Catullo e Lesbia/Annotazioni/12. Sul marito di Lesbia - LXXXIII In Lesbiae maritum

../ 11. - LXXVI

../ 14. A Lesbia - XLII Ad Lesbiam IncludiIntestazione 30 dicembre 2015 75% Da definire

Annotazioni - 12. Sul marito di Lesbia - LXXXIII In Lesbiae maritum
Annotazioni - 11. - LXXVI Annotazioni - 14. A Lesbia - XLII Ad Lesbiam

[p. 288 modifica]

LXXXIII.


Pag. 178.          Lesbia mi, presente viro, mala plurima dicit.


Le donne son per natura ciarliere. Quando al buon Dio venne il famoso ghiribizzo di cavare una costola ad Adamo e di formare di essa una donna, dice la fama, che accortosi il divino Artefice che alla sua bella creatura era venuta assai piccina la testa, tanto le diede di lingua, quanto le mancava di cervello. Non l’avesse mai fatto! Appena la donna ebbe forza di star sulle gambe gli si piantò dinanzi co’ pugni ai fianchi e i gomiti appuntati, e tante cose gli disse, e tante domande gli fece che il povero Dominedio, cacciandosi le mani fra’ capelli e scappando a rinchiudersi nel più recondito stanzino del paradiso, s’ebbe sin da quell’istante a persuadere, che la lingua è la peggior carne del mondo.

I Romani dicevano: Qui non litigat cælebs est; ed avevano ragione. La donna, se da ragazza parla per quattro, da maritata ciarla per cento.

La Lesbia, presente il marito, diceva un mondo di male del povero Catullo; il marito ne gongolava; era proprio un grullo: non sapea che sparlare di un amante che si è avuto, vuol dire ricordare, e ricordare e dir [p. 289 modifica]male significa essere adirati; e chi non ama più, non ricorda, non sparla e non s’adira.