Alpi e Appennini/Storia dell'alpinismo
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STORIA DELL’ALPINISMO
L’Alpinismo antico e moderno
Ma presto successe una rivoluzione. «Dacchè gli nomini, scrisse Teofrasto, impazienti dello inasprimento del clima, scesero dai monti per coltivare le umili valli e i larghi piani, che erano ammorbati dalle paludi ed infestali dalle serpi e dai rospi, le prime culle della umanità, andarono scoscendendosi e se ne lacerò e distrusse il manto selvoso ed erboso. Solo, le aquile, e pochi pastori conservarono i loro alti nidi onde, quando fra le strette della guerra, i popoli ripararono fra le montagne, non vi trovarono più i conforti dei patriarchi e vollero tosto abbandonare quei luoghi resi inospitali e si trassero seco gli ultimi rimasti coi quali, assai più forti, ritentarono le veci delle battaglie e di nuovo vinsero fino a che la mollezza e la lussuria, infestataci dei piani, non isconvolsero le loro menti e non rammollirono le loro fibre.» — Alberto Haller scrive: «Allorchè Roma, contava nelle sue battaglie, altrettante vittorie, era la polenta il cibo degli eroi, il legno l’abitazione degli Dei, ma dopo che le sue ricchezze crebbero oltre misura, nemici, anche deboli, fiaccarono la sua superbia.»
Se oggigiorno noi vogliamo vedere ancora un ultimo rimasuglio di quella antica e pacifica vita, che ebbe culla fra le nostre Alpi, noi dobbiamo inoltrarci nel seno delle più alte fra le nostre valli alpine, e là, fra deliziosi pascoli, coronati dai ghiacci, cinti e attraversati da roccie, noi troveremo popolazioni semplici, forti e felici, pastori che si accontentano di scoprire i vasti piani dall’alto dei loro monti e menano una vita beata fra le gioie le più rozze e le più pure.
Ma, quegli antichi popoli, pensavano essi forse a scalare le alte punte di cui godevano continuamente la vista, sia per innata curiosità, sia per cercarvi nuove emozioni? No certo, che nessuno osò mai avanzarsi più in su delle nevi e dei ghiacci perpetui che si PANORAMA DELLE Al
1. La Charousse, ni. 27«. 16.
2. Le Berlo Blami, m. SO >0? 17. 3. Le Moni Favrr, m. 33.’,4 18. 4. I.es Terres Noires, m. 296S. 19. 5. Le Moni Percé, m. 2722. 20. 0. Téle du Forlin, m. 2756. 21. 7. Pelile Aiguille ilu Glaricr, ni. 5474. 22. 8. Aiguille de l’Allée Bianche, m. 3709. 23. 9. Ghiacciaio dèll’Esteìette. 24. 10. Ar.-lc de l’Estrleitc, ni. 2974. 25. 11. Col des Terres Noires, m. 2054. 26. 12. Col du Crammont, m. 2li00? 27. 13. Téle de l’Arp, m. 2024. 28.’ 14. Aigiiille du Chatelet. m.. 29. 15. Chalet de l’Arp, m. 2300? 50. |
Ghiacciaio de l’AUée Bianche. 31.
Col de Tré-la-Tétc, ni. 3498. 32. L ’Aiguille de Tré-la-Téle, m. 3932. 33 Le Bonnet de neige, in. 3779. 34 Le Pelil Morit Blahc, m. 5*90. 33. La Téte Carrée, in. 377(1. 3tì, Col InlVanehissahle, in. 3377. 37 Dòme du Miage, ni. 3080. 58. La miniera di Téle Carrée, in. 2900? 39, Vallone.lei Mia S e. 40. Col du Miage, in. 3376. 41. Col du Brouillard, in. 3400? 42. Pyramide du Brouillard, ni. 3990. 45. Le Moni Brouillard, ni. 42(’0? 44. Le Mont Blane, m. 4810. 45. |
Col de la Brcnva, m. 4301. 46.
