Apri le labbra mie, dolce Signore

Stoppa Bostichi

XIV secolo Indice:Le Rime di Cino da Pistoia.djvu Letteratura Apri le labbra mie, dolce Signore Intestazione 1 settembre 2021 100% Da definire

Questo testo fa parte della raccolta Rime scelte di poeti del secolo XIV


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     Apri le labbra mie, dolce Signore,
Ch’i’ possa annunzïar la tua gran laude;
La qual mal conosciuta dà dolore
4A chi la preterisce o le fa fraude.
O theos Cristo maestro maggiore,
La mia parola, se ti piace, esaude;
E sol ti priego di esaudir mie’ prieghi,
8Prima che dall’aiuto tuo ci sleghi.
     Non so con qual colore e con qual faccia
Mi muova a far questa domanda pronta
Universal, perch’oggi ogni uomo scaccia
12Li tuo’ comandamenti, e ’l vizio monta;
E quanto più ci dai festa e bonaccia,
Tanto t’è fatto da’ cristian più onta;
Ma perchè s’apparecchian cose nuove
16Nel mondo, a domandar pietà mi muove.
     Pianga chi ha de’ cristian fede tanta
Quant’è un granel di senape o di miglio;
Pianga la corte della Chiesa santa;
20Pianga quel di Baviera, ancor suo figlio;
Pianga il re d’Inghilterra che si vanta
Mettere a fondo il campo azzurro e ’l giglio;
Pianga ’l re di Buem e d’Ungherìa
24E quel di Francia, e pianga Italia ria.
     Doler si può ciascuno or nominato,
Pensando che ’l mastino arma la coda,
Venuto è il tempo tanto profetato,
28Nel qual sì proverà l’arme più soda.
In fino a qui più volte i’ v’ho cantato
Di quel ch’è suto: or chi si vuol sì m’oda;

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Chè quel che s’apparecchia dire intendo
32E come finirà, se ben comprendo.
     Regnan pianeti, e nuove novitadi
Sono apparite con veraci segni:
La stella di Mercur presso a tre gradi
36Al sole è apparita con disdegni.
I detti de’ profeti gravi e radi
Partoriran, che sono istati pregni;
E dell’Apocalisse il vero senso
40Sarà di corto per lo mondo accenso.
     Dunque attenda ciascun che si diletta
Di saper quel che ’l tempo seco adduce,
E tutta la speranza sua qui metta
44Chi vuole del futuro tempo luce.
Di molte profezie che ’l mondo aspetta
È tratto il fior, che appresso il dir conduce
Ed io di quelle alquanto intendo dire
48E come debbon più pensier finire.
     O Lodovico duca di Baviera
Che sì grande hai nell’animo la impresa;
Cioè d’abbatter la tonduta schiera,
52E’ suo’ pastor, se ti faran difesa,
E per aver il tesoro in primiera,
E poscia far tra’ cristian larga spesa;
E mostri che d’aitalla ti cominci,
56La qual poscia vorrai, se questo vinci:
     Perchè la ’mpresa a buon fine non fai,
L’effetto non vedrai cogli occhi vivi,
Ma gran cominciamento gli darai;
60E que’ baron che teco saran quivi,
Per quell’error, ch’a morte lascierai,
Saranno del seguir la ’mpresa privi!
In fin che ’l successor conosceranno,
64E in breve poi la ’mpresa compiranno.
     O sacerdote grande, alto Clemente,
Col mal consiglio c’hai dal re di Francia,
E da alcun cardinal, dov’hai la mente?
68Già tutto ’l mondo ti pare una ciancia:
La voglia tua non savia non si pente,
Ma dài a Carlo di fortuna mancia,

