Brani di vita/Libro primo/Biblioteche
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BIBLIOTECHE
Lo Sterne nel Tristram Shandy sostiene che ogni uomo a questo mondo ha il suo dadà, il suo cavalluccio; e da noi si dice che ognuno ha il suo ramo di pazzia, anzi Alfredo di Musset scrisse in versi che in Italia questo grain de folie lo abbiamo proprio tutti. (Tra parentesi, era un verista lo Sterne? Non si direbbe, ma chi seguisse le teorie di certi ipercritici, dovrebbe ammetterlo. Infatti se per quei signori il verismo sta tutto nel parlar di grasso, lo zio Toby non parla di magro). Ora il mio dadà sono le biblioteche e non me ne vergogno davvero. Sono stato un pezzo in bilico se dovessi ammattire per le biblioteche o pel giuoco del tresette, quando finalmente mi sono deciso per le biblioteche. Il tresette mi avrebbe dato minori disillusioni, ma la pazzia che ho scelto mi porge almeno il destro di scriverne qua e là; il che lusinga molto l’amor proprio del mio portinaio che non sa leggere.
L’argomento del resto è, da tempo, arrivato, direbbe Bismark, al momento psicologico. Noi diciamo che è maturo, e la figura rettorica così è più giusta, poichè il frutto maturo o si coglie, o marcisce e cade. E poichè l’argomento delle biblioteche marcirà negli archivi del Ministero e cadrà in dimenticanza, se già non c’è caduto, è proprio il caso di una locuzione figurata da porgere ad esempio agli sventurati sì, ma infelicissimi studenti de’ licei.
Ad una domanda del deputato Martini, il solo, fra cinquecento deputati che si suppone sappiano leggere, il quale si sia fermato a dare un’occhiata a quel capitolo del bilancio, ci toccò di sentire il Ministro per la pubblica istruzione confessare di non aver potuto leggere il rapporto della Commissione d’inchiesta sulla Vittorio Emanuele senza arrossire. Quella biblioteca, per norma dei lettori, non è nell’isola di Pantelleria, ma a due passi dalla Minerva.
Vien dunque fatto di ricorrere a quella aritmetica che pare fosse privilegio dell’onorevole Bernardino Grimaldi, e ricordando la regola del tre, brontolare spaventati: “Se tanto mi dà tanto!...”.
Come sorveglia il Ministero le biblioteche dello Stato? È una innocente domanda alla quale non so che risposta si possa dare. Il Ministero infatti si contenta dei rapporti, dei conti e delle statistiche che gli mandano i bibliotecari, onestissima gente, incapace di usare nemmeno in sogno de’ quattrini e delle cose pubbliche, ma soggetta come tutti gli uomini di questo mondo a sbagliare. Onestissima gente, piena di buona fede, ma esposta a tutti i pericoli cui la buona fede espone: almeno così si è visto nella biblioteca Vittorio Emanuele. Come dunque sorveglia il Governo, come si guarda da questi pericoli? Con un semplicissimo sistema che ho visto nel 1870 applicato alla nettezza pubblica in Subiaco: aspettando cioè che la divina provvidenza mandi un temporale a spazzar via tutto, il buono e il cattivo, le immondizie ed il bucato disteso, aspettando un qualche pasticcio troppo grosso per nominare una commissione d’inchiesta che faccia piazza pulita alle immondizie dell’avvenire. Questo sistema subiacense è economico, ma via, non è igienico.
E pensare che l’Italia, giardino del mondo, è un portento di fecondità maravigliosa in tutto, anche e specialmente in commissioni ed in ispettorati! Pensare che non si può mettere il naso fuori dalla finestra senza veder passare una serqua di commendatori ispettori de omni re scibili et de quibusdam aliis: pensare che i Ministri si sono limati il cervello fino alla penultima cellula per trovar nuove cose da ispezionare, come l’industria e il commercio; pensare che dagli ispettori di pubblica sicurezza fino a quelli di finanza ce n’è tanti che oramai sono più loro che i contribuenti, e pensar poi che a queste povere disgraziate di biblioteche non hanno concesso nemmeno un cencio d’ispettorato, nemmeno un commendatore, nemmeno un cavaliere spicciolo, tanto per dire che ce n’è almeno uno! Proprio è difficile spiegarlo, a meno che non si voglia dire, con qualche apparenza di vero, che gli ispettori delle biblioteche non ci sono, appunto perchè ce n’è bisogno.
