Ben Hur/Libro Quarto/Capitolo VIII
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Traduzione dall'inglese di Herbert Alexander St John Mildmay, Gastone Cavalieri (1900)
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CAPITOLO VIII.
Allorchè Ben Hur scese dai gradini del podio, un arabo sorse in piedi e disse ad alta voce a guisa di proclama:
— «Uomini d’oriente e d’occidente, statemi ad udire! — Il buon sceicco Ilderim vi saluta. — Con quattro corsieri, figli dei favoriti di Salomone il Sapiente, egli è venuto qui per gareggiare coi migliori campioni. Egli ha bisogno di un auriga; grandi ricchezze aspettano chi saprà guidare degnamente i suoi cavalli. Qui ed altrove, nella città e nei circhi, ovunque sogliono adunarsi i forti, fate nota questa sua offerta. Così vuole Ilderim, il generoso sceicco, mio signore.» —
L’invito sollevò un mormorio confuso nel popolo affollato sotto la tenda. Prima di sera quell’invito sarebbe stato diffuso in tutti i ritrovi frequentati dai dilettanti di giuochi olimpici e dai professionisti. Ben Hur sostò un momento guardando indeciso ora l’araldo ora lo sceicco, e Malluch credette ch’egli fosse sul punto d’accettare l’offerta. Fu pertanto con un senso di sollievo ch’egli lo vide invece rivolgersi a lui colla domanda: — «Buon Malluch, ove andremo ora?» —
Rispose Malluch ridendo: — «Se volete seguire l’esempio di tutti quelli che vengono qui per la prima volta andrete subito a farvi predire la vostra fortuna.» —
— «La mia fortuna? Per quanto il suggerimento m’abbia un certo sapore d’infedeltà, andiamo pure dalla Dea.» —
— «Adagio, adagio figlio d’Arrio: questi sacerdoti di Apollo non fanno le cose così. Invece di mettervi a contatto con una Pizia o con una Sibilla, essi vi vendono un papiro e v’invitano ad immergerlo nell’acqua d’una certa fontana, dopo di che potrete leggere in versi il vostro avvenire.» —
L’espressione di fugace curiosità che aveva animato il volto di Ben Hur scomparve.
— «Vi sono creature» — osservò amaramente, — «che non hanno bisogno di preoccuparsi del loro avvenire.» —
— «Allora preferite visitare i templi?» —
— «I templi sono Greci, nevvero?»
— «Li chiamano Greci» —
— «Gli Elleni erano in arte maestri del bello, ma nell’architettura essi sacrificarono la varietà alla rigidità della linea. I loro templi si rassomigliano tutti. Come chiamate la fontana?» —
— «Castalia.» —
— «Ah! la sua fama è universale. Andiamo colà.» —
Malluch il quale osservava il suo compagno lungo il cammino, s’accorse ch’egli s’era fatto mesto e distratto. Non guardava le persone che gli passavano vicino e mostra vasi indifferente alle meraviglie che gli sorgevano d’intorno; camminava silenzioso, rannuvolato, a passo lento.
Il fatto si è che la vista di Messala lo perseguitava evocando dolorose memorie. Gli pareva che sole poche ore fossero trascorse dacchè egli era stato strappato dalle braccia della madre ed i suggelli eran stati apposti alla casa paterna. Ripensava ai sogni di vendetta maturati durante i lunghi anni passati nella galera, e che avevano per oggetto principale appunto quel Messala. Poteva esservi misericordia per Grato, ma per Messala, mai! E per raffermarsi nella sua risoluzione egli soleva ripetere a se stesso: — «Chi ci additò ai persecutori? e, quando implorai soccorso, e non per me, chi mi abbandonò sogghignando?» — Sempre il sogno terminava colla stessa terribile invocazione: — «Il giorno ch’io m’imbatterò in lui, Dio dei miei padri, aiutami a compiere adeguata vendetta!» —
E l’incontro era prossimo, imminente.
Forse s’egli avesse ritrovato Messala povero ed infelice, i suoi sentimenti sarebbero stati diversi; ma così non era. Lo ritrovava più prosperoso che mai, e più che mai insolente nella sua prosperità.
Così avvenne che mentre Malluch lo credeva distratto egli stava invece pensando in qual modo avrebbe avuto luogo l’agognato incontro ed a quali mezzi egli ricorrerebbe per renderlo memorabile.
Si diressero poco dopo verso un viale di quercie ove il pubblico andava e veniva in gruppi di pedoni di cavalieri, e di donne in lettighe portate da schiavi, e dove, di tempo in tempo, transitavano cocchi trascinati con velocità vertiginosa da focosi cavalli. All’estremità, del viale la strada, con lieve pendenza, scendeva fiancheggiata a destra da un’irta scarpa di roccia grigia, ed, a sinistra, da un vasto prato di singolare freschezza; qui si offriva alla vista dello spettatore la famosa Fontana di Castalia.
