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In sella 339

disperatamente l’immenso manubrio di una macchina venerabile per le gomme piene e lo sterzo a pivot; mausoleo antichissimo che suonava come un carro di ferri vecchi. E il campo centrale come era morbido, quando con una sterzata involontaria lo andavo a trovare e mi accoglieva sul soffice tappeto di trifoglio, lungo e disteso!

Ma sono cocciuto e imparai senza dirlo a nessuno.

Quando fui cotto al punto, dissi al figlio che volevo imparare anch’io. Mi si offerse maestro e andammo dal noleggiatore Pelloni, sulla Piazza Otto Agosto, nota palestra dei principianti. Ivi, fingendomi coscritto, mi feci mettere in macchina con gran fatica, ascoltai reverente i consigli e i precetti figliali, poi dissi: “Ho capito! Si deve far così!”.

E partii. Il figlio prima ebbe paura e mi rincorse gridando: “bada! bada!” Ma quando mi vide onorare la piazza di eleganti evoluzioni pedalate magistralmente, allora capì e rise. Ah, come ridemmo di gusto quella mattina!

Due giorni dopo andammo al Sasso (16 km. di salita) ma il Pelloni mi aveva dato una macchina da mezza corsa, troppo dissimile al vecchio letto di ferro sul quale avevo imparato l’arte. Compromisi, svergognai la dignità paterna con parecchi memorabili ruzzoloni; ma da quel giorno io e il figlio ci sentimmo in così buona compagnia che siamo diventati inseparabili. La memoria di quegli esordi ci rallegra spesso nelle faticose salite per Firenze o nella