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Canti patrii Canti patrii - Per un giuoco di palla
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PER UNA VIOLA

COLTA IN VALPOLICELLA

nel dicembre 1857.


«Io messes et bona vina dato.»
                              Tibullo, lib. I, el. I.

A L. Z. F.



I.

     Non sento ne le povere mie valli
Più le canzoni e i balli
De la vendemmia, e i cori
Sonar per l’aia e i serpeggianti calli;
Non sento lo squittir dei corridori
Veltri, nè l’aure rompere del monte
Più le fulminee canne
Dei cacciatori occulte
Lunge da le capanne
Nel tronco degli annosi alberi fessi,
E ad altre cacce pronte,
Quando saranno adulte
L’ire e il valor d’un popolo d’oppressi:

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Fin gli augelli obliâr le antiche strade
Torcendo il volo ad altre
Meno offese contrade;
Ove non sieno clivi
Da inferma uva fallace
Mortificati o da succisi ulivi.
Solo fedele all’apice del pino
Saltella un fiorrancino,
E con la nota querula d’amore
Par che lamenti l’anno che si muore.

II.

     Odo il diffuso gemito dell’arso
Vomero che si lagna
Uscendo a la campagna
In su l’aurora. Vedo là dell’orto
Nell’angol più secreto, accoccolato
Su un cembalo squarciato,
Bacco fanciullo piangere sul morto
Onore del vigneto:
Poi ch’ora attrista gl’itali bicchieri
Con la livida spuma,
Acre conforto a le bramose canne
De le genti alemanne,
La barbara cervogia.
E intanto quasi a scherno
Coi più limpidi soli la matrigna
Natura a gli implicati
Roveti arride e all’invida gramigna;
E batton, detestati,
Ospiti, intanto a la porta cadente

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Del colono che trema,
Di febbre in su lo strame,
Il verno, l’inclemente
Gabelliere e la fame.

III.

     E tu, di’, per che modo
Se’ sbocciata quaggiù su questo ciglio
Inavvertito, languida vïola,
Come fanciulla sola
In paese d’esiglio?
Non senti tu la mesta.
Fuga del giorno corto,
E su la gracil testa
Piover con lento vortice le foglie
Del carpino imminente,
Quasi crini d’un morto?
Questa, che morde gelida, non senti
Aura dell’alba che passò del Baldo
Su le nevi recenti?
Non ti mette paura
A te soletta, a sera
Veder le nebbie sorgere dal prato,
Come bianche fantasime vaganti
Per l’erbe del sagrato?
E ne la notte pura
Veder brillare il Carro arrovesciato
E le spere fiammanti
Dell’Orïone infausto,
Del qual non ebber conoscenza intera
Mai le sorelle tue di primavera?

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IV.

     O coraggiosa fuor di tempo nata
Come l’anima mia,
In etade gelata
Presto morrem. Ma poi che Dio c’invia,
Tu spandi i tuoi profumi,
Sia pur soltanto per l’umíl famiglia
Dell’eriche e dei dumi:
Io manderò frattanto,
Come l’arte e l’amor me lo consiglia,
Lo sterile mio canto.
Che se alcuno verrà che ti ravvisi
Tradita al molle fiato che vapora,
Svelta da un’unghia, pendola nel grembo
Di nitida fïala
E tu morrai. Meglio morir nell’ora
Che saettando cala
Giù da le gole il nembo!
Che se alcuno notasse il santo e fiero
Intendimento de le mie canzoni,
Me al guardïan straniero
Ricondurrebbe e ai tetri
Crepuscoli, e a la paglia
Di remote prigioni.
Meglio esser morto il dì della battaglia!
Gentil vïola, lo saprà il Signore
Quello che giovi o vaglia
A le arcane armonie dell’universo
Un pöeta che langue, un fior che muore,
Il tuo odore, il mio verso.