Spintosi a forza di gomiti attraverso la folla, Ben Hur si trovò dinanzi ad un getto d’acqua, che, dalla sommità di una roccia, si versava in un bacino di marmo nero dove scompariva spumeggiante come in un imbuto.
Presso al bacino, sotto un piccolo porticato scavato nel sasso, stava seduto un sacerdote vecchio, barbuto, grinzoso ed incappucciato, un vero tipo d’eremita. Dal contegno del pubblico sarebbe stato difficile l’indovinare quale fosse la principale attrattiva, per esso: se la fontana o il suo custode. Egli udiva, osservava ed era osservato, ma non parlava mai.
Di quando in quando qualche devoto gli porgeva una moneta. Con un rapido e scaltro luccicar degli occhi egli la pigliava e dava in cambio un foglio di papiro.
Subito il devoto immergeva il papiro nel bacino, poi, alzatolo e guardandolo contro i raggi del sole, vi leggeva un verso. Pare che la fama della Fontana non avesse a soffrire per la povertà dei versi. — Prima che Ben Hur potesse a sua volta consultar l’oracolo, altri visitatori s’avanzarono, il cui aspetto eccitò la sua curiosità non meno di quella dei suoi compagni.
Precedeva un cammello altissimo e completamente bianco, condotto da un uomo a cavallo che lo teneva per la briglia. L’houdah, o sedile, sul dorso del cammello era straordinariamente grande e rivestito di porpora e d’oro. Due altri cavalieri seguivano il cammello, armati di lancie.
— «Che cammello meraviglioso!» — esciamò uno degli astanti.
— «Qualche principe venuto da lontano,» — osservò un altro.
— «Forse un Re.» —
— «I Re sono portati da elefanti e non da cammelli.» —
— «Un cammello, e per di più un cammello bianco!» fece un terzo.
— «Per Apollo, vi dirò io di che si tratta. Coloro che voi vedete non sono nè Re nè principi; sono donne.» —
E qui la discussione fu troncata dall’arrivo della comitiva. Il cammello, visto da vicino, non ismentì l’impressione destata da lontano. Nessuno dei presenti aveva mai veduto un’animale più alto e più maestoso. Che occhi neri! Come era fine e morbido quel suo pelo bianco! Come armonizzava bene colle bardature dorate! Un tintinnio di campanelli d’argento lo accompagnava ed egli si moveva come inconscio del peso che portava. — Ma chi erano l’uomo e la donna sotto il baldacchino dell’houdah? Ogni sguardo era rivolto su di essi. Se l’uomo era un principe bisognava proprio convenire dell’imparzialità del tempo, che non fa distinzione fra potenti ed umili, poichè l’aspetto del vecchio che nulla rivelava circa la sua nazionalità, era quello di una mummia: i curiosi radunati alla fontana non trovarono nulla da invidiargli all’infuori del ricco sciallo che ne avvolgeva la persona.
La donna se ne stava seduta secondo il costume orientale fra finissimi veli e merletti. Al dissopra dei gomiti portava braccialetti in forma di serpentelli uniti con catenelle d’oro ad altri braccialetti ai polsi. Salvo questi ornamenti le braccia erano nude e di forma oltremodo seducente, cui facevano degno complemento due manine quasi infantili, una delle quali scintillava pei numerosi anelli che l’adornavano. Il velo o reticella che le copriva il capo era tempestato di bacche di corallo e legato con una filza di monete, in parte accerchiantile la fronte, in parte scendentile sulle spalle, confuse in una folta massa di capelli neri. Dal suo seggio elevato essa contemplava il pubblico con curiosità ed apparentemente senz’accorgersi della curiosità ch’essa stessa destava. Il più singolare poi si era che, contrariamente al costume delle signore, essa aveva il viso scoperto.
Ed era veramente bello quel viso, bello per la giovanile freschezza, per la forma ovale, per la carnagione trasparente, per gli occhi grandi, per le labbra coralline e pei bianchissimi denti. A queste attrattive aggiungasi la distinzione di una testolina classicamente modellata e d’un volto aristocratico, che le davano un’aria veramente regale.
Cosichè fosse rimasta soddisfatta dell’esame del luogo e delle persone, la vaga creatura diede un ordine al servo, un tarchiato etiope, nudo sino alla cintola, il quale avvicinò il cammello alla fontana e l’obbligò a piegare le ginocchia. Poscia, ricevuto dalle mani della sua signora una coppa, stava per riempirla, allorchè un forte rumor di ruote e uno scalpitar di cavalli al galoppo venne a rompere l’incanto prodotto dall’apparizione della bella straniera e, con un grido d’allarme, il pubblico si sbandò per lasciar libero il passo.
— «Quel Romano pare che voglia travolgerci, badate a voi!» — gridò Malluch a Ben Hur, spiccando un salto per porsi in salvo.
