Canti (1835)/Nelle nozze della sorella Paolina

IV. Nelle nozze della sorella Paolina

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Ad Angelo Mai A un vincitore nel pallone

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Poi che del patrio nido
I silenzi lasciando, e le beate
Larve e l’antico error, celeste dono,
Ch’abbella agli occhi tuoi quest’ermo lido,
5Te nella polve della vita e il suono
Tragge il destin; l’obbrobriosa etate
Che il duro cielo a noi prescrisse impara,
Sorella mia, che in gravi
E luttuosi tempi
10L’infelice famiglia all’infelice
Italia accrescerai. Di forti esempi
Al tuo sangue provvedi. Aure soavi
L’empio fato interdice
All’umana virtude,
15Nè pura in gracil petto alma si chiude.

     O miseri o codardi

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Figliuoli avrai. Miseri eleggi. Immenso
Tra fortuna e valor dissidio pose
Il corrotto costume. Ahi troppo tardi,
20E nella sera dell’umane cose,
Acquista oggi chi nasce il moto e il senso.
Al ciel ne caglia: a te nel petto sieda
Questa sovr’ogni cura,
Che di fortuna amici
25Non crescano i tuoi figli, e non di vile
Timor gioco o di speme: onde felici
Sarete detti nell’età futura:
Poichè (nefando stile,
Di schiatta ignava e finta)
30Virtù viva sprezziam, lodiamo estinta.

     Donne, da voi non poco
La patria aspetta, e non in danno e scorno
Dell’umana progenie al dolce raggio
Delle pupille vostre il ferro e il foco
35Domar fu dato. A senno vostro il saggio
E il forte adopra e pensa; e quanto il giorno
Col divo carro accerchia, a voi s’inchina.
Ragion di nostra etate
Io chieggo a voi. La santa
40Fiamma di gioventù dunque si spegne
Per vostra mano? attenuata e franta
Da voi nostra natura? e le assonnate

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Menti, e le voglie indegne,
E di nervi e di polpe
45Scemo il valor natio, son vostre colpe?

     Ad atti egregi è sprone
Amor, chi ben l’estima, e d’alto affetto
Maestra è la beltà. D’amor digiuna
Siede l’alma di quello a cui nel petto
50Non si rallegra il cor quando a tenzone
Scendono i venti, e quando nembi aduna
L’olimpo, e fiede le montagne il rombo
Della procella. O spose,
O verginette, a voi
55Chi de’ perigli è schivo, e quei che indegno
È della patria e che sue brame e suoi
Volgari affetti in basso loco pose,
Odio mova e disdegno;
Se nel femmineo core
60D’uomini ardea, non di fanciulle, amore.

     Madri d’imbelle prole
V’incresca esser nomate. I danni e il pianto
Della virtude a tollerar s’avvezzi
La stirpe vostra, e quel che pregia e cole
65La vergognosa età, condanni e sprezzi;
Cresca alla patria, e gli alti gesti, e quanto
Agli avi suoi deggia la terra impari.

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Qual de’ vetusti eroi
Tra le memorie e il grido
70Crescean di Sparta i figli al greco nome;
Finchè la sposa giovanetta il fido
Brando cingeva al caro lato, e poi
Spandea le negre chiome
Sul corpo esangue e nudo
75Quando e’ reddia nel conservato scudo.

     Virginia, a te la molle
Gota molcea con le celesti dita
Beltade onnipossente, e degli alteri
Disdegni tuoi si sconsolava il folle
80Signor di Roma. Eri pur vaga, ed eri
Nella stagion ch’ai dolci sogni invita,
Quando il rozzo paterno acciar ti ruppe
Il bianchissimo petto,
E all’Erebo scendesti
85Volonterosa. A me disfiori e scioglia
Vecchiezza i membri, o padre; a me s’appresti,
Dicea, la tomba, anzi che l’empio letto
Del tiranno m’accoglia.
E se pur vita e lena
90Roma avrà dal mio sangue, e tu mi svena.

     O generosa, ancora
Che più bello a’ tuoi dì splendesse il sole

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Ch’oggi non fa, pur consolata e paga
È quella tomba cui di pianto onora
95L’alma terra nativa. Ecco alla vaga
Tua spoglia intorno la romulea prole
Di nova ira sfavilla. Ecco di polve
Lorda il tiranno i crini;
E libertade avvampa
100Gli obbliviosi petti; e nella doma
Terra il marte latino arduo s’accampa
Dal buio polo ai torridi confini.
Così l’eterna Roma
In duri ozi sepolta
105Femmineo fato avviva un’altra volta.