Candido/Parte II/Capitolo XII

Parte II - Capitolo XII

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Voltaire - Candido
Traduzione di anonimo (1882)
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CAPITOLO XII.

Continuazione dell'amore di Candido.

L’unica consolazione che provava Candido, era di parlare alla bella Zenoide in presenza de’ loro ospiti. — Come, le disse un giorno, il re a cui vivevate da presso, potè permettere l’ingiustizia che si fece alla vostra casa? Voi dovete bene aborrirlo. — Ah, disse Zenoide, chi può odiare il suo re? Chi può non amar quello in cui è riposta la spada sfolgoreggiante delle leggi? I re sono le vive immagini della divinità, e noi non dobbiamo condannare mai la loro condotta; l’obbedienza, e il rispetto fanno il dovere de’ buoni sudditi. — Io vi ammiro, sempre più rispose Candido: conoscete voi, signorina, il gran Leibnitz, e il gran Pangloss, che è stato abbruciato dopo che scampò da esser impiccato? Sapete voi delle monadi, della materia sottile, e de’ vortici? — No, disse Zenoide, mio padre non mi ha parlato mai di alcuna di queste cose; egli mi ha dato solamente una tintura della fisica sperimentale, e mi ha insegnato a disprezzare ogni sorta di filosofia, che non concorra direttamente alla felicità dell’uomo, che gli dia false nozioni di ciò ch’ei deve a se stesso, e di ciò ch’ei deve agli altri, che non gl’insegni a regolare i costumi, che non gli riempia lo spirito che di parole barbare, e di congetture temerarie, che non gli dia più chiare idee dell’autore degli esseri che quella che gli somministrano le di lui opere, e le maraviglie che si operano tutti i giorni sotto i suoi occhi. — E maggiormente v’ammiro, signorina; voi m’incantate, voi mi rapite; siete un angelo che il cielo m’ha inviato per illuminarmi sopra i sofismi del maestro Pangloss. Povero animale ch’io era! Dopo d’aver sopportato un numero prodigioso di pedate, di frustate sulle spalle, di nerbate sotto le piante de’ piedi; dopo d’aver sopportato un terremoto; dopo d’aver assistito all’impiccagione del dottor Pangloss e averlo veduto abbruciare poco fa; dopo d’essere stato preso per decreto del Divano, e battuto da alcuni filosofi, io credeva pure che tutto andasse bene. A ch’io ne son ben disingannato! Intanto la natura non mi è parsa mai tanto bella, quanto allora ch’io vi ho veduta. I concerti campestri degli uccelli suonano al mio orecchio con una armonia che fino a questo giorno io non conosceva; tutto si anima, e il sentimento che mi invade, pare che imprima un altro colore su tutti gli oggetti: [p. 94 modifica]io più non sento quella molle languidezza che provava ne’ giardini che avevo a Sus. Que che voi m’ispirate è differente assolutamente. — O via, finiamola, disse Zenoide, il seguito de’ vostri discorsi potrebbe offendere la mia delicatezza, e voi dovete rispettarla. — Tacerò, disse Candido, ma il mio fuoco non sarà che più ardente.

Pronunziando queste parole riguardò Zenoide, si avvide che ella arrossiva, e da uomo esperto concepì le più lusinghiere speranze.

La giovine danese scansò per qualche tempo ancora di trovarsi con Candido. Un giorno ch’ei passeggiava in fretta nel giardino degli ospiti, diede in un trasporto amoroso. — Perchè non ho più i miei montoni del buon paese d’Eldorado! Perchè non son io in stato di comprare un piccolo regno! Ah s’io fossi re... — Siete voi, bella, Zenoide? diss’egli cadendole ai piedi. Io mi credeva solo; le poche parole che avete pronunziate pare che mi assicurino la felicità alla quale aspiro: io non sarò mai re, nè forse mai ricco, ma se voi mi amate... non rivolgete da me quegli occhi pieni di vezzi, che io vi leggo un consenso che può solo compire i miei desideri. Bella Zenoide, io vi adoro; aprasi la vostr’anima alla pietà. Che vedo! voi piangete! Ah ch’io son troppo fortunato! — Sì voi siete fortunato, disse Zenoide: niente mi obbliga a celare la mia sensibilità per un oggetto che io ne credo degno: finora non avete avuto pietà della mia sorte che per i legami dell’umanità: è tempo ormai di stringere questi legami con altri legami più santi. Io mi sono consigliata; riflettete seriamente ai casi vostri, e pensate sopratutto che sposandomi, contraete l’obbligo di proteggermi, e di mitigare e dividere le miserie che forse ancora mi serba la sorte. — Sposarvi? dice Candido: queste parole mi illuminano sull’imprudenza della mia condotta. Ah! caro idolo della mia vita, io non merito da voi tanta bontà. Cunegonda non è morta ancora. — Chi è questa Cunegonda? chiese Zenoide — Questa è mia moglie, rispose Candido colla sua solita sincerità.

Restarono i nostri amanti qualche tempo senza aprir bocca; voleano parlare, e le loro parole spiravano su’ lor labbri; i loro occhi erano molli di pianto; Candido tenea fra le sue mani quelle di Zenoide, se le stringeva al cuore e le divorava di baci. Ardì alzare gli sguardi e credè di vedere scritto il suo perdono ne’ begli occhi di lei — Caro amante, gli diss’ella, la mia collera coprirebbe malamente i trasporti che autorizza il mio cuore. Fermati per altro; tu mi rovineresti nell’opinione degli uomini, e saresti poco capace d’amarmi se io diventassi l’oggetto de’ loro disprezzi: fermati, e rispetta la mia debolezza. [p. 95 modifica]

Non riferiremo tutta quella conversazione interessante; ci contenteremo di dire che l’eloquenza di Candido abbellita dall’espressioni amorose, ebbe tutto quell’effetto che egli potea aspettare sopra una filosofessa giovine e sensibile.

Questi amanti, i cui giorni passavano per l’innanzi fra la mestizia e fra l’inquietudine, parvero felici; il silenzio delle foreste, le montagne coperte di bronchi e spine, ed attorniate da precipizj, le pianure gelate, i campi ripieni d’orrore de’ quali erano circondati, li persuasero maggiormente del bisogno ch’essi avevano di amarsi. Erano risoluti a non abbandonare quella solitudine orribile, ma il destino non era stanco di perseguitarli, come lo vedremo nel capitolo seguente.