Baby (Rovetta)/VI
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VI.
Qualche tempo dopo il ritorno del Santasillia avevano preparato a Verona, nelle sale del palazzo della Gran Guardia Vecchia, una splendida fiera di beneficenza, presieduta e diretta da un comitato di signore. Andrea aveva mandato in dono oggetti artistici e di grandissimo valore; poi, appena le sale furono aperte alla pubblica vendita, egli, senza sapere proprio di che si trattava e pensando solamente che ci sarebbe stata l’occasione di far del bene, ci volle andar subito, avendo cura di prendere con sè una forte somma di danaro. Quando si trovò sotto la loggia e nel salire la grande scala del vecchio palazzo, adornata di fiori e di bandiere, capì che stava per essere preso come un uccelletto al paretaio: guardò se poteva ancora svignarsela e tornare indietro; ma oramai non era più in tempo. Una fanciullina gli era corsa incontro offrendogli una rosa, e un signore, dai modi assai cortesi, e tutto vestito di nero, gli fe’ prendere una dozzina di biglietti d’ingresso e lo accompagnò fino alle sale.
Andrea non sapeva che fare. Non aveva dato nulla per la rosa; avea pagato cento lire per i biglietti e sorrideva ringraziando, ma rimproverandosi in cor suo, per il cattivo pensiero che gli era venuto di andare alla fiera. E appena fu dentro, nella prima sala, rimase come sbalordito in mezzo ad un brusìo di gente, che andava e veniva chiacchierando, cinguettando, ridendo, ma pure osservandolo e ammiccandoselo l’un l’altro. Andrea non si sentiva il coraggio d’inoltrarsi; e si guardava attorno in quella baraonda come intontito; quando, ad accrescere la sua confusione, molte signore uscirono dalle bottegucce che, sotto forma di artistiche pagode o di ricchi padiglioncini erano disposte all’ingiro della vastissima sala, e lo circondarono premurosamente, complimentandolo, offrendogli i loro ninnoli, e disputandoselo, per attirarlo ognuna al proprio banco. Erano giubilanti, perchè da quella visita si ripromettevano la soddisfazione di un lauto incasso, ma più ancora perchè tenevano finalmente in loro balìa quel personaggio misterioso. E alle signore si univano i giovanotti, i segretari della fiera, e anch’essi facevano il chiasso e offrivano roba al Santasillia, il quale, col cappello in mano, non faceva altro che salutare e ringraziare a destra e a sinistra e si sentiva sempre più impacciato.
La Castelguelfo era in un salottino a parte, addetta colle sue amiche alla vendita dei fiori, ma appena fu avvertita dalla marchesa d’Arcole dell’arrivo del cugino gli mosse subito incontro, salutandolo con amabile famigliarità, come se già da un pezzo fossero stati amici e offrendosi per accompagnarlo a fare il giro dei banchi. Andrea ringraziò, meglio che a parole, coll’effusione del cuore, e la vezzosa cuginetta gli sembrò inviata dalla Provvidenza.
La Baby lo guardò sorridendo, passò la sua manina bianca sotto il braccio di lui, e lo portò via da quella gente che lo importunava. Lo condusse prima a comperare una statuina di bronzo ch’era stata donata dal re, e fu lei che ne fissò il prezzo; poi a comperare un ricco tappeto, poi un quadro, un orologio, un album e via via, senza più lasciarlo, finchè non ebbe fatto la visita di tutte le sale, seguiti da Marco Baldi che notava, sopra un taccuino, le compere fatte e il prezzo convenuto.
La Contessina si teneva sempre appoggiata al braccio di Andrea, stringendosi a lui più forte quando erano urtati dalla folla; a volte trascinandolo un poco per cercar di passare in mezzo alla gente, e a volte fermandolo all’improvviso, per fargli ammirare una mostra. E Andrea sentiva le scosse e i sussulti, e sorrideva ai vivaci atteggiamenti della vaga donnina, che aveva una parola per tutti, per tutti uno scherzo, sempre a proposito e sempre ammodo. Ma per altro, con que’ suoi occhi grandi e miti da bambina buona, con quella grazietta affettuosa, e mentre pareva tutta compresa da una festività composta e temperata, la Baby si godeva pure le sue piccole cattiverie. La marchesa, la generalessa e madama Kraupen capitavano ogni momento, con una scusa o coll’altra, a cercarla, a chiamarla, a parlarle, aspettando sempre che la Baby presentasse loro il Santasillia; ma la Contessina, invece, le lasciava dire, rispondeva tranquillamente ciò che avea da rispondere, sorrideva e continuava il suo giro, fingendo di non accorgersi di quegli artigli: poi, quando se ne andavano indispettite, lanciava un’occhiatina a Marco Baldi, che avea capito il giuoco e ne rideva.
E un altro divertimento volle prenderselo alle spalle di Titta Damonte e di Scipio Spinola. Titta Damonte cominciava a essere geloso di quel gran girare al braccio di Santasillia, e quando la Contessina condusse il cugino presso il banco dove il giovanotto era segretario, questi non la salutò nemmeno, fingendo di non vederla, occupatissimo a discorrere con un’altra signora. E la Baby a ridere, a scherzare con Andrea e con Marco Baldi e ad ordinare, proprio al Damonte, di farle vedere un gran piatto di porcellana, esposto in modo che, per toglierlo dalla mostra, bisognava buttare tutto all’aria. Il Damonte schiattava di rabbia, ma dovette cedere, e quando infine riuscì a levare il piatto e lo presentò, sempre con un palmo di muso, ad Andrea, la Baby non volle più che il Conte lo comperasse, perchè il disegno le sembrava troppo volgare.
