Annali d'Italia dal principio dell'era volgare sino all'anno 1750/43

Anno 43

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Anno di Cristo XLIII. Indizione I.
Pietro Apostolo papa 15
Tiberio Claudio, figliuolo di Druso imperadore 3.


Consoli


Tiberio Claudio Augusto per la terza volta e Lucio Vitellio per la seconda.


Non più di due mesi tenne l’Augusto Claudio il suo terzo consolato1. V’ha chi crede a lui succeduto nel dì primo di marzo Publio Valerio Asiatico, quel medesimo che avea tenuta mano ad abbattere il crudele Caligola, ma è opinione incerta. Vitellio console quel medesimo è che vedemmo proconsole della Siria, e che ebbe per figliuolo Vitellio poscia imperadore. Coll’adulazione si salvò sotto Caligola, con questa ancora si fece largo presso di Claudio. Nelle calende poscia di luglio giudicarono alcuni eruditi, che ai suddetti consoli ne succedessero due altri, cioè Quinto Curzio Rufo e Vipsanio Lenate. Plausibile è la lor congettura, ma non è più che congettura. V’erano sì smisuratamente moltiplicate in Roma le ferie2, che la maggior parte dell’anno era feriata; ed allora non si teneano i pubblici giudizii. Vi rimediò Claudio Augusto, riducendo esse ferie ad un numero discreto. Tolse vari uffizi a chi indebitamente gli avea ottenuti da Caligola, e li restituì o li conferì a chi ne era degno. Al popolo della Licia, perchè avea fatto un tumulto, con uccidere ancora non so quanti Romani, levò la libertà e sottomise quella provincia alla [p. 155 modifica]Panfilia. Privò della cittadinanza di Roma uno di quel paese, perchè non intendea la lingua latina; ed altri spogliò del medesimo diritto per loro falli; ma conferillo poi a moltissimi altri a capriccio, nè solo ai particolari, ma anche alle università e città. Più nondimeno quelli erano, che ricorrendo con danari a Messalina e ai liberti favoriti di corte, l’impetravano, di modo che si dicea, che la cittadinanza romana, la quale una volta siccome bel privilegio si pagava carissimo, era divenuta sì a buon mercato, che con un pezzo di vetro rotto si acquistava. Nè sol questo si vendea da Messalina e da’ liberti palatini, ma ancora gli uffizi militari e i governi, con entrar anche a far traffico e a cavar danaro dalla grascia e dall’altre cose che si vendevano: il che fece incarire i lor prezzi, e necessario fu che Claudio nel campo Marzio alla presenza del popolo li tassasse. Ed intanto Messalina più che mai datasi in preda alla libidine3, e sfacciatamente adultera, senza rispetto alcuno del marito, era l’oggetto delle dicerie della gente accorta. Se vero è ciò che ne scrisse Giovenale, lasciato la notte in letto l’addormentato buon consorte, travestita passava ai pubblici lupanari; nè contenta dell’infame suo vivere, forzava anche altre nobili donne, con chiamarle a palazzo a prostituire la lor pudicizia ed anche alla presenza de’ lor mariti. A chi d’essi si contentava, non mancavano onori e posti, agli altri che non amavano questo vituperoso giuoco fabbricava trappole per farli condannare e morire, trovando maniere che non penetrasse agli orecchi del goffo marito l’enorme sordidezza del viver suo. Perciò Claudio era quasi il solo che non sapesse un’infamia sì mostruosa. Anzi scioccamente talvolta cooperava alle pazze voglie di lei, siccome fra l’altre avvenne di Mnestore famoso istrione o sia commediante. Era perduta nell’amore di costui la bestial [p. 156]Messalina, nè mai con preghiere o minacce avea potuto trarlo alle sue voglie, perchè egli dovea ben misurare il pericolo di quel salto. Lamentossi ella con Claudio, che Mnestore la sprezzava, nè volea ubbidirla in certo altro affare. Fattolo chiamare, l’Augusto bufalo gli ordinò di far tutto quanto ella gli comandasse. Nell’anno presente ancora riuscì a Messalina di levar dal mondo due principesse della casa cesarea4, cioè Giulia figliuola di Druso Cesare figliuol di Tiberio, e Giulia Livilla sorella dell’ucciso Caligola, e di Agrippina, poi moglie dello stesso Claudio. Perchè esse voleano gareggiar con lei in bellezza e in possanza, nè usavanle assai finezze, e Livilla inoltre da sola a solo parlava spesse volte con Claudio, seppe così offuscare il cervello del marito Augusto, che senza lasciar loro agio per difendersi, le inviò all’altro mondo, l’una col ferro, l’altra colla fame. Il celebre filosofo Seneca, perchè amico di Livilla, fu in tal congiuntura relegato nella Corsica, e si vendicò poi di Claudio morto con una satira che si è conservata sino ai dì nostri.

