Annali d'Italia dal principio dell'era volgare sino all'anno 1750/206

Anno 206

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Anno di Cristo CCVI. Indizione XIV.
ZEFIRINO papa 10.
SETTIMIO SEVERO imperad. 14
CARACALLA imperadore 9.
Consoli

LUCIO FULVIO RUSTICO EMILIANO e MARCO NUMMIO PRIMO SENECIONE ALBINO.

Tali nomi ho io dato a questi consoli, fondato sulle iscrizioni che si leggono nella mia raccolta1732. Quei del secondo console ci fanno abbastanza intendere che non dovea punto passar parentela fra lui e Clodio Albino, da noi veduto imperadore, ma di poco tempo. Ora da che tolto fu dal mondo Plauziano, cioè il superbo favorito di Severo Augusto, Caracalla e Geta figliuoli di esso imperadore, come se allora fossero rimasti liberi dal timore di quell’aguzzino, lasciarono la briglia ai loro giovanili appetiti. Tanto Dione1733 che Erodiano1734 confessano che amendue si diedero in preda alla libidine, con isvergognar le case de’ nobili, e senza guardarsi da ciò ch’è più infame in quel vizio. Se loro mancava danaro, non mancavano già delle inique vie per raccoglierne. I lor principali impieghi e divertimenti consistevano in assistere a tutt’i combattimenti e a tutte le corse dei cavalli, ed anch’essi in carrette gareggiavano insieme a chi correa più forte. E sì male un dì terminò la lor carriera, che Caracalla, caduto dal carro, si ruppe una gamba. Ma questa gara da gran tempo dava a conoscere qual grave antipatia ed invidia bollisse fra loro, perchè passava sempre in discordia. Ancora quando erano in minore età, o vedessero i combattimenti delle coturnici o dei galli, o pur le battagliuole de’ fanciulli, o si trovassero ai pubblici giuochi, si scoprivano sempre differenti di genio; e quel che piaceva all’uno, dispiaceva all’altro. [p. 701 modifica]S’introdussero anche fra loro degli adulatori e mali arnesi che, in vece di metter acqua al fuoco, lo fomentavano, aggiugnendovi anche dell’olio. Quanto più crescevano in età, tanto più sbrigliati correvano dietro ai piaceri ed alle iniquità, e la loro vicendevole avversione prendeva sempre più piede. Non avea già lasciato l’Augusto Severo lor padre di provvederli di eccellenti governatori e maestri, e scorgendoli poi sì discordi fra loro, or colle dolci, or colle brusche si studiava di correggere questa lor malnata passione, mostrando loro i beni della concordia, e il felice stato, in cui era per lasciarli, e in cui si manterrebbono, se sapessero andar ben uniti. Tolse anche di vita alcuni che seminavano zizzanie fra loro. Ma indarno era tutto. Geta, siccome di umor più mansueto ed umile, dal suo canto ubbidiva; ma Caracalla, divenuto dopo la morte del suocero più orgoglioso e fiero che mai, ascoltava le parole del padre, ma fremendo in suo cuore, e poi seguitava ad operar come prima. Accadde probabilmente in questi tempi ciò che narra Dione1735 della crudeltà di Severo, non soddisfatta peranche. Il perchè non si sa, ma egli fece morir varie persone, e fra l’altre Quintillo Plauziano, senator nobilissimo: morte che fu creduta ingiustissima. Altri senatori1736 da lui tolti dal mondo erano stati convinti di reità; ma questi in età assai decrepita, standosene da gran tempo ritirato in villa, pensando non già a far delle novità, ma bensì alla morte vicina, per soli sospetti e per mere calunnie fu condannato a morte. Recatagli la funesta nuova, si fece portare gli arredi che avea molti anni prima preparati pel suo funerale, e trovatili guasti dalle tignuole, disse: Ho anche tardato troppo a morire. E fatto venir del fuoco, sopra di esso sparse l’incenso in segno di sagrifizio a’ suoi falsi dii, pregandoli che avvenisse a Severo quel tanto che Severiano in simil congiuntura augurò ad Adriano. Era in questi tempi proconsole dell’Asia Aproniano. Contro ancora di lui fu proferita la sentenza di morte, perchè avendo la sua nudrice sognato ch’egli dovea regnare un giorno, si pretendeva che Aproniano avesse intorno a ciò consultato i maghi. Ed ecco un amaro frutto della sciocchezza di que’ tempi, che prestavano tanta fede ai sogni, agli augurii e alle arti vane piene d’imposture. Nel leggersi in senato il processo, si trovò avere un testimonio deposto, che mentre si facea quella consultazione da Aproniano, un senator calvo, veduto così di passaggio da esso testimonio, v’era presente. Corse allora un ghiaccio per le vene di chiunque in senato era, o cominciava a divenir calvo; Dione confessa che egli e tanti altri, che avevano buona capigliatura, restarono sì turbati, che non seppero ritenersi dal tastar colla mano se avevano tuttora i lor capelli in capo. Il sospetto cadde principalmente sopra Bebio Marcellino, il qual fece istanza che fosse introdotto il testimonio, acciocchè costui, se gli dava l’animo, riconoscesse il senatore calvo. Entrato costui, andò girando un pezzo con gli occhi senza parlare. Verisimilmente gli fece un cenno Pollenio Sebennio senatore, uomo di lingua mordace, da me rammentato di sopra, perchè Dione a lui attribuisce la disgrazia dell’infelice Marcellino, il quale fu mostrato a dito dal testimonio suddetto e condotto immediatamente al patibolo. Quando fu in piazza, diede l’ultimo addio a quattro suoi figliuoli con un discorso patetico, conchiudendo, che solamente gli dispiaceva di lasciarli in vita in tempi così cattivi. Gli fu mozzato il capo, prima ancora che Severo Augusto sapesse la di lui condanna; tanto era allora avvilito il senato, e tanta era la paura che si avea dello sdegno di Severo. Gran disgrazia di dover vivere sotto principi tali! e pur se ne trovarono tanti [p. 703 modifica]altri di lunga mano più fieri e crudeli di questo!


