Annali d'Italia dal principio dell'era volgare sino all'anno 1750/17
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Anno di | Cristo xvii. Indizione v. Tiberio imperadore 4. |
Consoli
Caio Cecilio Rufo e Lucio Pomponio Flacco Grecino.
Il primo de’ consoli negli Annali stampati di Tacito è chiamato Celio; Cecilio in quei di Dione. E così appunto si dee appellare. S’è disputato fra gli eruditi intorno a questo nome. Credo io decisa la lite da un marmo da me dato alla luce1, che si dice posto C. CAECILIO RVFO, L. POMPONIO FLACCO COSS. Erano insorte nell’anno precedente varie turbolenze fra i re d’Oriente, che dipendevano in qualche guisa da Roma2. Avea Augusto, siccome accennammo, dato ai Parti Vonone per re. Col tempo cominciarono que’ barbari a sprezzarlo, poscia ad abborrirlo, e finalmente a congiurare per detronizzarlo. Chiamato alla corona Artabano del sangue degli antichi Arsacidi, questi, sconfitto sulle prime, sconfisse in fine Vonone. Si rifugiò il vinto nell’Armenia, e fatto re da[p. 54]que’ popoli non andò molto, che prevalendo presso gli Armeni il partito favorevole ad Artabano, Vonone si ritirò ad Antiochia con un gran tesoro. Ivi risedeva proconsole della Soria Cretico Silano, che adocchiato quell’oro, l’accolse ben volentieri, e permise ch’egli si trattasse da re, ma nel medesimo tempo il facea custodire sotto buona guardia. Vonone intanto implorava con frequenti lettere aiuto da Tiberio; ma non avea Tiberio voglia di romperla coi Parti, gente che non si lasciava far paura dai Romani, e gli avea anche più volte fatti sospirare. Oltre a ciò avvenne3 che Tiberio fece citar a Roma Archelao re della Cappadocia tributario de’ Romani, col pretesto ch’egli meditasse delle rebellioni. L’odiava Tiberio, perchè, allorchè egli dimorava a guisa di relegato in Rodi, Archelao passando per colà non l’avea onorato di una visita, e grande onore all’incontro avea fatto a Cajo Cesare emulo suo. Venne Archelao a Roma vecchio e malconcio di sanità, dopo aver per cinquant’anni governato i suoi popoli; e fu accusato innanzi al senato. Si mise egli in tal affanno per questa persecuzione, che da lì a qualche tempo, non si sa se naturalmente, o pure per aiuto altrui, terminò la sua vita. Allora la Cappadocia fu ridotta in provincia, e spedito colà un governatore. In que’ medesimi tempi vennero a morte Antioco re della Comagene e Filopatore re di Cilicia con gran turbazione di que’ popoli, parte dei quali volea un re, ed un’altra desiderava il governo de’ Romani. Anche la Soria e la Giudea, lagnandosi de’ troppo gravi tributi, ne dimandavano la diminuzione.
Fu questa una bella occasione a Tiberio per allontanar l’odiato nipote Germanico Cesare da Roma, e cacciarlo in paesi pericolosi sotto specie d’onore. Propose dunque in senato, che non v’era persona più a proposito di lui per dar sesto agl’imbrogli dell’Oriente. Già avea esso Germanico conseguito il trionfo nel dì 26 di maggio; e a lui per questa spedizione fu conceduta un’ampia autorità in tutte le provincie di là del mare. Ma Tiberio, per mettere a lui un contrapposto in quelle contrade, richiamato Cretico Silano dalla Soria4, spedì a quel governo Gneo Clapurnio Pisone, uomo violento e poco amico di Germanico. Con costui andò anche Plancina sua moglie, addottrinata, per quanto fu creduto, da Livia Augusta, acciocchè facesse testa ad Agrippina moglie di Germanico. Volle inoltre Tiberio, che Druso Cesare suo figliuolo, lasciato l’ozio e il lusso di Roma, andasse nell’Illirico ad apprendere il mestiere della guerra. Andò egli; ma giunto colà fu forzato a passare in Germania, per cagion delle guerre civili nate fra i Germani non sudditi di Roma. Aspra lite quivi era fra Arminio promotore della libertà, e Maroboduo, che avea preso il titolo di re. Ad una campale battaglia vennero questi due emuli. Fu creduto vincitore Arminio, perchè l’altro per la soverchia diserzione dei suoi si ritirò fra i Marcomanni5. Druso colà si portò con apparenza di voller trattar la pace fra essi. Devastò in quest’anno un fiero tremuoto dodici città dell’Asia, alcune delle quali assai celebri, come Efeso, Sardi, Filadelfia. Tiberio dedicò in Roma varii templi, ma edificati da altri; perchè egli non si dilettò di fabbriche, nè di lasciar magnifiche memorie, per non iscomodar la sua borsa. In Africa si sollevarono i Numidi e i Mori per istigazione di Tacfarinate. Furio Camillo, proconsole di quelle provincie, benchè non avesse al suo comando se non una sola legione e poche truppe ausiliarie, marciò contro quella gran moltitudine di gente, e le mise in fuga. Per tal vittoria si meritò dal senato gli ornamenti trionfali6. Negli ultimi sei mesi dell’anno presente diede fine alla sua vita il poeta Ovidio in Tomi, città posta alle rive del mar Nero, dov’era stato relegato da Augusto. Credesi ancora,[p. 56] che questo fosse l’ultimo anno di vita del celebre storico romano Tito Livio padovano.