremo convenire che questi luoghi formassero gli estremi confini della provincia Romana da lui chiamata Citeriore: ab Ocelo, quod est citerioris provinciae extremum. Il passaggio poi di Cesare di Cepione, di Manlio, e la non dubbia permanenza di Catulo in questi luoghi, dimostrano che non solo conosciuta, ma era pure posseduta questa provincia dagli antichi dominatori del mondo. Anzi sembra certo, come scrive il conte Napione (1), che i celebri campi canini dove segui nel secolo sesto la battaglia tra i Franchi ed i Longobardi, e dove l’imperatore Costanzo sconfisse gli Alemanni non fossero che le valli dell’Ossola: che i luoghi (come dicono il Baretti, Gregorio Turonese, Amiano Marcellino, e Sidonio Appollinare) al di [p. 117 modifica]sopra dell’Atosa. Da ciò s’inferisce pure, che la patria nostra, come il resto della superiore Italia, fosse successivamente invasa, e governata dai Visigoti, dagli Unni, dai Goti, dai Longobardi, e per ultimo dagli Imperatori Franchi. Da un detto del Muratori si arguisce del pari, che questi luoghi fossero nel nono secolo visitati dai Saraceni. In questi tempi egli dice (2) (951) (per testimonianza di Frodoardo) i Saraceni, che già furono cacciati da Frassineto, tenevano occupati i passaggi delle Alpi, di maniera che chiunque voleva venire dalla Francia e dagli Svizzeri, e Grigioni in Italia era costretto pagar loro una somma tassata di danaro: anche nel 972, continua il lodato Autore, i Saraceni mettevano in contribuzione chiunque osava passare per l’Alpi, venendo o andando in Francia (3).

Ristringendoci però a quanto più da vicino risguarda questa Valle, ed all’epoca della quale ci occupiamo nel presente capitolo, egli è fuori di dubbio che al principio del mille questi luoghi, come il resto dell’Italia, erano governati dagli Imperatori di Germania, e precisamente da Ottone III. In quanto allo spirituale sembra che prima del mille dipendessero dall’Arcivescovo di Milano. Appare infatti da una pergamena dell’anno 990, che Arnolfo, arcivescovo di Milano, cedette in cambio a Lanfredo, abbate di S. Salvatore di Arona, fra gli altri, due iugeri fra campo e prato nel territorio di Albogno, e sei iugeri nelle restanti parli della valle Vigezzo (Vedi documenti classe I. N° 1). Leggiamo poi in Wippone nella vita di Conrado il Salico che nell’estate dell’anno 1026 così forti furono i calori in Italia che il Re a fine di custodire la sanità ultra Atim fluvium propter opaca loca, et aeris temperiem in montana scessit, ibique ab Archiepiscopo Mediolanensi per duos menm et am[p. 118 modifica]plius regalem victum sumptuose habuit. Il Muratori, che riporta questo posso soggiunge: Che fiume sia questo Ati non lo so: credo guasta la parola: parrebbe Athesis, cioè l’Adige; ma la spesa a lui fatta si magnificamente da Eriberlo Arcivescovo m’inclinano piuttosto a crederlo un luogo del Milanese (4). Certo non sarebbe temerario il credere essere l’Atim dello storico Wippone la nostra Toce, e la valle Vigezzo il luogo, in cui Conrado Secondo rifuggivasi per riparare dall’eccessivo caldo. Chè stanno a favore del supposto la ragione addotta dal Muratori, e le osservazioni altre volte per noi fatte intorno al nome della Toce. Favoriscono medesimamente l’opinione, che precisamente in questa Valle dimorasse il Re; i detti medesimi dello storico contemporaneo ultra Atim, in montana et opaca loca. Certamente al di là della Toce non si trova che la valle Vigezzo, luogo d’altronde montuoso, opaco pei folti boschi, e sempre favorito da un’aria temperata, ciò che non si osserva nell’Ossola, in cui i calori sono spesso più forti che nelle istesse pianure Lombarde. E tanto più poi incliniamo a credere, che l’Atim fosse il Toce, sapendo, che Conrado celebrò in quell’anno la festa del santo Natale in Ivrea, e per conseguenza nelle vicinanze delle alpi nostre. Cosi dunque essendo, egli è chiaro, che l’Ossola, o per lo meno la valle Vigezzo faceva parte della diocesi Milanese, come lo ha fatto fino a nostri tempi la vicina valle di Canobbio, e come lo facevano Arona, e gli altri paesi del lago, che ora tutti sono della diocesi Novarese.

