Biografie dei consiglieri comunali di Roma/Giovanni Angelini

Giovanni Angelini

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Luigi Alibrandi Augusto Armellini

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ANGELINI CAV. GIOVANNI


Consigliere Municipale


NN
ome modesto e vita modesta. — La famiglia Angelini sorse negli Abbruzzi: il quando lo s’ignora, siccome le vicende speciali che poterono distinguere alcuni nel procedere delle generazioni: in sullo scorcio del secolo XVIII gli Angelini vennero a Roma, e si dedicarono al commercio. — Ecco quanto della origine puossi dire.

Giovanni Angelini nasceva in Roma nel 1808. — Tristi volgevano in allora gli anni. Italia percorsa da stranieri che sotto nome di libertà la stringevano in servitù abbiettissima; le glorie antiche perdute come le rarità delle arti nostre venivano rapite; cenciosi d’oltr’Alpi che salivano a baldanza perchè venivano a posarsi su alti seggi; i re in bando; le franchigie promesse ma giammai concesse; ordini nuovi con uomini di vecchio stampo quali scredenti e quali traditori per fede; una generazione rosa e consumata fra gli ozî spensierati del passato, un’altra rotta a mezzo dalla spada di cento battaglie, una terza che sulle ceneri della Rivoluzione veniva ad attingere forza per segnare una via che fosse nè cospirazione nè servitù. — Un re della casa di Savoia, Carlo Emanuele IV, era sceso dal trono, e venuto a Roma, entrato nel noviziato dei Gesuiti, quivi moriva nel dì 6 ottobre 1819, lasciando un legato di pietà a’ propri successori, ma un seme ancora di odio in coloro ch’erano stati suoi sudditi. — E la santa religione del re di Piemonte che moriva con la veste di gesuita, il contrasto che da tale fatto avveniva con coloro che volevano libertà, ciò tutto portava alle cospirazioni del 1821: lo Spielberg non rese mute tutte le labbra, nè il soffio di morte spense la fiaccola delle mille patriottiche [p. 20 modifica]aspirazioni: le giornate di luglio in Francia risollevarono lo spirito, e portò molti a giuocare la vita nei segreti convegni del 1831.

Fra questi trovossi Giovanni Angelini. — Sembra però che le delusioni lo stringessero tosto, poichè vistosi salvo appresso ai moti rivoluzionari che parecchi in quel tempo resero o morti combattendo, o fecero cacciare in esilio, o con lunga prigionia la voglia di libertà scontare, ritornò alla quiete tranquilla della casa, e la benda del cospiratore cangiò nel libro-mastro del commercio. E siffatto vivere riconobbe più profittevole che non le politiche agitazioni, chè per molti, pazzeggiamento senza dolce realtà, è rincastellarsi di utopie e di speranze intorno alla pianta patria, pianta che non dà frutta se non sul terreno sodo coltivato da speculatori e da ambiziosi. Le teste spiccate dai busti in olocausto alla patria servono come le pietre del dio Termine presso i Pelasgi a segnare il mio ed il tuo; chi ne ha gode, e chi per la patria senza prendersi un acconto fece spreco di sudore e di sangue, sarà ventura che trovi un letto allo spedale.

Lo strepito del 1848 non porse all’Angelini che l’occasione di accettare il grado di aiutante maggiore nella Guardia civica, ma poichè è uomo che quando accetta un uffizio con coscienza lo funge, così le poche brighe annesse alla sua carica disimpegnò sì bene da meritarsi la fiducia per qualche speciale incarico, e nel 1849 la nomina a Comandante di Piazza. — I Francesi quando entrarono in Roma non andando molto per lo sottile, e le perdite gravissime nell’assedio e negli assalti patite volendo pure in qualche modo vendicare, disfogarono il rancore contro chi aveva tenuto posti e funzioni di qualche rilevanza: un Comandante di Piazza parve persona meritevole di venire severamente punita, ed il governo pontificio arrestato l’Angelini e processatolo, condannollo al precetto per anni nove.

