Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | Parte II - Capitolo XII | Parte II - Capitolo XIV | ► |
CAPITOLO XIII.
Arrivo di Volhall. Viaggio a Copenaghen.
Candido e Zenoide trattenevansi sull’opere della divinità, sul culto che gli uomini devono rendergli, su i doveri che li uniscono fra loro, e specialmente sulla carità, virtù d’ogni altra virtù più utile al mondo, e non vi s’occupavano con declamazioni frivole; insegnava Candido ai giovinetti il rispetto dovuto al freno sacrato delle leggi; Zenoide istruiva ragazze su quanto doveano a’ lor parenti, ed ambi si riunivano per gettare in quei giovani cuori i fecondi semi della religione. Un giorno ch’essi si dedicavano in quelle pie occupazioni, venne Suname ad avvertire ch’era arrivato un vecchio signore accompagnato da molti domestici, e che al ritratto che le avea fatto di quella ch’ei cercava, non aveva potuto dubitare che non fosse la bella Zenoide. Quel signore seguiva Suname alle calcagna ed entrò quasi nel tempo stesso di lei nel luogo ov’erano Zenoide e Candido.
Svenne Zenoide alla sua vista, ma poco sensibile a spettacolo compassionevole, la prese Volhall per mano e la tirò con tanta violenza ch’ella rinvenne; ma non rinvenne che per spargere un rio di lacrime. — Mia nipote, le diss’egli con un sorriso amaro, io vi trovo in molto buona compagnia: non mi stupisco che la preferiate al soggiorno della capitale, alla mia casa, alla vostra famiglia. Sì, signore, rispose Zenoide, io preferisco i luoghi ove abitano la semplicità e il candore, al soggiorno del tradimento e dell’impostura. Io non rivedrò che con orrore quel luogo ov’ebbero principio le mie sventure, ove ho ricevuto tante prove del vostro nero carattere, ove non ho altri parenti che voi... — Signorina, replicò Volhall, voi mi seguirete, se vi piace; quand’anche doveste svenire un’altra volta.
Così dicendo, la strascinò seco, e la fe’ montare in un calesse che l’attendea. Ella ebbe appena tempo di dire a Candido di seguirla, e partì benedicendo i suoi ospiti e promettendo loro di ricompensare i generosi servigi ricevuti.
Un domestico di Volhall ebbe compassione del dolore in cui Candido era immerso; credendo ch’ei non avesse altro affetto per la giovine danese, fuor quello che inspira la virtù infelice, gli propose di andare a Copenaghen, e gliene facilitò i mezzi; fece di più; gl’insinuò che potrebbe essere ammesso al numero de’ domestici di Volhall, s’ei non avesse altro modo che il servizio per tirare avanti. Candido gradì quelle offerte, e tosto che fu giunto, il suo futuro camerata lo presentò come un suo parente, per cui egli stava garante. — Birbante, gli disse Volhall, voglio accordarti l’onore di stare appresso a un pari mio. Non ti scordar mai del profondo rispetto che devi alle mie volontà: previenile, se hai sufficiente istinto per questo: considera che un pari mio si avvilisce parlando ad un uomo come te.
Il nostro filosofo rispose con tutta la sommissione a quel discorso impertinente, e da quello stesso giorno fu rivestito della livrea del suo padrone.
È da immaginarsi facilmente quanto fu stupita e contenta Zenoide, riconoscendo il suo amante fra i servitori dello zio; ella fece nascere le occasioni di trovarsi: Candido ne profittò; si giurarono una costanza inviolabile. Avea Zenoide qualche momento di cattivo umore; ella si rimproverava qualche volta il suo amore per Candido; lo affliggea co’ suoi capricci, ma Candido l’idolatrava; ei sapea che la perfezione non è propria dell’uomo, e molto meno della donna. Zenoide riprendeva il suo buon umore nelle di lui braccia.