Avventure di Robinson Crusoe/70
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Traduzione dall'inglese di Gaetano Barbieri (1842)
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I coloni spagnuoli, i tre mascalzoni cattivi, i due mascalzoni buoni.
Quivi si fabbricarono due capanne, una ove alloggiare eglino stessi, l’altra per servire loro di magazzino, entro cui riporre le loro provvigioni; e poichè gli Spagnuoli li fornirono di alcune semenze di grano e specialmente di que’ legumi che ad essi lasciai, principiarono a coltivare la terra, seminare, far ripari di siepi, giusta il modello da me trasmesso ai miei successori; onde cominciavano a passarsela discretamente.
Il primo loro ricolto venne bene, e ancorchè avessero messo a coltura un piccolo pezzo di terreno, perchè non avevano avuto il tempo di prepararne di più, nondimeno fu bastante a provvederli di pane e d’altri commestibili; oltrechè un di questi essendo stato capo cuoco del vascello, era abilissimo nel far zuppe, torte e tali mangiari, quali il riso, il latte e le poche carni che si poteva procacciare glielo permettevano.
Si trovavano in così prospera condizione, quando un giorno gli altri tre cialtroni, privi d’ogni umano sentimento fin verso questi che aveano la patria comune con essi, capitarono a svillaneggiarli, così per bel diletto e a braveggiarli con dire:
— «Siamo noi i padroni dell’isola. Il governatore (intendeano parlare di me) ne ha conferito a noi il possesso, nè v’è altri che abbia diritti sovr’essa. Voi dunque non potete fabbricare sul nostro terreno, se non ne pagate l’affitto.
— Venite avanti e accomodatevi, dissero gli altri credendo tutto una burla. Vedrete le belle abitazioni che ci abbiamo fabbricate, e fermerete l’affitto voi stessi; e (aggiunse un di questi) poichè siete voi i signori di questo territorio, vogliamo sperare che se ci fabbrichiamo sopra e ci facciamo dei miglioramenti, ne concederete, come i gran signori costumano, una lunga investitura. Se vi piace fate venire un notaio che ne stenda lo scritto.
— Corpo del demonio! gridò un di costoro, le cui bestemmie non si limitarono qui; vi faremo vedere se burliamo;» e recatosi più in là, ove que’ poveri sgraziati avevano acceso il fuoco per prepararsi un po’ di cibo, e preso un tizzone infiammato lo posò bellamente contro il lato esterno della capanna, che in pochi minuti sarebbe bruciata, se un dei due ingiuriati non fosse corso fuori in fretta scagliandosi sul briccone che cacciò via. Indi allontanato con un piede il tizzone, spense il fuoco, non per altro senza qualche difficoltà.
Il mascalzone cattivo al vedersi scacciato via in quel modo dal mascalzone buono (che qui comincia la distinzione fra i buoni e i cattivi mascalzoni) fu preso da tanta rabbia, che tornò di lì ad un momento armato di bastone; poi gli misurò tal colpo, che se l’altro non era pronto a pararlo e a fuggire in casa, avea finito di vivere. Il suo camerata vedendosela brutta per sè e pel compagno, accorse, e di lì ad un istante entrambi erano fuor della capanna armati d’un moschetto per ciascheduno. Quel dei due che corse dianzi il pericolo di quella mala botta, alterrò il ribaldo provocatore col calcio del suo archibuso, e ciò prima che i due altri venissero ad aiutare costui. Appena questi comparvero, i due buoni presentando a tutti e tre le bocche de’ loro moschetti, li fecero stare addietro.
I cattivi avevano eglino pure armi da fuoco con sè; ma un de’ due buoni, più coraggioso ancora del suo compagno e fatto disperato dal proprio pericolo, gridò ai primi assalitori che se movevano una mano erano morti, intimando loro col più fermo ardimento che cedessero le armi. Non le cedettero per vero dire, ma vedendo l’avversario sì risoluto, tutti e tre credettero migliore consiglio il venire a parlamento, pel quale acconsentirono di portarsi a casa il lor terzo ferito, che da vero parea malconcio dalla percossa avuta col calcio del moschetto.
Per altro i due buoni fecero male a non giovarsi del vantaggio avuto e a non disarmare veramente, poichè ne avevano il destro, i tre cattivi. Si contentarono di recarsi subito presso gli Spagnuoli e raccontar loro le villanie che avevano sofferte. Doveano ben immaginarsi che que’ tristi avrebbero studiate tutte le vie per vendicarsi, e di fatto d’allora in poi non passo giorno, che non dessero forti indizi di questa malvagia intenzione.
Non ingrosserò questa parte di storia con la descrizione di tutte le ribalderie di minor conto, che i tre cialtroni commisero a danno degli altri due. Figuratevi che andavano a pestar co’ piedi i lor ricolti in erba, oltre all’avere ammazzati loro tre giovani capretti ed una capra che que’ poverelli avevano addimesticata per avviarsi una greggia; in somma li tribolarono tanto di notte e di giorno, ne fecero tante, che ridussero gli altri due a tal disperazione per cui finalmente presero la determinazione di venire a battaglia con essi alla prima opportunità, che loro capitasse.