Intanto morto nel 1002 Ottone terzo Imperatore, Ardovino Marchese d’Ivrea occupava il regno d’Italia col consenso dei Principi. Arnulfo, arcivescovo di Milano, che per decreto del Pontefice S. Gregorio, e per consuetudine vigente da Carlo Magno, avea il diritto di creare i re, dichiarò Ardovino vizio[p. 119 modifica]samente nominato, e pronunciò Re d’Italia Enrico Duca di Baviera, Re di Germania. Enrico però trattenuto dalla guerra al di là delle Alpi non potè trasferirsi in Italia che nel 1013, ed intanto Ardovino perseguitò acremente l’Arcivescovo di Milano, e tutti i Vescovi suoi aderenti, fra quali quello di Novara. Occupato però il Regno da Enrico, e creato Imperatore in Roma nel 1014 da Benedetto Ottavo, con diploma dello stesso anno diede al Vescovo di Novara Pietro Prudente molte terre, e fra queste l’Ossola, da lui chiamala Comitatulo (Vedi Documenti classe 1. N° 2) con ogni civile, ed ecclesiastica giurisdizione. E da questo punto incomincia precisamente la Storia Ossolana, e la serie dei fatti, che noi andremo di mano in mano narrando. Per la donazione di Enrico questi luoghi si videro separati dalla restante Italia, e specialmente dall’Insubria, di cui sembra facessero parte, e costituiti in un corpo di nazione semi-indipendenle che pel tratto di tanti secoli governossi con leggi, e statuti particolari, e col nome generico di Corte di Matarella; nome desunto da quello di un forte Castello, che trovavasi in vicinanza di Domodossola. Sembra infatti che i Vescovi di Novara si limitassero nelle cose temporali all’esercizio dell’alto dominio, e lasciassero ai popoli dell’Ossola una piena libertà in riguardo al loro economico interno regime. Infatti sino da que’ remoti tempi tutti gli uomini d’un paese riunivansi allo scoperto per trattare delle cose comuni, e per nominare il loro Console. Tutti i Consoli poi di una giurisdizione riunivansi nel Capo luogo, e cosi per rapporto a Vigezzo in Santa Maria Maggiore. In queste riunioni, sin d’allora chiamate consigli o generali credenze, deliberavano intorno alle spese ed alle entrate pubbliche, intorno alle leggi interne del paese, ed intorno a quant’altro l’intiera valle risguardasse. Nominavansi pure dei deputati generali perchè in assenza del Consiglio provvedessero alla cosa pubblica, ed all’esecuzione degli ordini. Tutti i depu[p. 120 modifica]tati generali delle singole giurisdizioni Ossolane riunivansi in determinate epoche in Domodossola per deliberare, sotto il nome di Consiglio provinciale, intorno a quanto riflettesse l’Ossola intiera. Le leggi ed ordinazioni dei supremi dominanti non avevano vigore se non quando venivano ammesse dai Consigli generali, e provinciali, e questi ostinatamente le rifiutavano, quando scorgessero nelle medesime delle cose contrarie alle immunità od ai privilegi del paese. Per tal modo l’Ossola e Vigezzo reggevansi, e per tanti e tanti secoli dappoi si ressero quasi come una repubblica, non molto dissimile da quella che anche al giorno d’oggi osservasi nella vicina Svizzera, colla sola differenza, che il supremo dominio apparteneva ai Vescovi di Novara, od a quelli che ai medesimi nel progresso dei tempi succedettero.

