Belisario/Atto IV
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ATTO QUARTO
SCENA PRIMA.
Notte.
Filippo travestito, con seguito.
Belisario cadrà, cadran con esso
Tutti gli amici suoi. Cesare istesso
Esente forse non andrà dal colpo.
Leonzio, Ottone, il fìer Gismondo e Ircane,
Nemici già di Belisario antichi,
Saran meco all’impresa. E saran meco
I miei d’Antiochia fidi amici, e i tanti
Poco contenti del regnante Augusto.
La sparsa voce di mia fuga, queste
Potranno agevolare il mio disegno.
Ma sento gente. Ritiriamci, amici,
Quivi, dove in quest’ora esser non suole
Frequentato il cammino. Ad un mio cenno
Pronti accorrete. D’ogni forte impresa
Con voi dividerò merito e premio.
(si ritira co’ suoi soldati
SCENA II.
Antonia, Narsete e Filippo nascosto.
II mio fiero destin deh! non celarmi.
Belisario dov’è? Fra queste stanze
Si trova ei forse, oppur senza vederlo
Lasciar la vita in queste stanze io deggio?
Narsete. Cessa di lacrimar; sol per salvarti
Qua ti condussi. Andiam, che giunti al porto,
Tutto ti narrerò ciò che mi chiedi.
Antonia. O qui voglio saperlo, o in vano al porto
Di condurmi tu speri.
Narsete. Io t’assicuro
Da ogni periglio. Andiam.
Antonia. Prima la vita
Vo’ lasciar che seguirti. E se fin ora
T’ho seguito dubbiosa, il feci a tante
Promesse tue di non celarmi il vero.
Narsete. E il ver ti narrerò.
Antonia. Qui vo’ saperlo.
Narsete. Oh cieli! ogni dimora esser potrebbe
La tua, la mia rovina. Odimi, Antonia,
Sai che t’odia Teodora. Essa destina
La morte tua.
Narsete. No, che in parte ti guido, ove sicura
Vivrai, e l’empia crederatti estinta.
Antonia. E Belisario?
Narsete. Lo saprà, ma in tempo
Che alla salvezza tua dubbio non resti.
Andiam.
Antonia. Deh! prima...
Filippo. Arresta il passo. E voi
(ai suoi soldati
Circondate la donna. (impugna la spada
Antonia. (Ah me infelice!) (da sè
Narsete. Che pretendi? Chi sei?
Filippo. Vo’ che tu lasci
La donna in mio poter, o che ti sveno.
Antonia. Aita, oh giusti dei!
Narsete. 6Con il mio brando (impugna la spada
Questa donna difendo e la mia vita.
Filippo. Dunque cadrai!
Narsete. Non mi spaventi, audace. (si attaccano
Filippo. Voi della preda, amici, assicurate
L’acquisto intanto.
(Ai soldati combattendo, i quali conducono via Antonia
Antonia. Ahimè! chi mi soccorre?
Narsete. Sorte crudel! (cade
Filippo. Cadesti alfin. D’Antonia
Sieguo la traccia fortunato amante. (parte
Narsete. Antonia. Oh dei! me la involò l’indegno.
Esser altri non può che il traditore
Filippo, ed esso mi sembrò alla voce.
Difendetela voi, numi del cielo;
Ch’io dietro volo al rapitor spietato,
Risoluto di farne aspra vendetta. (parte
SCENA III.
GIUSTINIANO con seguito di guardie che illuminano la sala.
S’insulta ancor? Tosto, miei fidi, andate;
Si scoprano i ribelli, e spargan tutti
L’infame sangue. Premierò chi meglio
Eseguire saprà le mie vendette.
(partono le guardie a riserva di quattro
Ah! quai minaccie, quai sinistri eventi
Si preparan dal fato a questo impero?
Il sostegno miglior, la più sicura
Difesa mia con Belisario ho persa.
Infedel, traditor! Chi mai supposto
L’avria di ciò capace? Altrui creduto
No, non l’avrei. Ma vidi io stesso, io vidi
Di Teodora il ritratto innanzi agli occhi
Del disleal. Sì, sì, giusto è il decreto:
Resti privo degli occhi. Ohimè! che scrissi?
Sarà privo di luce il sol di Grecia?
Senz’occhi lui che mirò sempre al punto
Della grandezza mia? Cieco colui
Che ovunque scorse, seminò splendori?
Sì, sì, quegli occhi fur che troppo arditi
Volsero indegni sguardi al regio volto
Di Teodora mia sposa. Or la pietade
Ingiuriosa fora al mio decoro.
