Biografie dei consiglieri comunali di Roma/Francesco Sforza Cesarini
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DUCA SFORZA CESARINI D. FRANCESCO
Consigliere Municipale
Le glorie degli avi sono raggi ardentissimi di luce immortale, che scendon sul capo dei posteri figli e a grandi cose il loro animo accendono, e non che agguagliare a superare lo splendore degli antenati son loro di sprone.
E noi del Duca D. Francesco Sforza Cesarini discorrendo brevemente la vita, vedremo di leggieri come egli sia degno del glorioso stipite degli Sforza, imperocchè s’argomenti dalle di lui opere, tuttochè giovane ancora degli anni, quanta speranza in lui confidi la patria.
In Genzano, provincia romana, nasceva esso nel 16 novembre 1840 dal Duca Lorenzo e Donna Carolina Shirley dei Conti Ferrers, e tennelo al fonte del battesimo Carlo Ludovico di Borbone allora Duca di Lucca, il quale alla famiglia Sforza legavano antichi rapporti di amicizia.
Insino dall’infanzia mostrò vivace l’ingegno, e non aveva ancora raggiunto il tredicesimo anno di età, che nella italiana e latina favella, nella inglese, lingua di sua madre, e nella tedesca era già istrutto, onde al Collegio Tolomei in Siena fu mandato a studiar belle lettere e filosofia.
Nell’anno 1856 felicemente sostenne gli esami per l’ammissione all’Accademia militare di Torino, d’onde uscì nel 1859 eletto ufficiale nel Reggimento Dragoni Vittorio Emanuele, che sfavasi allora formando nell’Emilia. Ma indi a non guari il Ministero della Guerra lo destinava cigli studi di perfezionamento nella scuola di Cavalleria in Pinerolo, d’onde venia promosso a Luogotenente nei Lancieri di Montebello, quindi trasferito al Reggimento Lancieri di Novara ed appresso prescelto aiutante di campo del Generale Durando Comandante il Dipartimento militare in Milano.
Volgeva. l’anno 1864. — Un’accozzaglia di gente perduta, miserabili avanzi di soldatesche sconfitte, uomini brutti d’ogni scelleraggini, organizzatisi in brigantaggio spargevano il terrore e la strage nella provincia di Salerno e di Basilicata. — 11 duca D. Francesco Sforza nominato Capitano fu colà spedito col suo squadrone, e si diò di tutta lena a disperdere quelle orde di masnadieri, a perseguitarli sino alle loro tane e a ristorare così la pubblica e privata sicurezza in quelle contrade. — E pensare che le scelleratezze do’ grandi malfattori, che i ladroneggi e gli assassini e tutti i più inauditi misfatti erano fomentati da uomini che tennero ingiusta signoria sulla terra italiana volendola divisa, onde seguitare a suggere come tanti vampiri il sangue del popolo; e pensare che anche in nome di colui, che vantasi vicario di Dio, si consumarono stupri e omicidi, rapine e incendi e atrocità senza fine orrende, e che tuttora con la più tiranna voluttà aspira alla rovina della patria, è cosa che mette raccapriccio, e fa dubitare se v’ha una religione, se veramente l’umanità è progressiva.
Correva intanto l’aprile del 1866 quando lo Sforza veniva eletto ufficiale d’ordinanza del Re.
Rottasi poco di poi la guerra contro l’Austria ei valorosamente combattè e gloriosamente si distinse nella famosa giornata del 24 giugno, onde si meritò la decorazione della Medaglia al valor militare.
Trovavasi tuttavia al servizio nell’esercito regio allorché nel 1867 andavasi formando una crociata di volontari italiani per la liberazione di Roma.