E per trovarla più presto, risolvettero trasferirsi al castello (così veniva denominata la mia antica abitazione) ove i tre cialtroni convivevano tuttavia con gli Spagnuoli, quivi sfidarli, pregando gli Spagnuoli ad esser testimoni della tenzone. Così fecero all’alba di una data mattina, e giunti al luogo divisato chiamarono gl’Inglesi pe’ loro nomi, ed interrogati da uno di quegli Spagnuoli sul motivo della loro venuta, risposero che aveano qualche cosa da dire ai tre Inglesi.
Era avvenuto nel giorno innanzi che uno Spagnuolo girando pei boschi incontrò un de’ due Inglesi, denominati per distinguerli dagli altri tre, i buoni, e questi gli raccontò la storia lamentevole d’ogni barbaro sopruso fatto contro lui ed il suo compagno dagl’iniqui loro compatriotti e delle piante schiantate e delle messi mandate a male e delle capre uccise, per ultimo della distruzione di tutti i mezzi di lor vita operata da costoro. Laonde, quando la sera gli abitanti del castello furono ridotti a casa e stavano cenando, uno Spagnuolo si prese la libertà di far rimostranze, ma con buona maniera, ai tre su le crudeltà da essi esercitate verso compatriotti che non facean loro male veruno.
— «Poveretti! dicea lo Spagnuolo, s’erano messi su la buona strada di vivere con le proprie fatiche, e avevano sparsi di bei sudori per avviare bene le cose loro.
— Che cosa sono venuti a far qui? disse con arroganza un degl’Inglesi: sbarcarono a questa spiaggia senza licenza; nè posson qui fabbricar case o far piantagioni; non lavorano sul loro.
— Per altro, signor Inglese, soggiunse con pacatezza lo Spagnuolo, non è giusto che muoiano di fame.»
L’Inglese col più brutto fare del più sboccato fra i marinai, sclamò:
— «Oh! crepino un poco e vadano al diavolo! Qui non devono nè piantare nè fabbricare.
— Ma che cosa hanno dunque da fare? chiese lo Spagnuolo.
— Che Dio li fulmini! sclamò un altro di quegli uomini brutali.
Lavorare e servirci come nostri schiavi.
— Ma perchè pretendere questo da loro? replicò lo Spagnuolo. Voi non gli avete comprati col vostro danaro; non avete diritto di considerarli come schiavi.
— Vivaddio! l’isola è nostra. Il governatore l’ha data a noi, e niuno ha che far qui fuori che noi, e per il... (qui fece un giuramento da fare addirizzare i capelli) andremo e bruceremo le case che hanno piantate; nessuno ha da fabbricare su la terra che è nostra.
— A questi conti, soggiunse sorridendo lo Spagnuolo, saremmo vostri schiavi anche noi.
— Anche voi altri! disse il briccone. La non è ancora finita» e nel dir questo mescolò tra l’una e l’altra delle due frasi tre o quattro orrende bestemmie.
Lo Spagnuolo contentatosi ad un tal ghigno che dicea: Mi fate pietà, non rispose altro.
Comunque moderata fosse la predica fatta dallo Spagnuolo, non di meno questa pose l’inferno in corpo a que’ cialtroni, un dei quali saltato in piede, credo fosse colui dei tre che si nomava Guglielmo Atkins, disse a quello che avea parlato sino allora:
— «Vieni, Giacomo, andiamo, non giova cozzarsi più con questi galantuomini. La loro fortezza la demoliremo per Dio! Nessuno ha da piantar colonia sul nostro dominio.»
Detto ciò vennero via tutt’e tre di conserva, ciascuno armatosi d’un archibuso, d’una pistola e d’una spada; e brontolarono fra loro alcuni insolenti propositi su ciò che avrebbero fatto a suo tempo agli Spagnuoli, i quali a quanto sembra non intesero si bene tali brontolamenti da notarne ogni minuta particolarità, e sol capirono in generate che consistevano in minacce contro essi, perchè avevano preso le parti de’ due Inglesi men tristi.
Ove andassero, come impiegassero il rimanente del loro tempo in quella notte, nol seppero; parve che vagassero un bel pezzo attorno, finchè stanchi andassero a riposarsi in quella ch’io chiamava mia casa di villeggiatura, e ivi s’addormentassero. Il caso fu questo. Costoro, come in appresso lo confessarono eglino stessi, aveano risoluto d’indugiare fino a mezzanotte, e colto l’istante che quei due poveri sgraziati fossero immersi nel sonno, dar fuoco alle loro abitazioni, entro cui sarebbero rimasti o bruciati, se vi rimanevano, o trucidali dagli assedianti se ne uscivano. Poichè la malvagità lascia di rado dormire alla grossa, fu un caso stravagante che questa volta non tenesse desti i tre mascalzoni.
Pure nel presente caso accadde che anche i due Inglesi avversari avessero essi pure in volta, come ho già detto, una macchinazione, benchè più onesta che non è il bruciare e l’assassinare; onde fortunatamente tutti erano in piedi e partiti dalle loro abitazioni, quando i tre sanguinolenti sicari vi giunsero.