Carlo, del ciel tra i luminosi giri
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XXXVII
AL SIGNOR CARLO GUIDACCI
Non isconvenirsi le lagrime nella morte
de’ suoi cari.
Carlo, del ciel tra i luminosi giri
Sull’alto Olimpo, d’auree fiamme adorno,
Fa lunge da’ martir dolce soggiorno
Il caro Amico, che quaggiù sospiri.
5E mentre cinto di bei lampi ardenti
Non fallace pensiero il mi dipinge,
Biasmo quasi l’amor, che ti costringe
Per la sua morte rinnovar lamenti.
Qual pianse mai, che in riposato porto
10Agitato nocchier nave raccoglia?
Certo fora ragion sgombrar la doglia:
Alma ben nata ha nel morir conforto.
Ma il forte Achille, da gran duol sospinto,
Strida mandò fino alle stelle eccelse,
15E coll’altera destra il crine svelse
Sul freddo volto di Patroclo estinto.
Dal profondo oceán pronta sen venne
Tetide, sparsa di pietade il ciglio,
Che al fin temprasse i guai gli diè consiglio,
20E quei pur freschi i suoi dolor mantenne.
Dunque, se aver di pianto i lumi aspersi,
E nobil uso ne’ mortali affanni,
Non fia giammai, che tua pietà condanni,
Se sopra il Torrigian lagrime versi.
25Mal fortunato! che felice appieno
D’ogni più caro ben, che altri desia,
Morte lo ci sterpò quando fioria,
E sparve il suo gioir quasi baleno.
L’anima, vaga d’onorata fama,
30Quel suo di bene oprar fervido amore,
Chi mai, Guidacci, ci torrà dal core?
Non già Firenze, che ad ogni ora il chiama.