Autobiografia (Monaldo Leopardi)/Capitolo XXXVII

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XXXVII.

Pace di Tolentino.

Fratanto i Francesi avevano occupato Fuligno, e credo stasse in libertà loro andare a Roma, quantunque il generale Colli avesse disposta alquanta truppa fra quella città e Spoleti, perchè i soldati destinati a difendere quei passi, erano quelli di Faenza, e di Ancona. Pare però che il guerreggiare degli austriaci li richiamasse in Lombardia, o forse il Direttorio di Parigi non aveva ancora destinata l’ora per la caduta di Roma. In quella città all’annunzio della rotta Faentina tutto fu terrore e disordine, ma pure si sperava [p. 78 modifica]-tuttora nelle Armi, senonchè tenutosi dal Papa concistoro o consiglio de’ Cardinali, e dettosi fermamente dal Cardinale Antici che il secondo colpo di cannone condurrebbe gli inimici a Roma, come il primo li aveva condotti in Ancona, altri convennero in questo parere, e si determinò di implorare la Pace. Vennero a quest’uopo in Tolentino il cardinal Mattei, monsignor Galeppi, il duca Braschi, e il Marchese Massimi, e la firmarono col Generale Buonaparte il giorno 19 febrajo 1797. La cessione delle tre provincia di Bologna Ferrara e Ravenna, il pagamento sollecito di sette milioni, e duecentomila scudi, la consegna degli oggetti di arte più rinomati che decoravano Roma, e l’occupazione di Ancona fino alla pace generale, furono i patti più duri di questa pace dettata dalla forza, e accettata dalla necessità.

Ho scordato di raccontare a suo luogo che il giorno nove o dieci di questo mese venne qui un commesso del Comune di Ancona, e con un supposto ordine di Buonaparte ci portò via tutta intiera la compagnia di Musici e Ballerini che agiva nel nostro teatro. A noi questa perdita importò poco, non essendoci allora molta voglia di divertirsi con le solfe, ma il fatto, da chiunque venisse fu una prepotenza ributtante, e accrebbe i danni particolari che quella musica mi recò. Voglio raccontarli acciochè qualche giovane possa guardarsi dai tanti falli che io commisi negli anni della mia inesperienza. Quando si riteneva imminente il mio sposalizio si disse che conveniva rallegrarlo con una buona opera in musica, e il conte Gatti propose una società di sei Caratanti per sostenere l’impresa. Buon galantuomo, ma sempre francone, assicurò che ove non ci fosse guadagno, si perderebbero da ogni socio pochi scudi. In questa fiducia formammo la società egli, il sig. Girolamo Massucci, il sig. Carlo Condulmari, il sig. Giovanni Batta Vitali, il conte Broglio ed io. Ma il conte Broglio volle stare per mezzo carato, e l’altro mezzo si addossò a me. Così il Vitali [p. 79 modifica]dichiarò che non intendeva di rimettere più di scudi 50 e deridendosi la sua precauzione toccò a me il garantirlo per ogni eccesso possibile. Allo staccare della chiarata si rimisero scudi novecento cioè scudi 150 per voce. A me dunque toccarono scudi 150 per me, scudi 75 per il mezzo carato Broglio, scudi 100 per la rilevanza Vitali, e più altri scudi 11 rubbati in una borsa che pure toccarono a me. Ma tutto questo non bastò. Allorchè il conte Gatti, che fu sempre unico Rappresentante della società, spedì in Bologna a prendere il vestiario mi domandò che scrivessi ad alcuno affinchè presso il sartore Ucelli rispondesse del vestiario e del pagamento successivo di scudi 120. Scrissi al Mercante Radaelli, e non ci pensai più. Un anno dopo l’Ucelli domandò il vestiario che ignorandolo io non aveva ancora riavuto, e scudi 480 per il nolo di quattro stagioni. In una parola, stante quella mia lettera mi toccò pagare per accordo scudi 360, che si dovevano contribuire dai socii, i quali però, dopo qualche inutile istanza, lasciai vivere in pace. Così quell’opera in musica mi costò 696 scudi, di argento effettivi, i quali per le difficoltà monetarie, e per il mio disesto economico di quel tempo hanno forse rappresentato nella mia sostanza un divario di scudi 2000. Fu veramente un bel gusto per uno stuonato come son io che nei trilli e nei Rondeau non provo diletto alcuno.

I Francesi dovevano occupare queste provincie sino al pagamento totale, o quasi totale della somma pattuita, ma chiamati altrove dalle faccende loro, se ne andarono anticipatamente, lasciando bensì una guarnigione in Ancona. Recanati fu libero il giorno 30 di marzo, e partiti coloro venne qui a stabilire il quartier Generale il Brigadiere Gandini con circa mille uomini di truppa pontificia. Dopo un pajo di mesi il Brigadiere se ne andò col più delle sue genti restandovi due compagnie comandate dal capitano dei [p. 80 modifica]granatieri, Bonfilj. Tutti questi perchè nostri, e buoni, ci diedero poco fastidio.