Archivio storico italiano, serie 3, volume 13 (1871)/Rassegna bibliografica/Venedig unter dem Herzog Peter II - Ricerche sulle condizioni politiche di Belluno

Cesare Cantù

Venedig unter dem Herzog Peter II
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Venedig unter dem Herzog Peter II
Ricerche sulle condizioni politiche di Belluno
Rassegna bibliografica - Processo del Carnesecchi Rassegna bibliografica - Niccolò Machiavelli nel suo Principe

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Otto Kohlschuetter, Venedig unter dem Herzog Peter II
Orseolo
ec. Gottinga 1868.1


Francesco Pellegrini, Ricerche sulle condizioni politiche di Belluno e sua provincia fino al secolo X, e specialmente del vescovo Giovanni II. Belluno, 1870.


Quel che fu pei Milanesi l’arcivescovo Eriberto da Cantù, fu pei Bellunesi il vescovo Giovanni: uno di que’ prelati che, quando non si poteva tutelare altrimenti la giustizia della plebe cattolica dalla violenza de’ conquistatori e dei feudatari, assunsero col pastorale la spada, coll’autorità sulle anime il dominio sul temporale. Come altri, così questi due l’esercitarono in vasta misura, e con ciò, non che opprimere i popoli, gli avviarono alla emancipazione de’ Comuni e all’era delle Repubbliche.

Nessun più accetta il peusiero del Sismondi che i Comuni italiani venissero istituiti per decreto o concessione di Ottone [p. 316 modifica]Magno2. il quale, al più, non fece che riconoscerne l’esistenza.

Al primo loro scendere, i Longobardi (da cui veramente data la scomposizione delle antiche ordinanze) stabilirono ducati di ampi territori per conservare la conquista e proteggere le frontiere dai nemici; e tali furono quelli del Friuli, di Trento, di Torino contro i transalpini, di Spoleto e Benevento contro i Greci.

Alboino passava le Alpi a capo di vari generali, ciascun de’ quali aveva condotto per proprio conto qualche tribù a sè devota; e un d’essi, Gisolfo, appena varcate le Alpi, si fermò co’ suoi nel Friuli; il che è più vero che non il dire avervi Alboino istituito il primo ducato. Altri si fermarono a Vicenza, a Verona, a Treviso: uno a Ceneda, piccola terra, il che nulla contava ai Barbari, i quali non voleano una città ma un quartiere; e quello era opportuno dacchè Concordia e Altino erano state distrutte, Oderzo resisteva lungamente; opportuno a dominare e sulla pianura tra il Piave e il Tagliamelo, e sulla valle montuosa del Piave ove sta Belluno, e i cui varchi importava assai di curare.

La schiera degli uomini di guerra, ch’essi diceano skara degli arimanni, divideasi in sculdascie sotto un capo (sculteiss) di cento capibanda, divisi in decine. Probabilmente Belluno, come Feltre e Cadore, era sede d’uno scultascio.

Questi dominatori così estesi erano mal obbedienti al re, e ne vennero le scissure, per cui il dominio longobardo [p. 317 modifica]crollò. Carlo Magno spezzò i ducati in contadi, solo lasciando più forti i conti delle marche (marhgraf, marchesi) cioè dei confini; e tale fu la marca del Friuli, detta anche di Verona o di Treviso, secondo le vicende. Inoltre dominii minori erano concessi in feudo a favoriti e benemeriti in pace e in guerra. E conti e marchesi e feudatari profittavano della debolezza degli ultimi Carolingi per allargar la propria autorità e renderla ereditaria. Fra que’ feudatari v’avea molti ecclesiastici, che allora usurparono od ottennero, in prima, che le chiese e i beni loro restassero immuni dalla giustizia dei magistrati regi. Crebbero di pretensioni e di acquisti sotto i re e gl’imperadori italiani e borgognoni, e si trovarono potentissimi quando Ottone I unì la corona d’Italia a quella della Germania. Per reprimere i conti e i vassalli, egli consentì piena immunità ai vescovi, sicché non solo avessero propria giurisdizione, ma esercito proprio, e anche titolo di conti.

