Annali d'Italia dal principio dell'era volgare sino all'anno 1750/29
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Anno di | Cristo XXIX. Indizione II. Pietro Apostolo papa 1 Tiberio imperadore 16. |
Consoli
Lucio Rubellio Gemino e Cajo Rufio Gemino
Nelle calende di luglio furono sostituiti altri consoli. Ha creduto taluno, che fossero Quinto Pomponio Secondo, e Marco Sanquinio Massimo. Ma il cardinal Noris1 con più fondamento mostrò essere stati Aulo Plauzio e Lucio Nonio Asprenate. Certamente egli è da dubitare, che nell’assegnar i consoli sostituiti, si sieno talvolta ingannati i fabbricatori de’ fasti consolari. Più d’un esempio di ciò si trova nel Panvinio. Ora sotto questi due consoli Gemini han tenuto e tengono tuttavia alcuni letterati, che seguisse la Passione del divin nostro Salvatore: opinione fondatissima, perchè assistita da una grande antichità, ed approvata da molti de’ santi Padri. Se così è, a noi sia lecito di metter qui l’anno primo del pontificato di san Pietro Apostolo. Tertulliano2, autore che fiorì[p. 82] nel secolo seguente, chiaramente scrisse, che il Signore patì sub Tiberio Caesare, Consulibus Rubellio Gemino et Rufio Gemino. Furono del medesimo sentimento Lattanzio, Girolamo, Agostino, Severo Sulpizio ed il Grisostomo. Altri poi han riferito ad alcuno degli anni seguenti un fatto sì memorabile della santa nostra religione. All’istituto mio non compete il dirne di più; e massimamente, perchè, con tutti gli sforzi dell’ingegno e della erudizione, non s’è giunto fin qui, e verisimilmente mai non si giugnerà a mettere in chiaro una così tenebrosa quistione. A noi dee bastare la certezza del fatto, poco importando l’incertezza del tempo. Sino a quest’anno era vissuta Livia, già moglie d’Augusto, e madre di Tiberio3, appellata anche Giulia da Tacito e in varie iscrizioni, perchè dal medesimo Augusto adottata. Morì essa in età assai avanzata, con lasciar dopo di sè il concetto d’essere stata donna di somma ambizione, e non men provveduta di sagacità per soddisfarla, con aver saputo, a forza di carezze e di una allegra ubbidienza in tutto, guadagnarsi il cuore d’Augusto. Con tali arti condusse al trono il figlio Tiberio, poco amata, ma nondimeno rispettata da lui, e temuta da Sejano, finchè ella visse, pochissimo poi compianta da loro in morte. Prima che Tiberio si ritirasse a Capri4, era insorto qualche nuvolo fra lui e la madre, perchè facendo ella replicate istanze al figliuolo di aggregare ai giudici una persona a lei raccomandata, le rispose Tiberio d’essere pronto a farlo, purchè nella patente si mettesse, che la madre gli avea estorta quella grazia. Se ne risentì forte Livia, e piena di sdegno gli rinfacciò i suoi costumi scortesi ed insoffribili, i quali, aggiunse, erano stati ben conosciuti da Augusto; e, in così dire, cavò fuori una lettera conservata fin allora del medesimo Augusto, in cui si lamentava dell’aspre maniere del di lei figliuolo. Ne restò sì disgustato Tiberio, che alcuni attribuirono a questo accidente la sua ritirata da Roma. In fatti nell’ultima di lei malattia neppur si mosse per farle una visita; e dappoichè la seppe morta, andò tanto differendo la sua venuta, ch’era putrefatto il di lei corpo allorchè fu portato alla sepoltura. Avendo l’adulator senato decretato molti onori alla di lei memoria, egli ne sminuì una parte, e sopra tutto comandò che non la deificassero (benchè poi sotto l’imperio di Claudio a lei fosse conceduto questo sacrilego onore) facendo credere che così ell’avesse ordinato. Neppur volle eseguire il testamento da essa fatto, e di poi perseguitò chiunque era stato a lei caro, e infin quelli ch’essa avea destinati alla cura del suo funerale.
Soleva Tiberio ad ogni morte dei suoi diventar più cattivo. Ciò ancora si verificò dopo la morte della madre, la cui autorità avea fin qui servito di qualche freno alla maligna di lui natura, e agli arditi e malvagi disegni di Sejano, con attribuirsi a lei la gloria di aver salvata la vita a molti. Poco perciò stette a giugnere in senato un’assai dura lettera di Tiberio contro Agrippina vedova di Germanico, e contro di Nerone di lei primogenito. Erano tutti i reati loro, non già di abbandonata pudicizia, non di congiure, non di pensieri di novità, ma solamente di arroganza e di animo contumace contro di Tiberio. All’avviso del pericolo, in cui si trovavano l’uno e l’altra, la plebe, che sommamente gli amava, prese le loro immagini, con esse andò alla curia, gridando essere falsa quella lettera, e che si trattava di condannarli contro la volontà dell’imperadore. Faceano istanza nel senato i senatori, venduti ad ogni voler di Tiberio, che si venisse alla sentenza; ma gli altri tutti se ne stavano mutoli e pieni di paura. Il solo Giunio Rustico, benchè uno de’ più divoti di Tiberio, consigliò che si differisse la risoluzione, per meglio intendere le intenzioni[p. 84] del principe. Di questo ritardo, e maggiormente per la commozione del popolo, si dichiarò offeso Tiberio; ed insistendo più che mai nel suo proposito, fece relegar Agrippina5 nell’isola Pandataria, posta in faccia di Terracina e di Gaeta. Dicono che non sapendosi ella contenere dal dir delle ingiurie contro di Tiberio, un centurione la bastonò per comandamento di lui sì sgarbatamente, che le cavò un occhio. I di lei figliuoli, Nerone e Druso, benchè nipoti per adozion di Tiberio, furono anch’essi dichiarati nemici; il primo relegato nell’isola di Ponza, e l’altro detenuto ne’ sotterranei del palazzo imperiale. Qual fosse il fine di questi infelici, lo vedremo andando innanzi.