Ben Hur/Libro Secondo/Capitolo VII
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Traduzione dall'inglese di Herbert Alexander St John Mildmay, Gastone Cavalieri (1900)
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CAPITOLO VII.
All’indomani una pattuglia di legionarii si avvicinò al palazzo desolato. Dopo aver chiuse le porte, stuccò i lati con cera, e sul tavolato inchiodò il seguente cartello in latino:
Proprietà dell’Imperatore
Il giorno susseguente, verso mezzodì, un decurione col suo seguito di dieci cavalieri, si avvicinò a Nazaret da oriente, cioè in direzione di Gerusalemme. La località era allora occupata da un piccolo villaggio appollaiato sopra una collina, e così insignificante che la sua unica via era appena battuta dagli zoccoli dei cavalli dei soldati, e dai piedi dei pochi abitanti. La grande pianura di Esdraelon si stendeva a sud, e dalle alture orientali si potevano scorgere le coste del Mediterraneo e le regioni oltre il Giordano e il Hermon. La vallata sottostante e la campagna tutto all’ingiro erano coltivate a giardini, vigne, orti e prati. Gruppi di palme davano un colorito orientale al paesaggio. Le case, irregolarmente disposte, erano povere d’apparenza, quadrate, a un sol piano, inghirlandate da viti verdissime. La siccità che aveva ridotto le colline della Giudea ad una tinta bruna, uniforme, s’era arrestata ai confini della Galilea.
Lo squillo di una tromba, suonata all’appressarsi dei cavalieri, ebbe un magico effetto sopra gli abitanti, che affollarono le porte e i cancelli, curiosi e desiderosi di afferrare il significato di una visita così nuova.
Dobbiamo ricordare che Nazareth, non solo si trovava lontano dalle vie maestre, ma apparteneva al dominio di Giuda di Gamala; quindi possiamo immaginare quali impressioni destò l’appressarsi dei legionari. Ma quando furono più vicini, e il loro scopo divenne manifesto, la paura e l’odio cedettero il posto alla curiosità, sotto l’impulso della quale, il popolo sapendo che i loro ospiti si sarebbero fermati alla fonte nella parte settentrionale della città, abbandonò la case e seguì i soldati.
L’oggetto della loro curiosità era un prigioniero che camminava in mezzo alla truppa, colla testa scoperta, mezzo nudo, le mani legate sulla schiena. Una coreggia assicurata ai suoi polsi lo avvinceva alla sella di uno dei cavalieri. La polvere che sollevavano i cavalli lo avviluppava tratto tratto come una nube gialla.
Si trascinava a stento, penosamente. Sembrava molto giovane. Alla fontana il decurione si fermò, e, insieme alla maggior parte dei soldati, scese da cavallo. Il prigioniero si lasciò cadere sulla polvere della strada, istupidito, senza chiedere nulla. Era affranto.
I popolani avvicinatisi e vedendo che egli era quasi un ragazzo avrebbero voluto soccorrerlo, ma non osavano.
Mentre stavano dubbiosi, e mentre le anfore correvano di mano in mano fra i soldati, fu visto venire un uomo per la strada di Sephoris. Al vederlo una donna esclamò:
— «Guardate! Ecco il falegname che viene; ora sapremo qualche cosa!» —
La persona a cui si alludeva era un vecchio di venerabile aspetto. Rari riccioli bianchi uscivano dal suo turbante e un’ampia barba ancor più bianca gli fluiva sopra il petto e sopra la ruvida tunica grigia. Procedeva lentamente, perchè, oltre al peso dei suoi anni portava parecchi utensili, un’ascia, una sega, un coltello di rozza fattura, ed evidentemente veniva da lontano. Si arrestò, osservando la folla.
— «O Rabbi, buon Rabbi Giuseppe!» — esclamò una donna, correndogli incontro. — «Quì c’è un prigioniero; domandane conto ai soldati, affinchè sappiamo ciò che ha commesso, e chi egli sia.» —
Il volto del Rabbi rimase impassibile; guardò il prigioniero e quindi si avvicinò all’ufficiale.
— «La pace del Signore sia con te!» — disse con inflessibile gravità.
— «E quella degli Dei con voi» — rispose il decurione.
— «Venite da Gerusalemme?» —
— «Sì» —
— «Il vostro prigioniero è giovane.» —
— «D’anni, sì» —
— «Posso domandare ciò che egli ha commesso?» —
— «E’ un assassino» —
Il popolo ripetè la parola con stupore, ma Rabbi Giuseppe proseguì le sue domande.
— «Egli è un Israelita?» —
— «E’ un Ebreo,» — ripetè il Romano seccamente.
La compassione degli spettatori riprese il sopravvento.
— «Io non so nulla delle vostre tribù, ma posso dirvi qualcosa della sua famiglia. Avete sentito parlare di un principe di Gerusalemme, di nome Hur? — Ben Hur lo chiamavano. Visse ai tempi di Erode.» —
— «Io l’ho veduto» — disse Giuseppe.
— «Questi è suo figlio.» —
Vi fu uno scoppio generale di esclamazioni, che il decurione si affrettò a frenare.
— «Nelle strade di Gerusalemme, avant’ieri, egli cercò di assassinare il nobile Grato, lanciandogli una tegola sul capo dal tetto di un palazzo, — dal palazzo di suo padre, credo.» —
— «Lo uccise?» — domandò il Rabbi.
— «No» —
— «La sua condanna?» —
— «Le galere a vita.» —
— «Il Signore lo aiuti» — esclamò Giuseppe, scosso dalla sua immobilità. Nel mentre, un giovane che aveva accompagnato Giuseppe, ma che si era tenuto modestamenta dietro di lui, depose la scure che teneva in mano, e avvicinandosi alla fonte, ne tolse una ciotola piena d’acqua. L’atto fu così tranquillo, che prima ancora che le guardie intervenissero, o avessero voluto intervenire, egli si era già chinato sopra il prigioniero, offrendogli un sorso d’acqua.
La mano leggermente posata sulla sua spalla destò il misero Giuda, che alzando gli occhi vide un volto che non dimenticò mai più, il volto di un ragazzo della sua età, incorniciato da riccioli castani con riflessi biondi; un volto illuminato da due occhi azzurri, così dolci, così traboccanti d’amore e di santità di propositi da posseder tutta la potenza di un comando e d’una volontà. L’anima dell’Ebreo indurita da giorni e notti di sofferenze, e così amareggiata da abbracciare tutto il mondo nei suoi pensieri d’odio e vendetta, si intenerì sotto lo sguardo dello straniero, e divenne timida come quella di un fanciullo. Appressò il suo labbro alla ciotola e bevve a larghi sorsi. Nessuna parola corse fra di loro.
Quando ebbe terminato, la mano che riposava sulla sua spalla si pose sopra il suo capo e rimase fra i riccioli polverosi il tempo necessario per impartirvi una benedizione; quindi lo straniero riaccostò la ciotola alla pietra della fontana, e riprendendo la sua scure, ritornò al fianco di Giuseppe. Tutti gli sguardi lo seguirono, quelli dei popolani come quelli del decurione.
La scena pietosa ebbe termine. Quando gli uomini e i cavalli ebbero bevuto, la marcia fu ripresa. Ma un mutamento era avvenuto nell’animo del decurione; egli stesso sollevò il prigioniero dalla polvere e lo aiutò a salire sopra il cavallo di uno dei soldati. I Nazareni ritornarono alle loro dimore, e insieme ad essi Rabbi Giuseppe e il suo discepolo.
Così avvenne il primo incontro di Giuda col figlio di Maria.
Fine del libro secondo.