Biografie dei consiglieri comunali di Roma/Augusto Lorenzini
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LORENZINI CAV. AUGUSTO
Consigliere Municipale
Non guerra di classi, non ostilità alle ricchezze acquistate, non violazioni improvvide e ingiuste di proprietà, ma tendenza continua al miglioramento materiale dei meno favoriti dalla fortuna —
Ecco quanto predicava agli italiani tanti anni or sono un illustre italiano, che la patria adorò con la piò santa religione del cuore. — E ben dovriansi quelle parole raccogliere e farle vivere nei fatti, chè questa Italia tanto bella è pure ancora tanto infelice, imperciocché se il flagellamento degli stranieri cessò, che la piagarono a morte, se oggi è libera ed una, par durare però, dentro il suo seno una tisi, che la. divori, e tragga a sofferenze sempre nuove e crudeli il popolo, cui è leggiera cosa, se il disperamento gli preme il cuore, mutarsi in una mostruosa belva sitibonda di sangue e di preda. — Ond’è che occorre grande sapienza di uomini, perchè le cose della Nazione e del Comune procedano prosperamente, e l’amministrazione corra libera, onesta, spedita, e regolata dalle leggi dell’economia pubblica e privata, e perchè da gravezze troppo enormi non siano oppresse le classi dei cittadini, specialmente le più umili. — E noi nello scrivere le biografiche memorie dei Consiglieri comunali, che dal giorno della redenzione di Roma ascesero al Campidoglio a trattare le cose del Comune, ci proponemmo consegnare non solo alla storia, ma alla osservazione pubblica coloro, che l’alto uffizio sostennero, onde ai cittadini sia data ragione di confermare chi benemeriti), e rimuovere chi demeritò mentre stette nel seggio de’ padri nostri. E poichè a noi è dolcissima cosa discorrere dapprima dei benemeriti uomini, così lascieremo fra gli ultimi, che saranno argomento delle nostre pubblicazioni coloro, sopra i quali invocheremo il giusto giudizio ed aperto. Impertanto di un ottimo cittadino, qual’è Augusto Lorenzini, oggi ragioneremo brevemente la vita. —
In Roma nell’anno 1826 nacque egli da Pietro Lorenzini e Angela Selvaggi. - Suo padre è un onesto proprietario, di carattere integro. — Sua madre gentilissima ed ornatissima donna. — Augusto crebbe educato negli studi, e in tutte quelle discipline che mente e cuore perfezionano. — E tostochè all’ardenza dei giovanili anni si accompagnava maturità di intelligenza, e al fonte beveva delle patrie storie, amore d’Italia lo prese sì forte, che a lei consacrava l’ingegno e la vita. — Di fatti appena cominciarono i moti del 1848, egli sebbene giovanissimo, era già nelle file politiche, e con la febbrile ansia dei valorosi prendeva le armi, e correva a combattere le battaglie contro lo straniero. — Non è a dirsi, con quanta angoscia nell’anima, con quanta amara disillusione egli vedesse il Papa Pio IX farsi traditore della patria, chè abbassando quella stessa bandiera, che tra gli evviva e le benedizioni di tutti gl’italiani aveva innalzata, ritrattava i più santi principi, e abbandonava la causa più giusta, più santa, più divina — la libertà e la indipendenza del proprio paese. — Il Lorenzini faceva pur parte del comitato politico costituitosi sotto gli auspici di quel grande uomo, che fu Giuseppe Mazzini, ed alloracliè, volgendo l’anno 1849, proclamossi la romana Repubblica, ei fatto ritorno a Roma, confidava che la stella della patria sorgesse più bella, in mezzo a più sereni splendori. — Ma ahi! fu un triste fato d’Italia, che quella stella rifulgesse di luce brevissima, e tramontasse dal cielo di Roma coperta di nubi sanguigne. — E di vero la gallica invidia mossa guerra alla Repubblica romana, questa avvegnachè sostenuta dal fiore dei valorosi, o dagl’ingegni più forti, dovè giacere oppressa, non vinta, dal maggior numero d’armi e d’armati. — E alla difesa di Roma, tra i giovani eroi noi vedemmo il Lorenzini, che la sua terra natalo, il suolo degli antichi guerrieri, la capitale d’Italia, la città eterna difendeva con amore appassionato di figlio, con il sacro furore d’anima italiana. — Ma il Papato ravvolgendosi sempre in novelle vergogne, affidavasi alle forze straniere, e tornato sul trono si dava ad infierire contro i patrioti con efferità immane, con la più feroce voluttà di carnefice, beandosi nella vista della ghigliottina, che troncava teste italiane, e nello squallore segreto del carcere, che racchiudeva tanti cittadini, cui facevasi delitto l’amore della patria. Ed il Lorenzini dalla polizia papale, che componeasi di rinnegati, di traditori, di uomini anima e corpo venduti alla nequizia del prete, era fatto segno a persecuzioni continue, a vessazioni diuturne. — A lui non solo era ingiunto il così detto precetto politico, col quale faceaglisi ingiunzione di ritrarsi in sua abitazione non appena veniva la sera, e non uscirne se non dopo che era sorto il giorno, ma era pur colpito dalla sedicente Censura e destituito quindi dell’impiego