Peran dunque quegli occhi. Oh Dio! qual prova
Fiera angustia il mio cor? Da mille bocche
Odo rimproverarmi, e me crudele
Odo chiamar e il mio dolore ingiusto!
Belisario peccò. Ma finalmente
Ei peccò per amor. Basti per pena
Dell’incauto suo cor la sua vergogna.
Dunque il fallo detesti e fia mercede
De’ benefici suoi la mia clemenza.
Olà, sia Belisario a me condotto.
Questa dell’amor mio prova vo’ dargli.
Veda così, s’io l’amo; e da me apprenda
L’alta virtù di dominar se stesso.
Eccolo; oh con qual fasto a me sen viene!
Che intrepidezza! Chi lo mira in volto,
Innocente lo crede. Eh! tant’orgoglio
Ora non converrebbe al contumace. (siede.
SCENA IV.
Belisario senza spada e senza elmo, e Giustiniano.
Obbediente a’ tuoi cenni. Ecco la prima
Volta, signor, che a te mi vedi innanti
Senza la spada mia, senza l’usate
Gloriose spoglie e militari insegne.
In me vedi però quel core stesso,
Quella stessa fortezza e quel rispetto,
Che mai disgiunti dal mio petto andaro.
E vedi in me quella innocenza istessa,
E quella fede e quell’umile affetto,
Che a te mi rese sì gradito un giorno.
Giustiniano. Ritiratevi, guardie. Or che siam soli,
Belisario, m’ascolta; e finchè io parlo,
Serbami nel silenzio il tuo rispetto.
Belisario. Non parlerò, se non l’imponi.
Giustiniano. In questo
Foglio la destra mia segnò tua morte;
Ma la pietà che sai per prova quanto
A tuo favor nel petto mio ragioni,
Le colpe tue: e se innocente sei,
Difenditi; se reo, chiedi perdono.
Amor cieco ti rese, a tanto eccesso
Crebbe la tua passion, che al fin giugnesti
A palesar l’ardita fiamma impura,
E ti scopristi di Teodora amante.
Saggia che è, ti riprese, e tu in un foglio1
Chiamandola crudel pietà implorasti...
Belisario. Quel foglio...
Giustiniano. Taci. A me rinfacci in esso
I benefici tuoi; che sien pretendi
Mercè del tuo servir gli scorni miei.
Io di ciò ti convinco; e tu mendace
Copri l’inganno tuo co’ nuov’inganni.
Chiami Antonia infedel, quand’ella t’ama;
Rival credi Filippo; ella nol cura.
Fingi per iscusarti e fingi in vano.
Piagne Teodora, e fra dolente e irata
Della offesa maestà chiede vendetta;
Ed era giusto ben ch’io vendicassi
D’un’offesa consorte i torti e l’onte.
Pur prevalse l’amor che a te legato
Aveami, e per sottrarti al giusto colpo
Ti destinai dell’Affrica all’impresa,
Sperando pur che alla tua colpa avesse
A succeder vergogna e pentimento.
Nel sonno immerso io ti trovai e vidi
Innanzi agli occhi tuoi questo ritratto.
Esso è pur di Teodora; era pur esso
Nelle tue man, e solitario in lui
Fissavi, traditor, gli sguardi impuri.
Qual più sicura prova e qual più chiaro
Così ad onta di mia dolce clemenza
Ostinato divieni; e allora quando
Io sospendo la pena a’ falli tuoi,
E di moltiplicar questi tu ardisci?
Tutto ciò ti condanna. Or ti difendi.
Belisario. Farò, signor, poichè parlar concedi,
Tutta la mia discolpa in poche note.
Innocente son io, nè mai ti offesi.
Teodora è menzognera; il pianto è finto.
Scrissi il foglio ad Antonia; a lei di mano
Teodora il tolse e ne fe’ l’uso indegno.
Mai non ebbi il ritratto e mai nol vidi.
Questa è tutta, signor, la mia difesa.
Giustiniano. Sei mentitor. Come negar ciò ch’io
Vidi cogli occhi miei? Dissi ch’io stesso
Il ritratto trovai nelle tue mani.
Dimmi, come l’avesti?
Belisario. Io nol saprei.
So che nol vidi mai, nè mai l’ebb’io.
Giustiniano. Noi vedesti e l’avevi innanzi agli occhi?
Belisario. Erano gli occhi miei chiusi nel sonno.