Ma qui può darsi che questa millesima istituzione di ispettori sollevi qualche opposizione. Delle sinecure ce ne sono tante, che a fare una diecina di canonicati di più non torna il conto.
È verissimo. Io davvero non so se nel meccanismo della istruzione ci sia qualche ruota, qualche molla che abbia per ufficio questa sorveglianza delle biblioteche; passatemi la figura. Ma se questa ruota c’è, deve essere arrugginita da un pezzo; se c’è una molla, non scatta più. Io ho vissuto molto in una biblioteca, dove ad onor del vero non c’era bisogno di sorveglianza o di controllo, ma dove anche ad onor del vero non s’è mai visto nessuno a ispezionare o a controllare. Tutte le relazioni col Governo centrale si riducevano a spedire parecchi chilogrammi di statistiche all’anno e a domandare ripetutamente i quattrini della dotazione. Mai un cristiano si è presentato a chiedere come andavano le cose, ad informarsi de visu, a toccare colle proprie mani per conto del Governo.... Sbaglio. Ci venne il Re col Ministro della istruzione pubblica, con quello degli esteri e con quello dei lavori pubblici; ma era buio e poi ci stettero tre minuti precisi.
Debbo dunque credere che nel meccanismo del Ministero manchino le parti necessarie al controllo di cui parliamo: e se, per tema di istituire dei canonicati, non si vuol mettere insieme un congegno fisso, se ne può combinare benissimo uno staccato, intermittente, volante. Voglio dire che si possono mandare delle persone pratiche ora al nord ora al sud, per dare un’occhiata ai libri, ai cataloghi, ai servizi. S’intende che non bisognerebbe avvisare una settimana prima che il commendator tal de’ tali arriva alla tal’ora per fare una ispezione, e s’intende che non bisognerebbe mandare un bibliotecario a riveder le bucce al collega. Dato che nelle biblioteche avvengano degli inconvenienti, mi pare che il cercare di conoscerli a tempo non sia mal fatto; ma anche qui s’intende che al Ministero dovrebbero leggere i rapporti e non dare ragione a quella tradizione burocratica secondo la quale un ispettore mise una sardella tra le pagine del suo rapporto, e tutte le volte che torna a Roma a domandare un avanzamento, si reca agli archivi dove ha la soddisfazione di verificare che la sua sardella è religiosamente conservata tra le due pagine dove la mise. Il che davvero consola, poichè prova che almeno gli archivisti fanno buona e fedele guardia.
In tutto questo non c’è nulla che possa offendere i bibliotecari. Non c’è un colonnello che si creda offeso quando il generale viene a fare l’ispezione; una misura generale non può offendere le giuste suscettibilità degli individui. La Leda del capitano Salvi era una buona cavalla senza dubbio; ma se il capitano non l’avesse tenuta tra le gambe credete che sarebbe arrivata a Napoli in tempo per vincere una scommessa? Era una buona cavalla, ma se il capitano si fosse addormentato, credete voi che non si sarebbe fermata un pochino a pascere un po’ d’erba sui margini della strada? Non si fa torto alla buona cavalla dicendo che fu aiutata molto dallo stimolo del cavaliere.
Insomma, ispettori o no, pare oramai che a questa faccenda delle biblioteche sia da pensarci sul serio. I nostri nonni avevano l’abitudine di imprimere sul frontespizio dei libri certi bolli madornali che tra l’inchiostro e le frittelle d’olio coprivano ogni cosa. Ebbene, si deve a questa bestiale abitudine, a queste frittelle indelebili, se molti libri non hanno emigrato; e se nella biblioteca Vittorio Emanuele ci fosse stato un frittellume come dico io, l’emigrazione sarebbe stata minore. Parecchie biblioteche non hanno altro riparo contro le ugne dei bibliofili, letterati o no, che il bollo, in mancanza di cataloghi e d’inventari. E notate che i bibliotecari non ne hanno colpa, poichè a fare un catalogo ci vogliono delle braccia e dei quattrini che il Governo non dà, e che i bibliotecari, con ragione, non vogliono metter del loro. Se dunque questa proprietà dello Stato, questa ricchezza della Nazione fosse un po’ meglio curata, sorvegliata, difesa, che male ci sarebbe? Almeno il Ministro si risparmierebbe di dover confessare i suoi rossori e noi italiani non faremmo la bella figura che facciamo. Dico bene?