ch’egli occupava nell’amministrazione delle Poste. — Ma non perciò la gagliarda anima del Lorenzini si scosse, e la forte tempra venne manco, che anzi di novella forza, di lena maggiore si invigorì, onde non cessò egli dalla congiurazione contro la mala signoria del prete, contro il papato temporale, contro la straniera prepotenza. — Il perchè correndo l’anno 1853 era egli imprigionato siccome reo di cospirazione politica, ed era quindi dalla così detta S. Consulta condannato a venti anni di carcere duro. — Aveva già scontato tre anni di quella pena, allorachè eragli questa commutata con f esilio perpetuo, e al risvegliarsi poscia del popolo italiano alla suprema riscossa del 1859, potè così prender parte ed operare pur egli al conseguimento del fine lungamente sospirato — là libertà, unità e indipendenza di Italia. — Però fremeva nel petto per la liberazione di Roma, chè senza questa parsagli malaugurosa la compiuta rivendicazione delle altre terre italiane. — Quindi fu che insieme agli esuli romani, e a tutti i patrioti la magnanima insurrezione si meditò, che portasse Roma sul capo d’Italia, posciachè il governo italiano non s’accingeva all’opera reclamata dal diritto del popolo romano, dalla unità e indipendenza della patria. — E postosi a capo il condottiero dei valorosi, il mito delle battaglie, il Generale Garibaldi, al grido, o Roma, o Morte, la pih balda gioventù, i più ardenti patrioti correvano alla gloriosa conquista. E tra questi si distinse ancho il Lorenzini, che contro le bajonette francesi, e i satelliti del Papa sui campi di Mentana, strenuamente combattendo, cadeva ferito. — Ma era destino che l’astro della libertà non dovesse ancor sorgere ad irraggiare la capitale d’Italia. —
Non lungi da Rieti stà un castello denominato Contigliano, nel quale dimorava il Lorenzini innanzi di partire alla spedizione di Roma, e quivi lasciò la sua sposa dilettissima Angelica, sorella di quel Mattia Montecchi, che ha pur gloriosa la pagina sulla storia d’Italia — Quella donna, che al nome ben rispondeva con le opere veramente di angiolo, nel mentre sentiasi felice che il proprio sposo combattesse per la libertà della patria, che pur ella amava tanto, provava nondimeno un senso d’indefinita angoscia, di affanno incompreso. — Era forse un funesto presentimento del suo cuore. — Difatti appena in sull’uscio della casa le si offerse allo sguardo lo sposo, malreggentesi sulla persona, e pallido nel volto per la recente ferita, tanta era la piena dell’affetto, che per lui nutriva nel seno, tanto fu il dolore che la vinse, che cadde repente come corpo morto, e sollevatala non era più che una infelice colpita d’apoplessia, onde s’incamminava ormai verso l’eternità del sepolcro. — Più sanguinosa della ferita fisica, fu la ferita morale, che per tanta disavventura trafisse il cuore del Lorenzini, nè per volger di tempo e di circostanze potrà rimarginare più mai. — A lui trema sul ciglio la lagrima, e parte affannoso il sospiro dal petto, allorquando della donna che ha perduto ricorda il caso pietoso, e nel santuario dell’anima sua l’adora sempre come un angelica creatura, che troppo presto si dipartì dal suo fiancò lasciandolo nel più desolante cordoglio. —
Il 20 settembre 1870 giungeva come il giorno della lunga aspettazione, come un sorriso di Dio, come la gioia più cara di tutta Italia. — Roma era redenta, nè il veto del terzo Napoleone era a temersi, chè una severa giustizia del fato lo trascinava lontano dal soglio sotto i piedi dello scettrato di Prussia. —
Gli esuli romani quindi tornavano a Roma siccome al seno di una madre, ed il Lorenzini, che bellissima aveva la fama di patriotta, chiarissimo il nome per la intelligenza elettissima, ed essendo nelle cose d’amministrazione versato era dai propri concittadini scelto Consigliere comunale in Campidoglio. — Ma poiché vedeva non proceder bene la trattazione degli affari comuuali, stimò conveniente insieme ad altri dimettersi. —
Egli fè parte della deputazione de’ pubblici spettacoli, ed è Sotto-Capo dello Stato Maggiore della guardia nazionale, e a questo ufficio intende con ogni interessamento e sollecitudine. — Con ispecial cura poi si dedica all’amministrazione delle proprie fortune, e si tiene pronto, ovunque lo chiami il bene del proprio paese. —
Il Lorenzini fu onerato delle medaglie commemorative le patrie battaglie, e delle decorazioni dei s.ti Maurizio e Lazzaro, e della Corona d’Italia, e noi vorremmo certamente che soltanto così degni petti adornassero. —
Potremmo ancor ragionare delle virtù che distinguono il Lorenzini, ma noi le compendieremo nel dire, essere egli cittadino onestissimo, liberale sincero, amministratore eccellente, e d’ogni più bella dote della mente e del cuore adorno, e compiamo nostro ufficio storico, raccomandandolo alla perpetua memoria, e presentandolo come uno degli uomini, della cui opera potrà averne utilità grandissima, ed il Comune e la Nazione. —