L’episodio non parve dei più graditi, e fece piuttosto risognare all’Angelini i giorni tranquilli e sereni del proprio commercio: ridiede un solenne addio alla politica, e dedicossi tutto agli affari. Fortuna gli arrise e divenne ricchissimo. — Non si scosse per alcun fatto politico; n’andasse l’Italia, l’Europa, il mondo, desso attese al suo commercio così da rimanersi fra tutto impassibile. A lui potevasi applicare il si fractus illabitur orbis di Orazio. — Ma ecco il 20 settembre 1870: l’Angelini non si muove, e vengono i cittadini a stanarlo portandolo nelle prime elezioni come consigliere al Campidoglio; una croce non viene mai sola, ed ecco l’Angelini passato dal Consiglio a far parte della prima Giunta, nella quale gli si volle affidata l’edilizia. Fu veramente un giuoco triste della sorte. L’uomo più tranquillo e più schivo della pubblica vita condannato alla pena di Sisifo. — Provossi l’Angelini a spingere sull’alto della montagna della pubblica opinione il suo sasso, ma poichè questo non era che di buon volere, pietra senza pregio negli anni che corrono, così dopo tanta fatica se lo vide ritombolare a valle: rivestillo di un po’ d’intelligenza e ricacciosselo innanzi sempre per riguadagnare la cima sospirata della pubblica [p. 21 modifica]opinione, ma questa era inesorabile, ed il sasso ricadeva al fondo. — Il Doria ed il Pallavicini che tennero il sommo potere in Campidoglio, altamente stimarono l’Angelini, e più che dal pubblico non si fosse fatto gli ascrissero a merito la buona intenzione interrogandolo di sovente in cose di alto rilievo. — Quali idee si avessero in quei giorni, la storia non saprà mai indicare: dominava la confusione delle lingue e fu buona ventura che peggio non sia avvenuto; tanto è vero che anche l’inazione alcuna volta serve a bene, almeno nello evitare il male. Il Doria, il Pallavicini apprezzando l’Angelini e consultandolo, dimostrarono sempre di comprendere il bisogno che lassù in Campidoglio vi dovessero essere uomini serî, intelligenti, attivi, e non statue, per isfuggire le censure di chi fischia funamboli e magnetizzatori. — Il popolo romano difatti mal vedeva certa gente salita in nommea per un vero giuoco di bussolotti, e chiedeva almeno che la mala opinione con qualche buon atto si smentisse o correggesse; ma chi per galloni d’oro in anticamera siede in alto, stima mostrarsi grande la pubblica opinione disprezzando, quasi che i palloni grossi di vento, sieno pure rivestiti di carta d’oro, non possano scoppiare tanto più facilmente quanto più salgono, e quanto più l’aria diviene rarefatta e pura.— Dal settembre 1870 al maggio 1871 pareva che il Municipio fosse stato una crisi permanente, tanta era la vicenda d’incertezze, di gelosie, di gare personali che il pubblico bene assolutamente facevano negligere, per meschino sfogo d’individuali passioncelle non inspirate nemmeno a qualche atto di speciale importanza. — Finalmente 15 consiglieri capitanati dal Pianciani votarono un ordine del giorno di opposizione alla Giunta; 21 votarono in favore, ed i 15 uscirono dall’aula sdegnosi dichiarando di rinunziare al mandato avuto dagli elettori. — A tale estremo erano giunte le cose, e se il popolo fischiava alquanto la commedia e gli attori, non potevasi poi del tutto condannare, chè delle molte promesse nulla s’era mantenuto. — Lasciò scritto Macchiavelli che certi uomini non sanno che per metà essere o buoni o cattivi, e così non riescono a toccar fama o biasimo che li distingua dalla schiera miseranda di quei dannati che Dante dipinse lungo la riva malvagia senza mai essere stati vivi.

