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duca sforza cesarini d. francesco |
za. — Quindi quella spedizione favoreggiò con tutte le aderenze che aveva, con tutti i mezzi, che gli furono possibili.
Ma era destino che quella nobile impresa finisse colle stragi di Mentana, e la tiara si macchiasse di sangue, e le armi francesi codardamente si prostituissero al despotismo.
La famiglia Sforza per i suoi principi altamente liberali, per i sentimenti di vero patriottismo, per l’amore grandissimo, che sempre nutrì per Italia, e per l’ardente desiderio di veder risplendere il sole della civiltà e del progresso, era venuta in odio del tenebroso governo teotratico, il quale perciò la dannava all’esilio, mentre un’orda di mercenari satelliti, e di famosi ladroni poneva a ruba e a saccheggio le sue possessioni, il suo magnifico castello di Genzano.
Ritiratosi lo Sforza dal militare servizio facea seguire ai ludi di Marte le serene dolcezze dell’Imeneo, chè nel novembre di quello stesso anno 1867 disposavasi alla chiarissima Donna Vittoria dei Principi Colonna.
Conduceva riposata e tranquilla la vita dapprima in Firenze, appresso in Napoli, di poi nel suo loco natio, ove giungeagli notizia che le regie truppe muovevano alla liberazione di Roma, per il che pieno il cuore di patriottica esultanza si fece loro d’incontro, chè all’avvenimento più solenne della patria volea pur egli di persona concorrere. Era il settembre del 1870. — Il Comando della spedizione lo accolse con immenso compiacimento e tosto lo inviava Presidente d’una Giunta distrettuale per la Comarca. Le truppe italiane procedevano innanzi e il giorno 20 sormontando la breccia di Porta Pia redimevano Roma dal servaggio temporale dei Papi, la purgavano delle venali e codarde soldatesche, sentina di tutto le immondizie quivi convenuta da tutte le parti del mondo, e l’eterna città splendeva in tutta la pompa delle sue libere vesti, in tutta la luce che dimanava dal sole della civiltà e del progresso dei tempi.
Il Duca D. Francesco Sforza era chiamato a formar parte della Giunta di Governo di subito costituitasi, e in quello ufficio sempre meglio dimostrò come avesse l’animo pieno di nobile fierezza, perchè il decoro di Roma e l’onore d’Italia si sostenesse. E fu perciò il primo e più caldo oppositore alla formola del Plebiscito dal Governo proposta, nella quale avrebbesi voluto appoggiata al voto solenne del popolo la famosa conciliazione col Papa, il che faceva aperta l’altissima mente dei nostri grandi uomini di Stato — E lo Sforza benemeritò della patria, perocchè scongiurò per tal modo che un atto contrario alla coscienza della Nazione contaminasse il voto popolare.