Quest’ultimo si volse, e vide Messala che, a gran carriera, dirigeva il suo cocchio sulla folla. Questa, sbandandosi, lasciò scoperto il cammello, il quale, o inconscio o incurante del pericolo, non si mosse. L’Etiope era paralizzato dal terrore. Il vecchio fece un vano tentativo per uscire dal suo houdah, ma nè egli nè la donna erano più in tempo a salvarsi. Ben Hur, balzò davanti a loro e tuonò rivolto a Messala:
— «Fermati! indietro, indietro.» —
Un sorriso illuminò il volto del patrizio.
Non vedendo altra via di scampo Ben Hur, si precipitò innanzi ed arrestò di botto il cocchio afferrando due dei cavalli pel morso: «Cane d’un Romano, tieni in così poco conto la vita?» gridò, mentre con sforzi erculei obbligava i cavalli a retrocedere. — La subita scossa fece traballare il carro. Messala fu appena in tempo ad evitare di cadere, ma il compiacente suo Mirtilo andò a ruzzolare lungo la via, fra le risa di scherno degli spettatori.
L’impareggiabile disinvoltura del Romano non venne meno in quest’occasione. Sciogliendosi dalle redini in cui era avviluppato, le gettò da banda; fece il giro del cammello, guardò Ben Hur, e parlò rivolgendosi al vecchio ed alla donna.
— «Chiedo venia ad entrambi: io son Messala, e per la nostra madre terra vi giuro che non vi aveva veduti. In quanto a questa buona gente, ho forse fatto troppo a fidanza sulla mia destrezza: voleva ridere a loro spese e sono essi invece che ridono di me; — buon pro’ lor faccia.» —
Il sorriso bonario, lo sguardo ed il gesto indifferente col quale s’era rivolto al pubblico s’accordavano bene con quelle parole. Tutti tacquero in attesa di quanto egli direbbe ancora. Fatto allontanare il cocchio di pochi passi dal buon Mirtilo, egli proseguì guardando arditamente la fanciulla:
— «Ti prego d’intercedere per me presso questo brav’uomo il cui perdono chiederò con maggior insistenza più tardi se ora non l’ottengo. — E’ tuo padre nevvero?» —
Essa non rispose.
— «Per Pallade, sei pur bella! Bada che Apollo non ti scambii pel suo perduto amore. Sarei curioso di sapere qual paese può vantarsi d’averti per figlia. Non torcere lo sguardo. Il sole d’India è riflesso nei tuoi occhi e l’Egitto ha impresso sulle tue gote i segni d’amore. Per Polluce, non preoccuparti di colui, bella incognita, prima d’aver perdonato a questo schiavo che prega ai tuoi piedi.» —
La giovane donna lo aveva interrotto per chiamare d’un cenno Ben Hur, il quale le si appressò:
— «Ti prego, prendi la coppa e riempila» — gli disse — «mio padre ha sete.» —
— «Ti servirò con piacere» — rispose il giovine, e rivolgendosi per rendere il chiesto servizio si trovò faccia a faccia con Messala. I loro sguardi s’incrociarono: quello dell’Ebreo era provocante, mentre gli occhi del Roniano altro non esprimevano che una beffarda bonarietà.
— «Bella straniera, altrettanto crudele quanto bella» — continuò Messala con un saluto della mano — «se Apollo non ti rapisce nel frattempo, mi rivedrai. Non conoscendo il tuo paese non so a qual Dio raccomandarti, cosicchè, per tutti gli Dei! non mi resta che a raccomandarti a me stesso.» —
Visto che Mirtilo aveva acquetati i cavalli e che li teneva pronti per la partenza, risalì sul cocchio. La donna lo seguì collo sguardo, nel quale invero non si leggeva alcuna espressione di risentimento, poscia ricevette la coppa e la passò al padre che gliela restituì dopo aver bevuto un sorso; allora anch’essa vi appressò le labbra, e poi tendendola con un gesto pieno di grazia a Ben Hur, disse con ineffabile dolcezza:
— «Tienla, te ne preghiamo! essa è piena di benedizioni per te.» —
Il cammello fu fatto alzare e stava per muovere di là quando il vecchio chiamò Ben Hur.
Questi gli si avvicinò rispettosamente.
— «Tu hai oggi reso un gran servigio a uno straniero» — disse.
— «Non v’è che un Dio solo e nel suo santo nome io ti ringrazio. Mi chiamo Balthazar, l’Egiziano. Nel grande Orto delle Palme, oltre il villaggio di Dafne, lo sceicco Ilderim il Generoso ha piantate le proprie tende e noi siamo suoi ospiti. Vieni colà a chiedere di noi. Vi troverai il benvenuto della riconoscenza.» —
Ben Hur rimase meravigliato della voce chiara e della dignità di quel vecchio venerando.
Mentre stava osservando la partenza della comitiva vide di nuovo Messala.
Il Romano allontanavasi come era venuto, ridendo con indifferenza beffarda.