Ne era il condottiero quell’uomo, cui tutto il mondo s’inchina — il Generale Garibaldi. Plaudiva lo Sforza a quella magnanima insurrezione, chò Roma era anche il sospiro dell’anima sua e pur egli credeva che il grande dovere d’italiani era quello d’impiantare sulle rovine del papato temporale la bandiera della libertà, della inviolabilità del pensiero e della libertà di coscienza. — Quindi quella spedizione favoreggiò con tutte le aderenze che aveva, con tutti i mezzi, che gli furono possibili.
Ma era destino che quella nobile impresa finisse colle stragi di Mentana, e la tiara si macchiasse di sangue, e le armi francesi codardamente si prostituissero al despotismo.
La famiglia Sforza per i suoi principi altamente liberali, per i sentimenti di vero patriottismo, per l’amore grandissimo, che sempre nutrì per Italia, e per l’ardente desiderio di veder risplendere il sole della civiltà e del progresso, era venuta in odio del tenebroso governo teotratico, il quale perciò la dannava all’esilio, mentre un’orda di mercenari satelliti, e di famosi ladroni poneva a ruba e a saccheggio le sue possessioni, il suo magnifico castello di Genzano.
Ritiratosi lo Sforza dal militare servizio facea seguire ai ludi di Marte le serene dolcezze dell’Imeneo, chè nel novembre di quello stesso anno 1867 disposavasi alla chiarissima Donna Vittoria dei Principi Colonna.
Conduceva riposata e tranquilla la vita dapprima in Firenze, appresso in Napoli, di poi nel suo loco natio, ove giungeagli notizia che le regie truppe muovevano alla liberazione di Roma, per il che pieno il cuore di patriottica esultanza si fece loro d’incontro, chè all’avvenimento più solenne della patria volea pur egli di persona concorrere. Era il settembre del 1870. — Il Comando della spedizione lo accolse con immenso compiacimento e tosto lo inviava Presidente d’una Giunta distrettuale per la Comarca. Le truppe italiane procedevano innanzi e il giorno 20 sormontando la breccia di Porta Pia redimevano Roma dal servaggio temporale dei Papi, la purgavano delle venali e codarde soldatesche, sentina di tutto le immondizie quivi convenuta da tutte le parti del mondo, e l’eterna città splendeva in tutta la pompa delle sue libere vesti, in tutta la luce che dimanava dal sole della civiltà e del progresso dei tempi.
Il Duca D. Francesco Sforza era chiamato a formar parte della Giunta di Governo di subito costituitasi, e in quello ufficio sempre meglio dimostrò come avesse l’animo pieno di nobile fierezza, perchè il decoro di Roma e l’onore d’Italia si sostenesse. E fu perciò il primo e più caldo oppositore alla formola del Plebiscito dal Governo proposta, nella quale avrebbesi voluto appoggiata al voto solenne del popolo la famosa conciliazione col Papa, il che faceva aperta l’altissima mente dei nostri grandi uomini di Stato — E lo Sforza benemeritò della patria, perocchè scongiurò per tal modo che un atto contrario alla coscienza della Nazione contaminasse il voto popolare.
Nel decembre dello stesso anno 1870 la 3.ª a Legione della Guardia Nazionale lo acclamò suo Colonnello, e in tale carica stette con generale soddisfazione sino all’agosto 1873, in che volontariamente si dimise.
Di presente è Ajutante di Campo onorario del Re.
L’amore e la stima, di che è circondato, fece si che fosse mandato Consigliere in Campidoglio.
Ha i modi cortesi, l’animo nobilissimo, gentilissimo il cuore.
Egli vive nel desiderio di vedere Italia farsi sempre piò grande e rispettata Nazione e per lei farebbe delle proprie fortune e della propria vita sacrificio. —
Noi crediamo con questi brevi cenni della vita del Duca D. Francesco Sforza Cesarini aver dimostrato com’egli, a trentatre anni appena di età, siasi reso già degno del glorioso suo stipite, e portiamo fede che sarà uno dei figli, che onorerà vie più sempre meglio la Patria.
Tip. Tiberina Piazza Borghese