Giustiniano. Chiusi sempre non furo allor che ardito
Lo traesti a mirarlo e il vagheggiasti.
Belisario. Ti replico e ti giuro, io mai nol vidi.
Giustiniano. Temerario, non più. Troppo t’abusi
Della clemenza mia. Quel reo che solo
Si difende negando, è reo due volte.
Già sei convinto; e il tuo negar non giova
Di prove tali e sì violenti a fronte.
Ancor t’apre una via sola allo scampo
L’amor di Giustiniano. Al fallo tuo
Chiedi perdono; ad un sì lieve prezzo
Comprar ti puoi e libertade e vita.
Belisario. Ch’io ti chieda perdon? di che? d’un fallo
Offenderei dell’innocenza mia
Tutto il candor. S’io non peccai, non deggio
Col chiederti perdon rendermi reo.
Se vuoi che a te mi prostri, eccomi umile
Del mio Cesare a piè. Chieggo pietade
All’innocente cor che non ti offese. (s’alza
Giustiniano. Superbo, tu sei reo. Certa è la colpa,
Se ricusi il perdon; certa è la pena.
Se peccasti con gli occhi, avrai negli occhi
Il tuo supplizio. La fatal sentenza
Farò eseguir. Olà, (chiamando) detesto, aborro
La pietà che mi rende ingiusto e vile.
(entrano le guardie
Belisario. Io con gli occhi peccai? e avrò negli occhi
La pena mia? in che peccaro, o Cesare,
Questi che sempre fur occhi fedeli?
Sai pur ch’io non mirai che la tua gloria,
E che per dilatar la tua grandezza,
I miei stessi perigli io non vedea.
Questi occhi miei che tante volte e tante
Videro seminati i campi ostili
D’armati estinti e di nemiche insegne;
Questi che i re superbi hanno veduti
Prostrati a piè chieder la vita in dono;
Questi al fin che in Bisanzio e carri ed archi
E popolo divoto e statue e marmi
Videro a segnalar il mio trionfo,
Condannati saranno a ingiusta pena?
Giustinian, sei tradito. Il traditore
Belisario non è: soffri che il dica:
Teodora è colei...
SCENA V.
Teodora e detti.
È colei che ti accusa, e Giustiniano
È quel che ti condanna. Il traditore
Sei tu; son io l’offesa.
Belisario. E tanto ardisci
Di Belisario in faccia?
Teodora. E Belisario
Così poco rispetta una regnante?
Giustiniano. Ecco, diletta sposa, in questo foglio
La sentenza fatal contro l’indegno.
Teodora. Io di farla eseguir la cura prendo.
Vanne; e pria che risorga il nuovo sole,
Il decreto imperial fa che s’adempia.
(dà la sentenza ad una guardia
Belisario. Crudel, sarai contenta. Io volentieri
Fuggo dagli occhi tuoi che della morte
Son più orribili assai. Esser piuttosto
Fra le furie vorrei de’ neri abissi,
Che in faccia a te, donna crudel, spietata.
Tu sai la mia innocenza, e sai, tiranna,
Di chi è la colpa, ed hai tal core in petto
Di mirar la mia pena e di soffrirla?
Tu tentasti mia fè. Tu fosti quella
Che d’amor mi parlò. Sono vendetta
Delle ripulse mie le tue menzogne;
E per serbar mia fè reo son creduto.
Sai tutto questo, e puoi...
Teodora. Cesare, oh Dio!
Potrai soffrir che la fedel tua sposa
Con sacrileghi detti un empio insulti?
Giustiniano. (Tanto audace è costui, che se Teodora
Non l’accusasse, ei sembreria innocente). (da sè
Ultime voci mie, serbale in mente.
Teodora è un’infedel. Ella ha saputo
Render reo l’innocente, ingiusto il giusto,
Io son quel, tu sei questo. Altro non dico.
Cesare, addio. Al mio supplicio io vado;
Che dolce mi sarà perdere gli occhi
Per non mirar mai più mostro sì fiero.
(parte fra le guardie
SCENA VI.
Giustiniano e Teodora.
Ragionar d’un ribaldo avrebbe mai
Forza di screditar la fede mia?
Io traditrice? Ah! se nel tuo bel core
Di me qualche sospetto or ti rimane,
Aprimi questo seno, e in lui vedrai
Quant’amor, quanta fede a te riserbo.
Giustiniano. Perdonami, Teodora, questo tuo
Importuno timor te stessa offende.
M’è nota la tua fede; e sol tu sei
L’unica del cor mio pace beante.