Si hanno tali concessioni al vescovo di Belluno, la qual città, come altre, allora acquistò la libertà comunale, e a poco a poco la crebbe, togliendo sempre nuovi brani d’autorità dalle deboli mani de’ vescovi, e costituendo il Comune dei nobili (militi), che si sostituì poi affatto al vescovo-conte.

Non ebbe ragione Giuseppe Ferrari di credere che verso il 780 le quattro primarie famiglie di Belluno avessero già costituito il Comune. Esse non aveano che ottenuto dal vescovo Giovanni privilegi, che andarono ampliando e che estesero alle 60 famiglie da loro derivate, che nel 1300 formavano il consiglio de’ nobili.

Il vescovo Giovanni reggeva il comitato di Belluno come feudatario dell’imperatore, e lo spartiva ai feudatari minori che gli rendevano omaggio in pace, servizio in guerra, assistenza ne’ giudizi: e un d’essi era scelto come avvocato, visdomino, visconte per capitanar l’esercito, invece del vescovo.

Forse egli è nato nel 920; eletto vescovo nel 963, visse fino al 99, cioè 80 anni di vita, 36 di vescovado.

Come n’aveva facoltà, edificò mura e castelli e torri, ampliò il territorio bellunese, s’impossessò di molte terre del trevisano e del cenedese, si spinse fino al castello di Montebelluna, e nel Trentino fino all’Adige, non sappiamo con qual [p. 318 modifica]titolo e por quali motivi: e Ottone II gli confermò tutti gli acquisti fatti, volendo con ciò mortificare i Veneziani, e impedire dio vottovaglie e merci fossero a questi mandate.

Giovanni ne fu contento perchè stava in lotta col doge di Venezia, e n’ebbe vantaggio finché successe in quel grado Pietro II Orseolo, principe savio e risoluto. Ottenuta la conforma dei confini antichi del dogado verso il regno d’Italia; cercato invano colle ambasciate e la mediazione acchetare il vescovo, a cui l’età non toglieva l’attività, impedì ogni commercio colla marca di Verona e coli’ Istria, finché, calato in Italia Ottone III, il 25 marzo 996 si venne a un accordo, ove Giovanni riconosceva i confini antichi del dogado, e si riapersero le comunicazioni. Puro le ostilità non cessarono che nel 98, quando l’Orseolo, illustrato dalle imprese nell’Istria e nella Dalmazia, accingeasi a ridurre colle armi a quiete l’impaurito vescovo.

Del quale le imprese guerresche furono più notevoli che le ecclesiastiche.

Di tutto ciò discorre il Kohlschütter trattando del doge Pietro Orseolo, e in modo più speciale e con singolare diligenza il Pellegrini, adducendo vari documenti, in parte ignoti e preziosi come sono tutti quelli anteriori al mille. Un fatto notevole in questi è che le molte persone ivi nominate non hanno cognome; l’hanno tutti i veneziani, come Pietro Centrando, Domenico Candiano, Pietro Gradonico, Orso Noeli, Orso Badoario, Maurizio Mauroceno, Domenico Carimanno, Domenico Orseolo, Domenico Matadoro, Domenico Mauro, Cipriano Bulzano, Giovanni Michaele ec.

C. Cantù.          




Note

  1. Di questo libro fu già parlato nel T. IX, part. I.a, p. 92-102 di questo Archivio.

    La Direzione.

  2. Il Pellegrini rimprovera al Ranalli d’avere scritto (Storia delle Arti in Italia, lib. 1, pag. 47) che alla libertà, Ottone I, cui meglio che Carlo Magno devono gl’Italiani il nome di grande, avea posto un gagliardo fondamento col concedere ai municipj. Noi noteremo come impropriamente si applichi il nome di municipio a quel che i nostri vecchi chiamavano Comune. È un ricordo classico, ma le due cose differiscono essenzialmente. Il municipio romano era un’immagine della repubblica, coi duumviri al posto de’ consoli, e con una nobiltà (ordo) che padroneggiava la plebe. Il Comune invece consisteva nell’eguaglianza di tutti sotto le medesime leggi, obbligando, per esempio, anche gli antichi dominatori, i baroni, i feudatarj, a obbedire ai decreti del Comune, agli statuti, alle sentenze dei tribunali, e concorrendo tutti a eleggere il governo, a decretare le gravezze e la guerra. I privilegi, le tradizioni, le fazioni alterarono spesso questo concetto primitivo.