Il governo paterno dei Vescovi di Novara era perciò sorgente di pace e di prosperità. Ma il germe delle civili discordie, e la prepotenza dei Conti, e dei Marchesi, che già aveva trinciate le provincie, non tardarono a scompigliare il sì desiderabile ordine di cose. I Conti di Biandrate favoriti dagli Imperatori e dai Milanesi s’impadronivano di quasi tutto l’alto Novarese, e così dell’Ossola, e di Vigezzo. L’origine di questi famosi Conti non è ben chiarita; ma certo risale al principio del mille e forse anche più in là. Crediamo anzi che i Conti Ricardo, ed Uberto menzionati nel diploma di Conrado quarto Imperatore, dell’anno 1038, i beni de’quali nell’Ossola furono con quel diploma concessi al Vescovo di Novara, non fossero che i Conti di Biandrate. (5) Questi Signori non meno prodi che irrequieti ed ambiziosi tentavano di estendere, ed estendevano tutto giorno le proprie possessioni a danno della mensa vescovile. Il Vescovo Alberto li colpiva di scomunica come predatori dei beni della Chiesa, ed i Conti per vendicarsi uccisero il Vescovo [p. 121 modifica]stesso nell’anno 1017. Un Alberto da Biandrate chiamato da Landolfo potentissimo Lombardo intervenne alla crociata dell’anno 1100 con Anselmo IV Arcivescovo di Milano (6). Un giovine Conte poi di questa famiglia, chiamato da Tristano puer altae indolii, intervenne all’assedio dell’infelice Como nell’anno 1119, e nel 1137, sotto il nome di Guido, venne dai Milanesi creato Duce supremo delle loro armi. Da questo tempo sempre più andò crescendo la potenza di lui a danno di Novara, e de’suoi Vescovi. Ottone Vescovo Frisingense (7) parlando di Novara cosi scrive: Est autem Novaria civitas non magna; sed ex quo ab Imperatore Henrico olim eversa raedificari coepit, muro novo, et vallo non modico munita Comitem habens in sua dioecesi Guidonem Blandratensem qui praeter morem Italicum tolum ipsius Civitatis territorium, vix ipso cimiate excepta, Mediolanemium possidet auctoritate. Intanto Federico Barbarossa contornato da poderoso esercito, e seguito dalle genti delle città Italiane portavasi nell’anno 1158 con tra Milano, e già trova vasi questa città in angustie per fame e per malattie, quando il conte Guido di Biandrate, uomo saggio e grandemente stimato da tutti, entrato in Città con tal facondia perorò che indusse quei cittadini ad implorare misericordia dall’Augusto Sovrano. La conchiusa pace fu però di corta durata, e nelle successive guerre, di cui l’esito è a tutti noto, il conte Guido abbandonali i Milanesi, dedicossi intieramente alla causa del Barbarossa, dal quale sembra ottenesse perciò ancora maggiore ingrandimento, e lo stesso Contado dell’Ossola. Le cose però non sempre corsero felici pel fiero e sanguinario Augusto: chè malconcio dalla pestilenza; respinto da Milanesi; abbandonalo successivamente dalle collegate Città e fra queste da Novara, ritirassi prima [p. 122 modifica]Pagina:Cavalli - Cenni statistico-storici della Valle Vigezzo I.djvu/140 [p. 123 modifica]Pagina:Cavalli - Cenni statistico-storici della Valle Vigezzo I.djvu/141 [p. 124 modifica]Pagina:Cavalli - Cenni statistico-storici della Valle Vigezzo I.djvu/142 [p. 125 modifica]Pagina:Cavalli - Cenni statistico-storici della Valle Vigezzo I.djvu/143 [p. 126 modifica]Pagina:Cavalli - Cenni statistico-storici della Valle Vigezzo I.djvu/144 [p. 127 modifica]Pagina:Cavalli - Cenni statistico-storici della Valle Vigezzo I.djvu/145 [p. 128 modifica]Pagina:Cavalli - Cenni statistico-storici della Valle Vigezzo I.djvu/146 [p. 129 modifica]Pagina:Cavalli - Cenni statistico-storici della Valle Vigezzo I.djvu/147 [p. 130 modifica]Pagina:Cavalli - Cenni statistico-storici della Valle Vigezzo I.djvu/148 [p. 131 modifica]Pagina:Cavalli - Cenni statistico-storici della Valle Vigezzo I.djvu/149 [p. 132 modifica]Pagina:Cavalli - Cenni statistico-storici della Valle Vigezzo I.djvu/150

Note

  1. Memorie della R. Accademia delle scienze di Torino, serie 2a Tom. I.
  2. Annali. T. V. pag. 341. Luca 1763.
  3. Idem. T. V. pag. 394.
  4. Annali suddetti, Tom. VI, pag. 73.
  5. Vedi Bescapè; Novaria Sacra, libar secundus, nag. 329.
  6. Vedi Muratori Annali T. VI. pag. 284.
  7. De rebus gestis. Fideric. Lib. 2. cap. 4.