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Per divider Lamagna in cotal modo
72E gli altri tuo’ vicini, e tu star sodo.
     In te si forma uno specchio evidente
Nel qual potrà mirare ogni superbo;
Per te vien men la consegrata gente,
76Per te fia il mondo periglioso e acerbo,
Per te ogni prelato fia dolente:
Di te alcuna cosa a dir mi serbo.
E fie cagion di questo grave male
80Quel che tu tien che più ti sia leale.
     Sarà la Chiesa de’ pastor privata;
Fie beato qual potrà negare
Il chericato e rifiutar l’entrata:
84Fìane cagion la terra d’oltremare:
Invidia, gola al chericato guata,
Superbia, simonìa, lussurïare:
Poi fie la Chiesa ornata di pastori
88Umili e santi, come fur gli autori,
     O re Giovanni, di Buemme sire,
Del bel piacer ch’allo ’ntelletto prendi
Te fai sì grande, che del deservire
92Inviti alcun che col voler offendi:
Tu pensi di far tanto, tu di dire,
Che lo sbandito già da Dio difendi,
Non per amor che tu dolce gli porti,
96Ma per lo ben che speri che t’apporti.
     Tre volte muterai, anzi che giunga
Il colpo del martel che ti conficchi
Nel core il ben, che dal voler tralunga,
100E prima che profitto se ne spicchi:
Avrai una perfetta pace e lunga
Di quella guerra in la qual non arricchi;
Ma goderalla poco il tuo figliuolo:
104Pur sarai poi d’imperïale stuolo.
     O messer Carlo, nato in isperanza
Vestito della nobile intenzione
La quale avete tutti per usanza,
108Ma tu la pigli come derisione,
Senza pensar la tua poca possanza,
Ardito in te contra tanta unïone;

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E d’esser credi grande, disservendo
112Quel gran poder ch’io nel mio dir prendo;
     Torrattisi da lato un molto antico,
Sanza parlarti, e faratti ripresa
Colle viste e cogli atti, come amico,
116E faratti partir dalla contesa,
Ed umil ti farà più ch’i’ non dico
Con tuo volere e con picciol’offesa;
Poscia arai pace grandezza e onore
120Così com’alcun altro gran signore.
     O re Filippo, che la Francia guidi
E pur con negligenza ti sostieni,
Tanto della potenza tua ti fidi
124E sì del padre che per minor tieni;
De’ leopardi d’Inghilterra ridi,
E fagli nel pensier di viltà pieni;
Pace non vuo’, la qual ti fu proferta,
128Finche non vedi tua possa diserta;
     Tu farai dormendo un aspro sogno,
No ’l crederai, che fie verificato:
Li tuo’ borghesi nel maggior bisogno
132Tu gli vedrai averti abbandonato:
Un disleal trattato, il ver ti pogno,
Doppio ti leverà d’un grande stato;
E tu ti cruccerai come mastino:
136Qui lascierai la pelle: o te tapino!
     Or, Adoardo re dell’Inghilterra,
Che per ragion dimandi il gran reame
E vuoi pigliarlo per forza di guerra,
140Perc’hai d’aver grandezza una gran fame
Con intenzion di far alcuna terra
Rimaner molte genti triste e grame:
Così suggelli con reame doppio
144E fai ogn’inimico pien di loppio;
     Tu ti leverai da un forte passo
Per forza d’arme e riceverai danno,
Non che però per questo vadi in basso;
148Ma poi seguiterai que’ che più sanno:
Di gente grande, di pecunia grasso,
Vorrai aiuto; ed egli ti daranno:

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E poi con senno e colla forza immensa
152Farai di Francia quel ch’altri non pensa.
     Ohi, Unghero signor con bruna vesta,
Per lo crudele strazio de’ Pugliesi,
Di gran potenzia tu hai fatta inchiesta
156Per visitar con gli dolori accesi
Col fuoco e colla spada e con tempesta
I falsi traditor ma non offesi;
E gli occhi aperti tien contra Vinegia
160E contra ’l gran pastor che ti dispregia;
     Le penne cresceranti sì dell’ale,
Che ti faranno al primo colpo stanco,
E sol per un che non sarà leale,
164Che ti verrà di una promessa manco;
Non che senza vendetta stia tal male;
E tu ti rimarrai col valor franco
Dando sostegno in fino a primavera;
168Poi di Puglia farai tua voglia intera.
     O rei Pugliesi diversi e crudeli,
O Giovanna reina dolorosa!
Lungo tempo credete che si celi
172La giustizia di Dio ch’or è nascosa?
O di Puglia reali amari e feli!
Ciascuno che costà vuol aver posa
Sanza poter vi state contumaci,
176E siete più che mai lupi rapaci.
     Fra voi vien fiamme pestilenza e ferro,
Morte e languore e uccisïon per forza,
Scandolo grande con zenzaria et erro,
180Fin’ all’ossa levandovi la scorza;
E quando avrete la coda nel cerro,
Per coscïenza tal mal non s’ammorza;
Chè più città vi fieno al pian ridutte,
184Ville e castella assai vi fien distrutte.
     E tu, Giovanna, ti farai romita
Più per paura che per coscïenza;
Molti de’ tuoi perderanno la vita,
188Per far entro a’ lor nidi residenza;
E così Puglia rimarrà schernita
Con grande duol della papal potenza:

