Catullo e Lesbia/Varianti/12. Sul marito di Lesbia - LXXXIII In Lesbiae maritum
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LXXXIII.
Nel codice Datano questo carme è iscritto: ad Mullum; e il Partenio spiega, senza confondersi: Mulus nomen proprium mariti Lesbiæ; e il Mureto di rimando: Sunt qui mulum hoc loco, ut nomen proprium viri acceperunt; quos ego ipsos mulos fuisse arbitror.
Ibidem. Nulle, nihil sentis, etc.
mi è parso più proprio di mulle o mule come generalmente si legge. Il poeta si burla della sciocchezza, della fatuità del marito di Lesbia:
Hoc illi fatuo maxima lætitia est; |
non già dell’ostinazione e della caponaggine di lui; e nulle vuol dire uomo da nulla, stupido, sciocco; nulli rei, nihil audientem, come spiega Stazio; nihil sentis, come dice il Nostro. Ex eo tempore vir ille summus nullus imperator fuit. Cicer., Fam., VII, 3.
Canit il codice del Santenio; ganit l’Amburghese; garrit il Laurenziano; gannit Scaligero e Vossio. Gannire è proprio dei cani; quasi canire, è quel che noi diciamo gagnolare; e detto degli uomini, vale borbottare, mormorare; come in Terenzio, Adelph., IV, 2:
Quid ille gannit quid volt? |
E in questo luogo di Catullo è di grand’effetto; attribuisce alla Lesbia una voce ch’è propria dei cani; fa riscontro col Moleste ridentem, catuli ore gallicani del XLII.
Giusto Lipsio: Elegantioris literaturæ lumen ac columen, come Gian Dousa lo chiama, legge coquitur e non loquilur; e non ha torto; che coquitur qui si potrebbe assumere non solo nel senso di macerare, consumare, come in quel di Virgilio, Eneid., VII, 345:
Feminæ ardentem curæque iræque coquebant, |
ma nel significato anche di macchinare, come in Silio Italico, Punic. Bell., VII, 404:
Respectantem adeo atque iras cum fraude coquentem. |