Le Moni Maudit, m. 4471 47. Cli acciaio del Brouillard. 48. La Punta Innominata, ni. 3746. 49. Ghiacciaio di Chatelet. 50. Ghiacciaio tti Fresnav. 51. Aiguille Bianche du "Pelerei, m. 3108. 52. Le Péteret, m. 3777. 53. Le Mont Uouge du Pelerei, ni. 2942. 54. Ghiacciaio di Comhalet. 55. La lìalme des Chamois, m. 30,10? 56. Le Mont Noir du Pelerei, m. 2948. 57. Le Fauteuil des Allemands, m. 2300. 58. Le Mauvais Pas, m. 2000 59. Col de Checco, m. 2200 1 60. |
Le Moni Blanc du Tacul, m. 4219.
Le Capucin du Moni Blanc du Tacul, m.3£ La Tour Monde, m. 3773. Col Ovest de la Tour Bonde, m. 340 Ghiacciaio della Brenva-nevalo. Ghiacciaio de la Tour Konde. Pierre à Moulin, m. 2341. Col Est de la Tour Ronde, ni. 3500 ’. Aiguille de la Brenva, m. 5510Le Capucin de la Brenva, m. 3207. Ghiacciaio di Entrèves. Flamheaux du Géant N. 3, m. 3609. Col des Flamheaux, m. 3400? Flamheaux du Géant N. 2, m. 3553. Ghiacciaio di Toh la. |
1. Il Zuccone
2. Cima dellTomo.
IO.
l’ore del Uozzarcllo.
s.
La Giierciola.
11.
Vallino.
4.
Cima o foce a Narrano.
12.
Lo Serraglio cava in marmi
B.
Il Serrore.
13.
Fore di Luccica.
6.
Monte Majari.
14.
Vidimaci io.
7.
Capannr del Vergitelo.
1S.
Foce dei Vallini.
8,
Fo»»o del Campanello.
16.
Cimo del monte Sagro.. Foie ili Vinca /hiarsla). PANORAMA 18. Monte Arcangeli.
19. l’Ore di Navola.
20. l’izzo d’Uccello.
21. (a| bili i di Navola.
22. l’i dm di Num.Io. 25. La Croie.
54, Il CirnrroM t Grondicelo o Groftdilico.
PANORAMA E|C
55. Técchia.
26, I pralaccelii
27. Foce dei Praiaccell. 28- Le piastre degli Alberghi. 29. Cave degli Alberghi.
50. Monle Cavallo.
51. Lo Fororoccia (diilroj; 32, Le Forbici. Panorama delle Alpi dal Monte Grammont
61. Flambcaux du Géant N. 1, m. 3466. 62. Col et Cabane du Géant, m. 5562. |
76. Mont Crucila, m. 3685. 77. Ghiacciaio di Kochefort. |
91. Aréte des AiguillesJ Marbrées, m. 3300? 106. 92. Le Moni Grapillon, ni. 3450? 107. |
106. Le Trou de Romains, m. 1000 ? 107. Le Chapi, m. 1600? |
33. I Campanili. 34. Il Padulelto. |
39. Passo della Tamburra.
40. Fossa o Monte della Neve. 41. Le Gruzzole o Gruzze. 42. Cave di Ceregnano. 43. Monte Bagnoli. 44. Monte delle Piastrelle, e Valle della Chiesa del Diavolo (Retiara). |
45. Cima del Vestilo.]
46. Moine Toneton 47. Molile Vestilo. 48. Monte Valsola. 49. Monte della Caprara. 50. Pania della Croce. 51. Cava del Carchio. |
32. Monte Altissimo.
53. Monte Cacchio. 54. Monte Tondo. 55. Monte di BerliCaghatia. 56. Monte Pariana. 57. Mare Mediicrraneoi |
riguardavano con superstizioso terrore, quasi fossero fatati. — Il montanaro è attaccato alla montagna, ma la noma brutto paese e, le acque bianche, vitree, dalla feroce rapidità, che sfuggono da essa balzando, le appella acque selvaggie e, i ponti naturali scavati dalle furenti acque nella viva pietra, non seppe designarli con altro nome che con quello di ponti del diavolo e, sassi del diavolo sono i massi erranti ritti in mezzo al piano delle valli.
