Catullo e Lesbia/Annotazioni/9. A Lesbia - LXXII Ad Lesbiam
Questo testo è completo. |
◄ | Annotazioni - 8. A sè stesso - VIII Ad seipsum | Annotazioni - 10. - LXXXV | ► |
LXXII.
Non intensior, ma impensius; amar più intensamente di prima non poteva, perchè aveva conosciuto con che razza di donna avesse da fare: nunc te cognovi; nè uror è bruciare, arder di rabbia e di gelosia, come interpreta il Partenio, ma piuttosto di amore, com’è detto in fine dell’epigramma, amore senza stima, desiderio carnale, che la ragione non basta a frenare benché riconosca impensus, gravoso ed indegno. È questa lotta fra la ragione ed il senso che rende il poeta men vile e men leggiero di lei, che perfidamente si prodigava a chi primo le capitasse fra piedi. Alla ricordanza dei passati piaceri all’idea della felicità dei rivali, un’acre, irresistibile fiamma accende tutti i sensi del poeta: egli non ama più, ma desidera gelosamente.
Pag. 174. Cogit amare magis, sed bene velle minus.
Amare è qui assunto nel significato più volgare della parola, è in antitesi con bene velle; è l’amore destituito della stima; non desiderio d’anima e di sensi ad un tempo, ma cieca brama di sfoghi sensuali; non passione, ma appetito. Amare è anche dei bruti; diligere o bene velle soltanto degli uomini. Rendere alla lettera questa distinzione non ho voluto, o saputo: amare e stimare, come parecchi han tradotto, non mi par proprio: per gl’Italiani amare è molto di più che per i Latini. Il Pastore infatti traduce:
Or come ciò, dirai? |
dove, tralasciando l’ambiguità del secondo verso, è più di comento in prosa che di traduzione in verso.