Uno di quei veli impenetrabili che sul codice della moderna giustizia chiamasi inviolabile, perchè.... la legge è eguale per tutti, copre ancora certe nomine fatte negli ultimi giorni quando anche l’Angolini doveva lasciare la carica di assessore. Per giustizia però dobbiamo convenire che gran parte degli errori in quelle nomine deve riversarsi sull’Assessorato per la pubblica istruzione....... Come v’entrasse un alto personaggio, è mistero, non mistero già il pentimento successivo. Di tale fatto se ne addebita parte di colpa all’Angelini essendo stato fra gli ultimi atti della Giunta alla quale esso apparteneva. — E quella Giunta cadeva sotto il peso dei proprî errori: errori singolarissimi, poichè se colpa poteva annettersi, quella eravi di nulla aver fatto, per la semplice ragione che il pensiero sul da farsi non era stato ancora concepito. — E strana figura deve certo dinnanzi allo straniero [p. 22 modifica]aver fatto questa Roma redenta, posciachè dopo il sospiro di tanti poeti, e dopo che tanti secoli avevano tessuto il velo del risorgimento, eccola figlia dei Bruti rimanersene sola e come smarrita, e del primo ambizioso che saliva al Campidoglio gittarsi fra le braccia e pregarlo quasi che come donzella la rivestisse a festa, mentre i dilettissimi suoi conquistatori nel fraterno amplesso le carni mordendole e le vesti strappandole, minacciavano per senso di libertà, quella toglierle ancora ch’è veste di pudore. — Ma gli ambiziosi, la libertà, il pudore passano e rimane?.... un ricordo. — Gli uomini nel cui branco stava eziandio l’Angelini si ordinarono a battaglia e nell’aula capitolina intesero a costituire la Opposizione. — Sciagurata cosa ella è questa, che gli uomini nel più di loro azioni vengano regolati da uno spirito cieco che muta colore e nome a tutto, per cui avviene che come chiamasi prudenza la codardia, saviezza la menzogna, industria il raggiro, arte di vivere lo spergiuro, così anche in più elevate situazioni secondo il pensiero, il capriccio, la veduta propria vogliasi dar nome e colore alle idee ed ai fatti. — Che se così torto giudizio nella pubblica vita non affermasse spesso gli uomini, e come il fanciullo fa con le farfalle che per tenerle sicure toglie loro di sotto al cappello che servì a cacciarle aria e luce, forse che si vedrebbero improvvisarsi opposizioni per contraddire da una sedia ciò che ieri sostenevasi da un seggio, e disdire ciò che non fu pensato, e parlare senza riflessione, e non riflettere perchè si teme che la ragione brilli il vero?.... — Ma pazzo sarebbe chi il mondo che così corre volesse por altra via dirizzare. — Anche l’Angelini passò quindi nella opposizione e ciò che fare avrebbe dovuto, od almeno far credere che lo avesse voluto, ora si pose a contraddire. — Nella quistione del Piano Regolatore, l’Angelini fu fra gli avversi. — Perchè? — Noi non indagheremo le segrete ragioni dei voti; li crediamo dati secondo coscienza. È vero che in morale si distinguono parecchie sorta di coscienza, ma su ciò pensino i votanti, ed in qualche parte potranno pensare gli elettori quando spetta a loro il ripopolare le sedie dell’aula massima in Campidoglio.

Virtù dell’Angelini è l’assiduità nelle sedute consigliari, ed è fra i pochi che sappiano con chiarezza esporre i proprî pensieri. — Quale parte avrà nell’avvenire di Roma?.....

Inspirandosi ad un serio e reale amore al paese, svincolandosi da molti che con il nome di amici stringono ed immorsano chi ha mente e cuore per fare qualche cosa affinchè nulla faccia, potrà l’Angelini fare del bene alla patria, senza con ciò compromettere le individuali opinioni: chè se errore gravissimo è il voler dapertutto cacciare la politica, massimo lo è poi quando questa serva a barriera o ad ostacolo perchè il molto da farsi venga oppugnato e morto fino dal suo concepimento.