I ghiacciai formavano in ispecial modo lo spavento dei montanari che, pure erano, costretti a riguardarli sempre. Le leggende della Svizzera tedesca, ci dicono come il popolo ritenesse i ghiacciai altrettanti inferni pieni di dannati. E noi sappiamo che anche Dante pose parte del suo inferno fra i ghiacci. Guai, dicono quelle leggende, guai alla donna avara che, durante l’inverno, abbandona il povero vecchio padre!... Una condanna terribile la attende: sarà costretta ad errare senza posa sopra gli sterminati ghiacciai, scapigliata, cogli occhi fuori delle orbite e in compagnia di un nero e brutto cane. — Secondo la leggenda scandinava, i monti, sono pieni di tesori, ma orribili gnomi li custodiscono e, fra essi, un nano di erculea forza. Guai ad accostarsi ai feroci custodi di tante ignote e immense meraviglie! — Dicevasi che, nel castello dei monti ghiacciati, sovra un bianco letto, mollemente si adagiava una bella e pietosa vergine che, colla fronte coronata di brillantissimi diamanti, attirava a sè gli eroi, loro volgendo un affascinante sorriso. Gli imprudenti, come scossi da una misteriosa potenza, salivano, salivano.... e, pieni di ansia e di speranza, dopo di avere sfidato migliaia di paure e di pericoli, arrivavano a toccare il sospirato letto e stringevano nozze eterne con una sposa di cristallo.
In questa leggenda si può trovare l’origine dell’alpinismo e della passione che ad esso trascina. Quella vergine, bella e risplendente, raffigura il fascino che esercitano le montagne su chi le contempla e, il letto di ghiaccio, rappresenta la minaccia di morte di chi, troppo di leggieri, osa avanzarsi fra le sconfinate regioni delle rupi e dei ghiacci.
A poco a poco i montanari si interessarono ai ghiacciai e i cercatori di cristalli di roccia spinti dal desiderio di lucro, furono i primi a sfidare la tradizione e ad esplorarli. — Indi vennero i cacciatori di camosci e di stambecchi, i quali furono certo i primi a scalare i fianchi delle alte montagne.
Ma ben altro interesse vi doveva guidare i naturalisti, gli artisti e gli spiriti avventurosi. Essi, dedicatisi allo studio ed alla ammirazione dei grandi spettacoli del creato, seppero vincere quel senso di terrore che, per solito, invade chi trovasi al cospetto di qualsiasi maestoso fenomeno e di cui si ignorano le cause e si proposero di vincere le asprezze della natura e di impadronirsi de’ suoi più intimi segreti.
Noi sappiamo che, un paio di secoli fa, pochi erano i monti conosciuti. I geografi li lasciavano in bianco o li accennavano in un modo strano, nomandoli la terra incognita. — Plinio il vecchio, fu il primo alpinista e scienziato e la sua esplorazione al Vesuvio, gli costò la vita. Dopo di lui, abbiamo nel secolo XVI il belga, l’Escluse, che fra il 1573 e il 1588 descriveva con parole molto oscure e tenebrose le Alpi austriache. — Nel tempo istesso il senese Pietro Andrea Mattioli, studiava le qualità mediche della flora delle Alpi Rezie e, il veronese Poa, visitava il Monte Baldo del quale pubblicò, nel 1595, entusiastica descrizione.
Sul principio del secolo XVIII il teologo Gian Giacomo Scheuzer pubblicò un lavoro scientifico in quattro volumi in quarto sopra i suoi viaggi alpini. — In esso vi sono certe descrizioni e certe figure di draghi e mostri d’ogni genere inventati dal buon teologo per farsi credere un eroe ed avvalorale le antiche tradizioni dell’orrore dei monti.
Nel 1741 due inglesi, i signori Pocock e Whindam vollero avventurarsi all’incontro del Monte Bianco. — I preparativi durarono un mese. Giunsero a Chamonix che ritenevano un paese selvaggio e furono come sbalorditi di giungervi senza incontrare per istrada neppure un mostro e trovando invece pacifici montanari che, ignorando completamente quanto potesse succedere all’infuori della loro valle, li accolsero con inaudita sorpresa. Gli inglesi si attendarono su di un altipiano e si circondarono di fuochi accesi e di sentinelle per tener lontane le terribili belve, create da Scheuzer e da lui poste a guardia dei monti. Passata così una prima notte, si avanzarono verso il mare di ghiaccio. Dio mio! Essi non si sarebbero mai immaginata una cosa più imponente e nello stesso tempo più spaventevole. E camminavano lenti e guardinghi: dalla terra e dai crepacci del ghiaccio potevano ben uscire quei mostri, che non dovevano essere... un sogno!