Finquì la grand’isola della Bretagna, oggidì appellata Inghilterra, non avea piegato il collo sotto il giogo de’ Romani. Perchè quantunque Orazio5 sembri indicare, che Augusto vincesse que’ popoli, e Servio6 chiaramente l’insegni; pure Strabone7 assai fa conoscere che ciò non sussiste; ed è certo, che anche ai tempi di Claudio que’ popoli viveano sottoposti a’ vari loro re, amici solamente, ma non sudditi di Roma. Per cagione8 d’alcuni desertori non restituiti s’intorbidò la buona armonia fra i Britanni e i Romani; e un certo Berico cacciato dalla Bretagna, tanto seppe dire ad Aulo Plauzio senator chiarissimo, [p. 157 modifica]pretore allora e governatore della Germania inferiore, che gli fece credere facili le conquiste in quell’isola. Claudio informato della proposizione, e voglioso di guadagnare un trionfo, vi consentì. Trovò Plauzio una somma renitenza nell’esercito, per uscire del continente e passare in paese incognito; nè si voleano in fatti muovere. Arrivò colà Narciso spedito con ordini pressanti da Claudio. Questo liberto, gonfio pel gran favore del padrone, arditamente salì sul tribunale di Plauzio per fare un’aringa ai soldati. Allora a tutti montata la collera, cominciarono a gridare: Ben venuti i Saturnali; perchè in que’ giuochi i servi si trasvestivano con gli abiti de’ padroni. E senza volerlo ascoltare, alzate le bandiere, tennero dietro a Plauzio, il quale colle navi preparate andò poi a fare uno sbarco nella Bretagna. Non si aspettavano que’ popoli una tal visita; e perchè non s’erano nè preparati nè uniti, si diedero alla fuga, nascondendosi nelle selve e nelle paludi. Con Plauzio andò anche Vespasiano, che fu poi imperadore. S’impadronirono questi due valorosi uffiziali d’una parte di quel paese sino al Tamigi; nè osando Plauzio di passar oltre, significò con sue lettere la positura degli affari a Claudio, e quali popoli egli avesse soggiogato, quali Vespasiano; e come Cajo Sidio Geta inviluppato dai nemici con pericolo d’esser preso, gli avea poi sbaragliati. Claudio o avea già fatta o fece allora la risoluzione di passar colà in persona. Lasciato dunque il governo di Roma a Lucio Vitellio, ch’era stato o pur tuttavia era console, probabilmente nella state s’imbarcò, e da Ostia fece vela verso Marsiglia, con patire per viaggio una pericolosa burrasca. Poscia parte per terra, parte per mare arrivò all’Oceano: e finalmente raggiunse l’armata, che stava tuttavia accampata presso al fiume Tamigi. Valicato quel fiume, sconfisse i Britanni accorsi in gran copia per impedirgli il passaggio, e prese Camaloduno reggia di Cinobellino. Così [p. 158]Dione9: laddove Svetonio10 scrive non aver egli data battaglia alcuna. Certo è, che per quelle imprese due o tre volte conseguì di nuovo il titolo di imperadore, titolo indicante qualche nuova vittoria. Anche Tacito11 afferma aver egli conquistato un buon tratto di paese nella Bretagna, e domati ivi alcuni di quei re; e Svetonio12 stesso asserisce che Vespasiano in quella spedizione, ora sotto Plauzio ed ora sotto lo stesso Claudio Augusto, si segnalò con essere ben trenta volte venuto alle mani con que’ popoli, ed aver sottomesse due di quelle possenti nazioni, prese venti città e l’isola di Vicht. Non molto tempo si fermò Claudio in quelle contrade, e dopo aver tolte l’armi agli abitanti del paese conquistato, e lasciato Plauzio coll’esercito al loro governo, si rimise in viaggio per tornarsene a Roma. Sei mesi spese nell’andare e venire; ed abbiamo da Seneca13 e da Tacito14, che nella Bretagna fu alzato un tempio a questo imperadore, la cui impresa aprì l’adito all’armi romane di stendersi maggiormente coll’andare degli anni in quella vasta isola. Giunti a Roma molto prima di Claudio, Gneo Pompeo e Lucio Silano, generi d’esso imperadore, coll’avviso del lieto avvenimento15, il senato decretò il trionfo a Claudio, e diede tanto a lui che al picciolo suo figliuolo Claudio Tiberio Germanico, il titolo di Britannico, con ordinar dei giuochi da farsi ogni anno in sua memoria e l’erezione di due archi trionfali, l’uno in Roma e l’altro al lido della Gallia, dove Claudio entrò in mare per passare in Bretagna. Accordò inoltre a Messalina moglie di Claudio, ancorchè non avesse il titolo d’Augusta, il primo luogo nelle pubbliche adunanze, (il che può parere strano) [p. 159 modifica]e il poter andare nel carpento, cioè in carrozza singolare, di cui godeano per privilegio le sole Vestali e i Sacerdoti, ed entrar con essa ne’ pubblici spettacoli. Nello stesso tempo pubblicarono un editto, che chiunque avesse monete di rame coll’immagine dell’odiato Caligola, le portasse alla zecca da essere disfatte. Sopra questo rame o bronzo mise tosto le mani Messalina, e ne fece formar delle statue al suo caro drudo Mnestore commediante.


Note

  1. Sueton. in Claudio, cap. 14.
  2. Dio., lib. 60.
  3. Juvenalis, Satyra 6. Dio., lib. 60. Sueton. in Claud. cap. 26.
  4. Seneca in Apocol. Suetonius in Claudio, cap. 29.
  5. Horatius, Odar., lib. 3, I.
  6. Servius in Virgil., Georg. 3.
  7. Strab. lib. 2.
  8. Sueton. in Claud., cap. 17 Dio., lib. 60.
  9. Dio., lib. 60.
  10. Sueton. in Claudio, cap. 17.
  11. Tacitus in Vita Agricolae, cap. 13.
  12. Sueton. in Vesp., cap. 4.
  13. Seneca, in Apocol.
  14. Tacitus, Annal., lib. 14, c. 31.
  15. Dio., lib. 60.