Canti (1831)/Il sabato del villaggio
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XXIII.
IL SABATO
del villaggio.
La donzelletta vien da la campagna,
In sul calar del sole,
Col suo fascio de l’erba; e reca in mano
Un mazzolin di rose e di viole,
5Onde, siccome suole,
Ornare ella si appresta
Dimani, al dì di festa, il petto e il crine.
Siede con le vicine
Su la scala a filar la vecchierella,
10Incontro là dove si perde il giorno;
E novellando vien del suo buon tempo,
Quando a i dì de la festa ella si ornava,
Ed ancor sana e snella
Solea danzar la sera intra di quei
15Ch’ebbe compagni de l’età più bella.
Già tutta l’aria imbruna,
Torna azzurro il sereno, e tornan l’ombre
Giù da’ colli e da’ tetti,
A la luce del vespro e de la luna.
20Or la squilla dà segno
De la festa che viene;
Ed a quel suon diresti
Che il cor si riconforta.
I fanciulli gridando
25Su la piazzuola in frotta,
E qua e là saltando,
Fanno un lieto romore:
E intanto riede a la sua parca mensa,
Fischiando, il zappatore,
30E seco pensa al dì del suo riposo.
Poi quando intorno è spenta ogni altra face,
E tutto l’altro tace,
Odi il martel picchiare, odi la sega
Del legnaiuol, che veglia
35Ne la chiusa bottega a la lucerna,
E s’affretta, e s’adopra
Di fornir l’opra anzi il chiarir de l’alba.
Questo di sette è il più gradito giorno,
Pien di speme e di gioia:
40Diman tristezza e noia
Recheran l’ore, ed al travaglio usato
Ciascuno in suo pensier farà ritorno.
Garzoncello scherzoso,
Cotesta età fiorita
45È come un giorno d’allegrezza pieno,
Giorno chiaro, sereno,
Che precorre a la festa di tua vita.
Godi, fanciullo mio; stato soave,
Stagion lieta è cotesta.
50Altro dirti non vo’; ma la tua festa
Ch’anco tardi a venir non ti sia grave.
FINE.