A un tratto una grossa nube sorse dietro il Monte Bianco e tanto si avanzò e si estese da coprire in breve tutto l’orizzonte. La pioggia, mista alla grandine, scese a flagellarli. Che spavento! Cercarono un ricovero e lo trovarono in una roccia aperta a volta. Quivi passarono trepidanti ancora, ma un po’ più rassicurati, una seconda notte. Al mattino il tempo era splendido; incisero sulla roccia i loro nomi e la data, e scesero a Chamonix a narrare le cose vedute. Indi tornarono a Ginevra gloriosi e trionfanti di aver posseduto tanto coraggio, di avere scoperto un piccolo paese straordinario e ignorato da tutti e sterminate ghiacciaie.
D’allora in poi si serbò in paese intatta e fedele la memoria dei due inglesi. Il sasso sotto cui passarono la notte fu nomato La pierre aux Anglais e gli abitanti di Chamonix loro consacrarono non poca riconoscenza, poichè, «dicono essi, venendo qui e dando poscia notizia al mondo intiero di averci scoperti, fecero la fortuna del paese!...»
Per distruggere tante paure e tanti pregiudizii, era necessario un grande uomo e questi fu Benedetto Orazio di Saussure, il Cristoforo Colombo delle montagne, come lo noma Alberto Dupaigne. De Saussure nacque in Ginevra il 17 febbraio 1740, un anno prima della spedizione dei due inglesi a Chamonix. Figlio di uno scrittore e di uno scienziato, suocero del celebre naturalista Carlo Bonnet, si applicò giovanissimo alle scienze. Egli fin da giovinetto, si era innamorato della vista dei monti. E sempre li saliva con amore, e sempre voleva andare più in su. Il suo sogno era il Monte Bianco che tutti reputavano inacessibile. Egli voleva condannata al silenzio la parola impossibile, egli voleva sfidare e vincere la natura ed aspra e forte, egli voleva inalberare per il primo la bandiera dell’excelsior su quella altissima vetta.
Ma altri lo precedettero perchè in agosto del 1786 il dottore Paccard e il montanaro Balmat lo salirono da Chamonix. Ne ebbe dolore, ma persistette. E il 2 agosto 1787, accompagnato da un servo e da diciotto guide, arrivò sulla vetta del Bianco.
Le emozioni che egli provò colassù sono immense!... Dopo, percorse quasi tutte le Alpi e pubblicò gli otto volumi di Voyages dans les Alpes, che formano tuttora la bibbia dell’alpinismo. L’esempio di De Saussure fu presto seguito, e, come a Colombo successe Vasco di Gama, a lui tenne dietro Ramond de Carbonniéres, che esplorò i Pirenei. Poi lo Spallanzani, illustratore dell’Etna e di altri punti dell’Appennino, poi Humbolt, che popolarizzò lo montagne di Allemagna e rese celebre il picco di Teneriffa e le Cordigliere d’America.
Il signor Bourrit seguì le traccie di De Saussure e studiò e illustrò il Monte Bianco. E scrisse:
«O voi che ammirate le beltà della natura, venitela a contemplare sul grande teatro delle montagne; ivi, la possanza del Gran Padrone dell’universo vi cingerà da tutte le parti, ivi voi contemplerete con emozione gli oggetti più strani, ivi le vostre idee prenderanno più slancio».
Quanti altri vennero poi! Citiamone alcuni: Ungi, Ball, Forbes, Tyndall, ecc., ecc. e da noi Sella, Gastaldi, Giordano ed altri. In Svizzera il signor Tœpfer conduceva sui monti i suoi allievi e loro, così egli si esprime «faceva provare non solo la voluttà di un covo, il coraggio che cresce con lo sforzo, l’espansiva soddisfazione che segue la conquista, il vero e tranquillo benessere che si gusta sotto gli alberi del cammino e sopra la nuda pietra delle montagne; ma eziandio una sana e certa distrazione, un sicuro e dolce balsamo alle amarezze dell’anima e lo stimolo a quella curiosa ed utile osservazione che si può fare sugli insetti, sulle piante, sui minerali e sui fenomeni tutti che si incontrano per via». E voleva che tutti gli istitutori e i padri di famiglia, lo imitassero.