Teodora. Sa il ciel quanto mi duol di Belisario...
Giustiniano. Ohimè! che al replicar di questo nome
Tutta l’alma si scosse entro al mio seno;
Che sarà mai?
Teodora. L’orror del suo delitto,
L’onor tuo vilipeso, il tradimento
D’un ingrato vassallo, è la cagione
Della interna mozion. (Ah non vorrei
Che fosse di pietà tenero effetto!) (da sè
Sdegno non è; sembra dolore, oh Dio!
Belisario è innocente, il cor mi dice.
Teodora. (Non mi tradir, fortuna, Arte, soccorso). (da sè
Se innocente è colui, la rea son io;
Assolvilo tu dunque, e me condanna.
L’un o l’altra t’inganna, e se cotanta
Colpa in me creder puoi, passam’il petto,
E lavi il sangue mio le macchie altrui.
Ah! che pria di mirar turbato in viso
Il mio signor, io di morir mi eleggo.
Tolgasi Belisario al suo supplicio,
Ed in cambio di lui pera Teodora.
Sei contento così?... (piangendo
Giustiniano. Taci, quel pianto
Quasi vile mi rende. Ah! se a me dato
Fosse d’assolver lui senza far onta
Al decoro d’Augusta, il fier decreto
Rivocando... Che prò? Giustizia il chiede.
Si punisca la colpa, e s’egli è reo...
Ma s’egli reo non fosse?
Teodora. Ancor non basta
Il testimon degli occhi tuoi? Non basta
Il pianto di Teodora a farlo reo?
Giustiniano. Basta alla legge, ma al cor mio non basta.
SCENA VII.
Narsete e detti.
Bisanzio è pien d’armati. E col favore
Della notte si fan stragi inaudite.
È in periglio la reggia e le milizie
Chiedon in loro aiuto Belisario.
Teodora. Come!
Giustiniano. La mia
Sicurezza lo chiede.
Teodora. E il tuo decreto?
Giustiniano. Il può disfar ch’il fece.
Teodora. E il suo delitto?
Giustiniano. Compenserà col suo valore.
Teodora. Ed io
Rimarrò invendicata?
Giustiniano. A me la cura
Lasciarne devi che ne son l’offeso.
Teodora. Cesare, un vil timor ti rende ingiusto.
Giustiniano. E l’ira tua troppo ti fece ardita.
Teodora. Che non m’ami dirò, se noi punisci.
Giustiniano. Mia nemica tu sei, se più ne parli.
Teodora. Dunque...
Giustiniano. Dunque t’accheta. È Belisario
Utile troppo e necessario a noi. (parte
SCENA VIII.
Teodora e Narsete.
Vedrò fastoso andar lo sprezzatore
Dell’amor mio? Ma no; sempre difeso
Non sarà dalla sorte; e un colpo al fine
A morte lo trarrà.
Narsete. Perchè cotanto
Irata sei? d’onde sì fiero sdegno?
Teodora. Dimmi: Antonia morì?
Narsete. Quella infelice
Fu sepolta nell’acque, e del tuo cenno
Io fui pur troppo esecutor crudele.
(Se l’evento le narro, il suo furore
Teodora. Premio ne avrai, ma ancora
Soddisfatta non sono. Un altro colpo
Chiedo dal tuo valor; poi la promessa
Mercè potrai sperar.
Narsete. (Che sarà mai?
Scoprasi il nuovo arcano, e si deluda). (da sè
Imponi pur, che quell’orror che il core
Provò nel primo colpo, or più non sente.
Teodora. Vo’ che per le tue man cada svenato
Belisario. Che dici? Hai core in petto
Per sì fiero cimento?
Narsete. Io non lo temo;
So ai maggiori perigli andar fastoso.
Teodora. Quanto, amico, ti deggio! In te confido
Tutta la pace mia.
Narsete. Vivi sicura.
Teodora. Allora sol s’accheterà il mio sdegno,
Che avrò veduto il mio nemico esangue. (parte
SCENA IX.
Narsete solo.
Che mora Belisario? Io la mia fede
Prima ad esso giurai. Di questa fiera
Sua nemica saprà l’empio disegno;
E dalla morte salverollo io stesso.
Così all’amico mio render potessi
La smarrita sua donna che fra l’ombre
Mi fu involata, ed io cercai, ma in vano.
L’assista il cielo. Oh stravagante notte!
Notte foriera d’un più tristo giorno.
Fine dell’Atto Quarto.'
’
- ↑ Così il testo.