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Riposerassi in Puglia tal tristizia
192Pe’ suoi peccati e per la sua nequizia.
     O Aluisi di Cicilia re!
O tu duca Giovanni, or più signore,
Contra ’l poter del capo della fè!
196Allegro se’ che vedi il distruttore
De’ tuoi nemici, e tu parte ne se’;
Ed è già patteggiato dentro al core
Della fermezza di tua signorìa,
200E troverai del ben pensar la via.
     Vittorïando viverai con fede
Tu Aluisi, e ’l duca t’abbandona
Per una infermità ch’ora il possiede:
204Così ti lasserà colla persona:
Onde per questo chi or più ti crede
Ed ama ti vorrà tôr la corona;
E tu te n’avvedrai subripando,
208Chè viverai con guardia trïonfando.
     O Vinegia città non trïonfante,
Non hai ancor voluto prender pace:
Ed or che non se’ più grande volante
212Se’ sopra Giarrettin fatta mordace;
Ma non conosci il pasto c’hai davante,
Nè credi alcun trovarne mai tenace:
Tanta speranza ti dà la superba
216Che tua falsa grandezza in te riserba.
     Se tu non ti ripari al gran podere
Di Genova Sicilia e Ungarìa
E di Puglia racconcia, ed al sapere
220D’alcun Lombardo grande; tu se’ in via
Nel basso con gran danno di cadere,
Perchè tra’ tuoi maggiori ha zenzarìa:
E quando i Genovesi ti fien contra,
224Muterai stato come spesso incontra.
     Ciò t’avverrà per gli gravosi affanni
C’hanno già fatti e fanno star dolenti
Sì nel presente ed ancora più anni
228Gli Schiavi e gli cristian che so’ innocenti;
Similemente que’ gravosi inganni
Ch’a’ Fiorentin fecion tua maggiorenti

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Ed a più altri con tua falsa legge,
232La qual segue il mal sangue che ti regge.
     O Lombardìa affannata di tiranni,
Sotto qua’ se’ per invidia venuta;
Tu credi riparare a questi affanni
236Per esser dentro di guerra fronduta;
E credi viver sotto gli altrui danni,
Benchè tu se’ da’ tuoi troppo premuta;
E se’ vivuta in isperanza tanto,
240Ch’ogni guerra ti pare un dolce canto.
     In te si levan duo feroci cani
Con molti catellini in compagnìa,
Che si percoteranno colle mani
244Sì che per l’un sarà l’impresa ria;
E quel perdente con più altri strani
Intrerà sotto nuova signorìa,
Che i gran Lombardi terrà sotto l’ala:
248E gli ultimi saran que’ della Scala.
     Toscana ricca, a te par aver fatto
Assai, chè a pace tutta se’ recata,
Legata insieme d’un secreto patto,
252Non fermo: ma pur ti se’ avvisata
Di riparare a qual fusse sì matto
Che con forza volesse fare intrata
In te per tôrre il popolare stato,
256Lo quale a molti è già caro costato.
     La morte di due uomini attempati
Manderà la Toscana sotto sopra.
E molti, di lor terre fuori stati
260Gran tempo, potran dare a tornar opra
Mutando alcuna città gli suoi stati;
Per quel la vita di color si sciopra;
Poscia vien della Magna un forestiero
264Signor, che la porrà ’n stato sincero.
     Nelle qua’ tutte sopraddette cose
Si faran sette battaglie di campo.
Le tre faranno l’erbe sanguinose,
268Quando si vederà più verde il campo;
L’altre quattro saran pericolose,
E d’esser presi più che dello scampo:

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Ma pure in tutto sarà più di cento,
272Venti mila fïen di vita spento.
     Senza che assai ne spegnerà la morte
Per febbre per cammino e per fatica,
E per posteme da freddezza scorte,
276E per quel mal che molto si notrica.
Ahi mondo, quante dolorose sorte
Superbia t’apparecchia a Dio nemica!
Quanti voltar di rota e quanti stati
280Si muteran che son oggi innorati!
     Ma, quel ch’è più in dispetto, di qui a poco
Fia una carestìa di vettovaglia:
Nella Magna sarà suo primo loco,
284Po’ per la Lombardia farà frastaglia,
E ’nfine a Napol sarà cotal gioco,
Che varrà tre quel ch’ora una medaglia:
E questo sarà forse a molti peggio
288Che l’altre novità, per quel ch’i’ veggio.
     Permette Iddio questa general pena
Per gli sfernati vizi ove ci trova:
Ed oggi il mondo per suoi frutti mena
292Superbia tradimenti, e fa la prova,
E dal lussurïar ciascuno sfrena:
Inganno e crudeltà a molti giova:
Per l’avarizia e tutte opere ladre
296Amor non regna più tra figlio e padre.
     Sicchè, se ’l mondo non si diradasse
Di molti, crescerebbe tanto il vizio,
Che biasmo tornerìa, se si trovasse
300Alcun ch’alla virtù pur desse inizio:
Così nessun sarìa che mai andasse
Per operare il bene al sant’ospizio,
Che Dio ha fatto sol per nostro bene.
304O felice colui che al ben far tene!
     Dunque ciascun bene operando viva,
Acciò che Dio così non ci abbandoni.
Ben può lodare Iddio chi bene arriva
308E chi si guarda da cota’ bocconi;
Chè qual della sua grazia Cristo priva
Entra nelle crudel man de’ demoni:

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Pensi ciascuno in sè medesmo quale
312Ha fatto più... tra bene o tra male.
     Nessun sotto il poter di Dio s’asconda,
Perch’egli ha in ogni parte gli occhi aperti;
E spesso que’ che più la fan gioconda,
316Son que’ ch’al primo colpo son diserti.
Senno, poter, ricchezza o testa bionda
Da Dio non son graditi quanto i merti:
Qui si dimostreranno i pro’ e gagliardi:
320Dunque chi s’ha a guardar bene si guardi.
     Prima che molti vecchi morte prenda,
Le sopradette cose avranno effetto;
Non che però per certo i’ le difenda,
324Che al piacer fìe di Cristo benedetto;
Ma per quel ch’io d’assai savi comprenda
E d’assai profezìe, ho questo detto.
Ben puote Cristo a questo por rimedio,
328Ingiuria non facendogli nè tedio:
     Siccome quando Iddio rivelò a Giona
Ch’alla città di Ninive dicesse
Che condannata l’aveva in persona,
332Se penitenzia del mal non facesse;
E Giona il predicò, come il ver suona,
Perchè del mal far Ninive si stesse;
Ninive s’ammendo, fe penitenzia.
336Onde Iddio rivocò quella sentenzia:
     Per simigliante via dico che Dio
Potrà le dette cose rivocare,
Che degnò noi qual padre giusto e pio
340Del proprio sangue suo ricomperare.
Lasciate il vizio, e ’l ben vi sia in disìo,
Se queste profezie vogliam mutare:
Non val doler, poi che ’l tempo è perduto.
344Al vostro onore il mio dire è compiuto.

(Pubblicata dal Crescimbeni nel vol. II, parte II, libro III, della Storia della volgar poesia; Venezia, Basegio, 1730; con qualche lacuna, che noi riempimmo col cod. laurenz. XXXVIII, plut. XLII.)