Vennero i Clubs alpini. L’Inghilterra, ove gli esercizi corporali furono sempre in onore ove, con vera passione, si va alla caccia, si cavalca, si nuota e in generale si pratica tutto ciò che sviluppa la forza e la destrezza, doveva essere la prima a possedere un Club alpino che fu inaugurato nel febbraio del 1858. Il Club alpino Svizzero sorse nell’aprile del 1863.
L’Italia nostra, la superba Regina delle Alpi e degli Appennini, non doveva mostrarsi insensibile a tanto movimento alpino. Una voce, potente ed inspirata, le doveva venire dalla vetta del Monte Viso, una voce che scosse la gioventù italiana e le rinnovò nelle vene quella arditezza e quella operosità spiegate già ampiamente sui campi di battaglia, nelle caccie allo straniero oppressore. Sorse poscia il Club Alpino Tedesco-Austriaco. E poi altre società alpine in Vienna, in Francia, in Stiria, nella Catalogna ed in America. In tutto, al fine dell’anno scorso si avevano ventidue Società alpine con un totale generale di quasi 36,000 soci.
E, prima che io continui a parlare del nostro Club, vediamo come sorse e come vive la «Società degli Alpinisti Tridentini» i cui membri hanno tanti rapporti con noi da meritarsi e da ricambiarci il più fraterno affetto. La Società sorse da vari anni e, alle prime escursioni, spessissimo avvenne che alpinisti tridentini si trovarono sulle vette della Presanella e dell’Adamello stretti ad una stessa roccia coi colleghi italiani. La lingua era l’istessa, eguali i sentimenti: essi non erano divisi che dalla legge di Stato la quale, alcune volte, infrange le norme della natura. Ne nacquero simpatie ed amicizie, sgorgarono certe parole un po’ troppo cordiali e il governo austriaco — la soppresse in agosto del 1876. Ma risorse dalle sue ceneri, e l’istesso motto: Excelsior la guida alle più alte mete e noi siamo lieti di poter prendere parte spesso ai loro convegni, di pace e di poesia, e di invitarli fra di noi.
Ritorno al Club Alpino Italiano. La voce partita nel 1863 dal Monte Viso, la gettò il nostro illustre Presidente, Quintino Sella di sempre cara memoria. Il Club Alpino Italiano che da quell’alta vetta, parve un sogno, divenne tosto una potente realtà e si personificò nel primo Presidente l’illustre Bartolomeo Gastaldi, cui successe Quintino Sella ed ora ambedue sono morti. Ma Paolo Lioy il simpatico scrittore e scienziato ha raccolto le loro tradizioni ed ha di nuovo innalzata la bandiera dell’Excelsior. Ed ora il C. A. I. conta trentaquattro sezioni e circa quattromila soci ed ottenne all’Esposizione di Milano la medaglia d’oro e un diploma d’onore all’Esposizione di Torino e progredisce sempre più sviluppandosi materialmente e moralmente sul sentiero tracciatogli dal suo illustre fondatore. Le sue pubblicazioni crearono una nuova letteratura alpina e consistono in un Annuario e in una Rivista alpina mensile senza tener conto di molte pubblicazioni importanti delle Sezioni e dei soci. In Udine trionfa la Società Alpina Friulana i cui Annuari sono scritti con amore e si leggono con entusiasmo. Così a poco a poco in Italia tale gusto pei monti si è assai popolarizzato e ogni anno valenti camminatori del nostro Club e in qualsiasi stagione, attizzano il fuoco sacro dell’alpinismo con escursioni ed ascensioni.
Essi spinti dall’amore della scienza o da desio di diletto o da amendue gli stimoli, egregiamente congiunti, calzano gli scarponi ferrati, si allacciano alle spalle lo zaino, afferrano con franca mano l’alpenstok e partono baldi e giocondi alla volta delle Alpi e si inerpicano sui greppi, si aprono disastrosi sentieri e arrivano a conquistare la meta prefissa.
Noi li accompagneremo con amore assiduo per godere di alcuno fra i più grandiosi quadri della vita alpina. Facciamolo dunque, confidando sull’entusiasmo per le Alpi degli italiani in generale e dei nostri lettori in particolare.
C. G.