— Stasera pillole di catrame! — mormorò Marco Baldi all’orecchio della Contessina.
Invece Scipio Spinola voleva fare lo spiritoso; ma diventava rosso rosso, sembrava nervoso e non diceva altro che sciocchezze. Insomma tutti e due erano turbati assai per la presenza del Santasillia, e non vedevano l’ora e il minuto che se ne andasse pe’ fatti suoi.
Il Damonte a mano a mano si rendeva sempre più intrattabile, brontolava su tutto, e faceva musacce persino alle signore; Scipio Spinola continuava a bere cognac e ripeteva le sentenze che aveva letto nei romanzi, contro le donne. Ma non ostante ciò, appena intesero che Andrea avea abbandonato la fiera, non seppero resistere, e corsero insieme dalla Baby per farle vedere che tenevano il broncio, e cercare un po’ di mettere in ridicolo il Monsignore.
— Ed ora, conte Andrea, tornerà a nascondersi?... a rintanarsi?... Non la rivedremo proprio più? — aveva detto la Castelguelfo al Santasillia, mentre questi prendeva commiato.
— Oh no, Contessa... anzi verrò presto... a ringraziarla.
— Ricorderà che siamo cugini?
— Non l’ho mai dimenticato, Contessa.
— Uhm... sarà... Ma finora si direbbe che ci ha pensato soltanto per renderci orgogliosi di lei... il che non è molto, altro che per il nostro amor proprio!
— Contessa... — e Andrea non trovò più le parole. A questo punto egli cominciava a sentirsi timido anche colla Baby.
— Ma sa che cosa faremo? — continuò la Contessina, sempre graziosamente; — s’ella non verrà presto a trovarci, manderò Marco Baldi a ricordarle la sua promessa.
Andrea ringraziò, assicurando che non ce ne sarebbe stato bisogno; ma appena uscito dal palazzo della Gran Guardia Vecchia si volle persuadere di essersi molto annoiato, e giurò a sè stesso che non avrebbe più messo il piede in una fiera di beneficenza.
«Seccar la gente in quel modo? Essere in quel modo importuni e sfacciati, colla scusa dei poveri e della carità!... Fortuna che si era incontrato colla Castelguelfo, altrimenti si sarebbe trovato davvero in un grande impiccio».
E anche fuori, all’aperto, sentiva sempre l’odore dei capelli della piccola cugina... — Che odore, che profumo strano!... — A lui la Castelguelfo aveva fatto l’effetto di una bimba!... Rideva, scherzava, proprio come una bimba!... Pure, in quel suo visetto capriccioso c’era della ingenuità e della bontà!... Buona, sì... Buona assai doveva essere!... Era bionda... bionda come l’Adele... E, guarda combinazione! aveva pure un abito bianco e un nastro azzurro fra i capelli!...
Aveva attraversata la Piazza Brà e affrettò il passo. Era già trascorsa l’ora solita della sua visita all’Adele. — Vuol dire, pensò, che anderò a pranzo più tardi... In ogni modo non fo aspettare nessuno!... — E sospirava, sospirava... Si sentiva così solo al mondo!
Intanto aveva attraversato anche il Ponte delle Navi e scendeva giù nel lung’Adige per avviarsi al cimitero.
Com’era bello l’Adige, e maestoso!... E dire che non lo aveva mai osservato!
Allora, prima di entrare nel Camposanto, volle fare qualche passo lungo il fiume, e senza quasi avvedersene, andò innanzi fino all’altro ponte lontano, quello grande della ferrovia.
Cominciava il tramonto ed era di aprile. L’Adige rigonfio, bigio, passava mugghiando: le rive apparivano scialbe, fra una luce pallida, malinconica come quell’ora trista del giorno; ma in alto verdeggiavano superbe le colline, e il forte di San Pietro splendeva rosseggiante sotto l’azzurro del cielo, irradiato fantasticamente dall’ultimo sprazzo di sole.
Andrea rimase sul ponte a guardare, fermo, immobile per qualche minuto. Poi chinò il capo e discese.
— Ma perchè la chiamano Baby? — pensava: — Eleonora è così un bel nome!
Quando ripassò dal Ponte delle Navi per tornarsene a casa, s’incontrò in una carrozza a due cavalli che saliva al trotto. C’era dentro una signora, dell’altra gente, e tutti avevano in mano mazzi e canestri di fiori. Certo ritornavano dalla fiera. Ma la signora riconobbe il Santasillia e lo salutò chinandosi e voltandosi in atto molto amichevole. Era la Baby con Marco Baldi, Damonte e Scipio Spinola.
Andrea, colto all’improvviso, rispose in fretta al saluto, e subito arrossì, provando un senso di dispetto.
— Come mai quel balordo di mio cugino la lascia sempre sola? — E scosse il capo con aria di malumore.
— Certo, certo... io non ci metterò i piedi in casa Castelguelfo! Con tanta gente che ha sempre d’attorno?... Cheh! Nemmeno per idea!
Ma in quel punto la carrozza colla Baby gli passò dinanzi agli occhi come l’avea raffigurata fra la luce pallida, crepuscolare, e sentì ancora ripercuotere il trotto serrato dei cavalli.