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In vacanza

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IN VACANZA1

Julianehaab, (Groenland occid.)
1 agosto 1903


Stim. Signore,

Poichè Ella ha la cortese ingenuità di credere che i suoi lettori possano esser curiosi de’ fatti miei, rispondo di buon grado alle sue domande.

Passo le mie vacanze estive qui, nella Groenlandia occidentale, a Julianehaab, piccolo porto in fondo a un fiord o canale di mare, tagliato a picco nei monti nevosi; in un albergo di legno, ma fornito di ogni comodo; fabbricato ed esercitato da uno svizzero, il signor Meisterhoff di Zurigo. La clientela estiva (poichè l’albergo Green Hôtel si chiude coll’agosto) è quasi tutta di inglesi e di svedesi. Di meridionali non ci siamo che io e S. E. [p. 242 modifica]il cardinale Vives y Tuto che si ristora delle fatiche del Conclave. Benchè in molte cose non andiamo d’accordo, pure la latinità della razza ci riunisce e, sciabolando a vicenda la lingua di Dante, di Cervantes e di Cicerone, c’intendiamo. S. E. mi ha raccontato molte storie del Conclave, ora tragiche, ora comiche, ma io non voglio abusare della sua confidenza e qui non è il posto.

Mentre le scrivo, l’orologio dell’albergo suona le ventitrè. A Milano è notte fitta, ma qui, dove in questa stagione il sole non tramonta mai, veggo il suo disco leggermente roseo che rade il mare all’orizzonte senza tuffarcisi.

Sulla spiaggia, alcuni di questi inglesi hanno pagato due bottiglie di acquavite agli Esquimesi per godere una corsa di kajaks. E i kajaks sono certi sandolini fatti con un’armatura di legno leggero e coperti di pelli di foca. Il rematore quando è seduto, si abbottona le pelli sino al mento, così che il sandolino e la persona diventano una cosa sola. Fanno cose incredibili! Li vedo spesso rovesciare sè stessi e il sandolino di fianco e, girando sotto, raddrizzarsi in un lampo dall’altra parte. Quando si vede il fondo del sandolino a galla, si rimane senza fiato, ma la testa lucida dell’esquimese appare subito, e il sandolino si raddrizza e via, come se niente fosse. Domenica scorsa ci si provò uno svedese, ma, quando fu a capofitto, non riusciva più a rilevarsi. Fu soccorso prima di annegare e ci vollero molte frizioni esterne ed interne (brandy) per rimetterlo in sesto. [p. 243 modifica]

Dietro all’albergo c’è il monte dove comincia l'indlansis, cioè l’immenso ghiacciaio che copre tutta la Groenlandia, salvo le spiagge, dove il mare reca un tepore relativo in questa stagione. Ne feci la salita alcuni giorni sono con una guida Esquimese che biascica qualche parola inglese, e si chiama Tapioca. I nevai erano un po’ fradici ed anche con gli sky si affondava.

Salvo la vista del mare dove nuotavano fitti i massi di ghiaccio galleggianti, non c’era cosa che meritasse la pena. I ghiacciai sono più ineguali ed aspri dei nostri, ma meno pericolosi perchè hanno meno crepacci. La parte migliore della gita fu una coscia fredda d’orso bianco arrosto, lardellata di ventresca di foca. Non so se fosse l’appetito, ma mi parve un cibo da cardinale. Tapioca fu del mio parere. È miracoloso quel che uno stomaco esquimese può contenere in fatto di solidi e di liquidi! Ci furono dei momenti in cui guardavo Tapioca con terrore. Chi sa mai! Se fosse cannibale?

Fra i camerieri dell’albergo c’è un giovinotto di Abbiategrasso che non mi parla mai e mi sfugge. Forse teme che io gli domandi quali casi l’abbiano condotto fin qua. Rispettiamo il pericoloso mistero!

Tutt’insieme questi quindici giorni trascorsi tra i 60 e 61 gradi di latitudine, tra i capi Farewel e Desolation, mi hanno abbastanza ricreato. Due cose però non mi lasciano buona memoria; il sole di mezzanotte e gli Esquimesi.

Questo sole che non tramonta mai, mi turba i sonni. Veglio, come ora, a mezzanotte e dormo a [p. 244 modifica]mezzogiorno. Ho perduto la nozione esatta del dì e della notte e questa interruzione di un’abitudine più che cinquantenne spesso mi dà sui nervi. Ma deve esser colpa mia. Sento infatti nella camera qui accanto S. E. il cardinale Vives y Tuto che russa, se non armoniosamente, almeno placidamente. A lui il giorno implacabile non reca noia. Ha sofferto un poco nel doversi avvezzare alla birra, perchè qui non c’è che vini di lusso a prezzi mostruosi e lo sento ancora brontolare: “maldita cerveza!” Ma ora la beve bene.

Quanto agli Esquimesi, sarà meglio non parlarne. L’unto che li vernicia, il puzzo d’olio di pesce che li avvolge e altre non belle cose che taccio, consigliano il silenzio.

Dico solo questa, che Tapioca, l’Esquimese semicivilizzato, mangia colle dita e si pulisce il naso... Il resto lo dirò un’altra volta.

Che cosa ho fatto qui? La cura dell’ozio che mi fu raccomandata dai medici. Ma i ghiacci cominciano a diventar fitti all’ingresso della baia e domani partiremo quasi tutti col postale per Tromsöe.

Imagini, se dovessi rimaner bloccato dall’inverno, coll’albergo chiuso, a svernare cogli Esquimesi!...

Parto dunque domani: anzi oggi, poichè il sole è alto e suona il tocco dopo mezzanotte.

Mi creda se mi vuol credere.

Note

  1. (Dal Giornale Verde e Azzurro che chiedeva a parecchi scrittori come passasseo l’estate. Milano, agosto 1903).