Anno di Cristo CXVII. Indizione XV.
ZEFIRINO papa 11.
SETTIMIO SEVERO imper. 15.
CARACALLA imperadore 10.
Consoli

APRO e MASSIMO.

Altro non sappiamo dei nomi di questi consoli fin ora. Al presente anno sembra che si possa riferire un avvenimento raccontato da Dione1737. Era divenuto un certo Bulla, cognominato Felice, capo dei ladri e banditi nelle parti di quel che ora è regno di Napoli. Secento uomini teneva egli al suo servigio, parte dei quali erano schiavi dell’imperadore fuggiti; ed infestava tutte quelle contrade. Non gli mancavano spie in Roma stessa ed altrove, che l’andavano avvisando di chiunque si metteva in viaggio, e con qual compagnia, con quali robe. Della gente che prendeva, molti lasciava andare, contentandosi di qualche parte delle lor sostanze; gli artefici li riteneva alcun tempo per farli lavorare, e li rimandava poi regalati. Per due anni continuò costui il suo detestabil mestiere, e tanta era la sua accortezza, che quantunque perseguitato da molti e con pressanti ordini da Severo Augusto cercato dappertutto, pure quasi sugli occhi di lui e di tanti suoi soldati commetteva quelle ruberie; niuno il vedeva, benchè l’avessero davanti; niuno il prendeva, benchè potessero averlo in mano: tutto per industria sua, perchè giocava di grosso con regali. Presi furono due de’ suoi masnadieri, e si stava per condannarli ad essere il pascolo delle fiere. Bulla, fingendosi governatore del paese, fu a trovare il carceriere, e mostrando di aver bisogno di quegli uomini, li liberò e condusse via. Quindi in persona andò a trovare il centurione posto alla guardia di quei contorni, e si esibì di dargli in mano quell’infame di Bulla, se voleva seguitarlo. Il seguitò con alcuni de’ suoi il centurione; ma allorchè fu in una valle attorniata da dirupi, Bulla, dopo averlo preso, gli fece radere il capo a guisa degli schiavi, e il lasciò andare, dicendogli che facesse sapere ai suoi padroni nudrir meglio i loro schiavi, affinchè non fossero obbligati a fare gli assassini da strada. All’udir queste insolenze Severo Augusto andava nelle smanie, dolendosi, che mentre i suoi nella Bretagna riportavano vittorie e tenevano in freno popoli intieri, egli non fosse da tanto da potersi liberar da un ladrone che, in faccia sua commettendo tante iniquità, si rideva di lui. Finalmente spedì in traccia di costui un tribuno con un corpo di fanteria e cavalleria, minacciando forte quest’uffiziale, se non gliel conduceva morto e vivo. Andò il tribuno, e per mezzo di una donna, con cui Bulla avea commercio, il colse in una grotta, e menollo vivo a Roma. Interrogato Bulla dal celebre giurisconsulto Papiniano, prefetto allora del pretorio, perchè si fosse dato al mestier del rubare: E tu, rispose, perchè fai il mestier di prefetto? volendo dire, che anche quell’uffizio era per rubare. Fu egli condannato alle bestie, e si dissipò tutta la ciurma de’ suoi seguaci. Dione1738 ci ha detto che in questi tempi Severo ebbe qualche vittoria nella Bretagna. Trovasi in fatti circa questi tempi ch’egli è chiamato in qualche medaglia1739 Imperadore per la dodicesima volta. Il padre Pagi1740, pieno sempre delle sue idee di quinquennali, decennali, ec., sospettò ch’egli prendesse questo nome per cagion de’ suoi quindecennali; ma con opinione da non abbracciare, certo essendo, che solamente per cagion di qualche vera o finta vittoria gli Augusti replicavano il titolo d’Imperadore.